MARCO della (da, dalla) Tomba (al secolo Pietro Girolamo Agresti)
Nato a Tomba (oggi Castel Colonna), presso Senigallia, nel 1726, entrò nell'Ordine dei cappuccini e il 25 apr. 1745 ricevette l'abito nella casa del noviziato di Camerino. Il 25 apr. 1746 fece professione perpetua dei voti e, terminati gli studi, il 9 ott. 1755 superò l'esame di Propaganda Fide per essere ammesso nella missione del Tibet.
In origine lo scopo della missione, istituita nel 1703, era di operare nel Tibet, donde però nel 1745 i frati furono espulsi definitivamente. Mutarono allora l'area della loro evangelizzazione, concentrando i loro sforzi sulle città di Patna e Bettiah nell'India settentrionale e sulla valle di Kathmandu, in Nepal, dove essi in precedenza avevano creato ospizi che servivano da base per i missionari nei loro trasferimenti da Chandernagore nel Bengala a Lhasa nel Tibet.
M. iniziò il suo primo viaggio in Oriente nell'ottobre del 1755. A fine febbraio del 1756 era a Lorient, in Francia, pronto per imbarcarsi alla volta dell'India. Ma una serie di contrattempi lo costrinse a procrastinare la partenza e a tornare a Napoli. Insieme con tre preti cinesi, che avevano da poco completato i loro studi in questa città, ritornò a Lorient da dove salpò il 16 dic. 1756 per Pondichéry, attraverso il capo di Buona Speranza, giungendo a destinazione l'8 sett. 1757.
Dopo aver lasciato i tre preti cinesi a Pondichéry, M. partì per Chandernagore, città del Bengala presso Calcutta, dove giunse il 20 ottobre, proseguendo per Bettiah, città del Bihar nordoccidentale a sud di Katmandu. Qui il superiore dell'ospizio della missione tibetana era Giuseppe Maria da Gargnano (al secolo Bernardino Bernini). Sotto la sua supervisione M. intraprese lo studio della lingua indostana (hindī).
A fine gennaio 1759 M. ebbe l'incarico di cappellano al seguito delle truppe francesi (i Francesi avevano colonizzato quella regione), comandate da Jean Law de Lauriston. Law era stato costretto a fuggire da Chandernagore in seguito all'occupazione della città da parte degli Inglesi e aveva poi organizzato un piccolo esercito che girovagava in alcune zone dell'India centrale e alla fine si mise al soldo dell'imperatore moghul. Due anni dopo, nel gennaio 1761, Law e l'esercito dell'imperatore attaccarono gli Inglesi a Patna, capitale del Bihar, ma furono sconfitti. M., fatto prigioniero, poté poi ritornare a Bettiah, dove, in seguito alla morte di Giuseppe Maria avvenuta nello stesso mese dell'attacco a Patna, ottenne il grado di superiore della missione.
Nell'aprile del 1762 Bettiah fu conquistata dalle forze del nababbo (governatore moghūl) del Bihar. Il raja indù di Bettiah, che aveva appoggiato la missione cappuccina, fu fatto prigioniero e morì nel giro di pochi mesi. Mentre molti abitanti abbandonavano Bettiah, M. restò nella missione insieme con un colto brahmano di Benares (Varanasi) che era stato il principale consigliere del re; nell'ospizio trovò anche quattro bauli ricolmi di libri del re che, sotto la guida del brahmano, si industriò a leggere e in parte a tradurre.
Le traduzioni riguardano due opere del Kabir Panth - il Mul Panji e il Gyan Sagar - e il Lanka Kanda del Rāmcaritmānas di Tulsīdās. Quest'ultima traduzione è particolarmente importante, sia perché il testo di Tulsīdās - versione vernacolare del Ramayana sanscrito - è spesso considerato una sorta di Bibbia indù dell'India settentrionale, sia perché la traduzione di M. precede di oltre ottant'anni le altre traduzioni in varie lingue europee. Queste traduzioni (le prime due del 1762, la terza del 1764) sono conservate (con i testi hindī e la traduzione italiana interlineare) nella Biblioteca apostolica Vaticana (Borg. ind., 4). Di M., che conoscendo a malapena il sanscrito ammette di dovere molto all'amico brahmano, esiste un'altra traduzione - forse risalente allo stesso periodo - di un'opera in sanscrito che egli chiama Arjuna-gita (Argiun Ghità di Marco). Il testo originale sanscrito non è compreso nel manoscritto, né è stato identificato (Bibl. apost. Vat., Borg. lat., 525, cc. 240-247).
Intorno al 1763 M. incoraggiò i cristiani di Bettiah a riunirsi in un'unica casta; essi aderirono alla richiesta e si accordarono permettendo ai loro figli di sposarsi tra di loro indipendentemente dalle caste di origine.
Questa comunità di cristiani di Bettiah, fondata da Giuseppe Maria da Gargnano e consolidata da M., esiste tuttora e rappresenta uno dei principali patrimoni lasciatici dall'attività di M. in India.
Tra il 1760 e il 1770 l'India settentrionale attraversò un periodo di instabilità che terminò quando gli Inglesi invasero il Regno di Bettiah ed esercitarono un controllo più diretto in forza del quale assegnarono alla missione tibetana un'ampia zona all'interno dell'area fortificata di Bettiah. In tal modo i frati della missione divennero "zamindar", vale a dire proprietari feudali della terra assegnata. Nel 1786 tale proprietà e due villaggi nelle vicinanze di Bettiah furono formalmente ceduti alla missione dal governo della East India Company. Ciò più tardi divenne causa di gravi conflitti in seno alla missione, nei quali M. ebbe un ruolo importante.
Attorno al 1770 M. si dedicò a una serie di saggi di indologia, in parte per soddisfare la propria curiosità e in parte per fornire notizie ai nuovi missionari che venivano in India. Questi saggi, terminati nel 1775, furono offerti a monsignor Stefano Borgia, allora segretario della congregazione di Propaganda Fide nonché principale interlocutore e protettore di M. a Roma. I manoscritti di questi saggi, insieme con le traduzioni di M., si trovano ora nelle collezioni Borgia della Biblioteca apostolica Vaticana.
Essi comprendono due saggi in parte autobiografici (Introduzione al viaggio per l'India e Piccola descrizione dell'India orientale, o Industan), un saggio critico su una pubblicazione di cui era autore uno studioso inglese filoindù di nome John Holwell, e un lavoro più lungo intitolato Libro in cui si descrivono diversi sistemi della religione dei gentili dell'Indostano e Regni circonvicini. Si tratta di testi ormai superati dagli studi dei moderni indologi, ma che hanno rappresentato per gli Europei un primo importante contributo alla conoscenza dell'India. Sebbene nessuno dei lavori di M. fosse pubblicato prima del 1878, anno in cui A. de Gubernatis dette alle stampe una scelta di suoi testi (Gli scritti del p. Marco della Tomba missionario nelle Indie Orientali, raccolti, ordinati ed illustrati sopra gli autografi del Museo Borgiano, Firenze 1878), alcuni dei primi studiosi europei - in particolare sir W. Jones (che parlò con M. nel 1784 a Bhagalpur), A.H. Anquetil Duperron e Paolino di S. Bartolomeo - fanno riferimento all'opera di M. nei lavori da loro pubblicati. Oggi questi scritti autobiografici e molte delle lettere che di lui si sono conservate (la maggior parte delle quali custodite negli archivi di Propaganda Fide) rimangono importanti fonti primarie per la storia dell'India e delle missione tibetana.
Nel 1773 M. lasciò l'India per far ritorno in Europa. A fine gennaio 1774 era a Parigi e da lì si ritirò a Senigallia. Poco tempo dopo chiese a monsignor Borgia di poter rientrare in India. Borgia, dapprima disposto ad aiutarlo, poi informato negativamente, forse da parte dei superiori dell'Ordine dei cappuccini, prese a nutrire molti dubbi sul valore complessivo della missione tibetana e dilazionò la decisione.
Soltanto nel 1782 M. ottenne il permesso di tornare in India. Verso la fine di quell'anno era a Ceylon; quindi, dopo essersi recato a piedi da Galle, nel Sud dell'isola, a Jaffna nel Nord, si imbarcò su una nave diretta a Tranquebar sulla costa sudorientale dell'India. Di là ripartì per Chandernagore, dove arrivò il 31 luglio 1783. Pur avendo sperato in un ritorno a Bettiah, egli fu costretto dalle circostanze ad andare a Bhagalpur, città posta sulle rive del Gange circa a metà strada tra Chandernagore e Bettiah. Qui dedicò la maggior parte degli anni che gli restavano alla cura della piccola comunità cristiana di Bhagalpur.
Dopo la morte - a fine dicembre 1786 - di G. Rovato, prefetto della missione, i conflitti personali tra i frati si fecero molto seri. Pare che lo stesso M. sperasse di diventare prefetto nonostante l'età relativamente avanzata. Pur avendo esercitato ad interim la funzione di prefetto per quasi due anni tra il 1787 e il 1788, gli fu preferito Carlo Maria da Alatri, il quale si inimicò rapidamente non solo lui ma anche la maggior parte degli altri frati. Un'ulteriore fonte di conflitti fu il cappuccino Giuseppe da S. Marcello, superiore della missione di Bettiah dal 1793, che si mise in contrasto sia con altri cappuccini di Bettiah sia con diversi abitanti di quella zona.
Dopo la rimozione nel 1799 di Carlo Maria da Alatri dalla carica di prefetto e la morte (1801) del successore di questo, nel 1802 M. divenne di nuovo per alcuni mesi prefetto interinale della missione. Nello stesso anno Propaganda Fide nominò un visitatore ufficiale con l'incarico di mettere ordine nella missione. Nelle informazioni inviate a Roma - opera del sacerdote secolare R.-L. Foulon - M., il quale era stato messo in stato di isolamento, era accusato di essere persona ignobile. Nel 1804 al cardinale Borgia, che nel 1802 era divenuto prefetto di Propaganda Fide, non restò che convalidare in una relazione presentata alla congregazione molte delle accuse mosse da Foulon a M., che nel frattempo era morto, probabilmente a Bhagalpur, secondo alcune fonti il 18 marzo, secondo altre il 7 giugno 1803.
Fonti e Bibl.: Rocco da Cesinale, Storia delle missioni dei cappuccini, III, Roma 1873, pp. 742 s.; P. Amat di San Filippo, Gli illustri viaggiatori italiani, Roma 1885, pp. 369-388; I missionari italiani nel Tibet e nel Nepal, a cura di L. Petech, II, Roma 1952, ad ind.; F. Vannini, Hindustan-Tibet mission, New Delhi 1981, ad ind.; R. Lupi, Missionari cappuccini piceni, Ancona 2003, ad ind.; D. Lorenzen, The scourge of the mission, Delhi 2007, ad indicem.