DEL MORO (Dal Moro, Moro), Marco
Figlio primogenito di Battista D'Angolo detto del Moro, e di Margherita figlia del pittore Francesco India, detto il Torbido o il Moro, è conosciuto, come d'altra parte tutti i membri della sua famiglia, con il soprannome che derivava al padre dal suocero. Nacque a Verona: le età dichiarate nelle anagrafi veronesi del 1541 e del 1545 (contrada di S. Vitale) consentono di collocare la sua nascita verso il 1536; quelle del 1555 e del 1557 c. (contrada di S. Giovanni in Valle) già specificano che "depenze" (cfr. Gerola, 1910, p. 156).
Evidentemente egli si formò nella bottega del padre, col quale dovette anche collaborare se è vera l'affermazione del Vasari (p. 297) che fu suo aiuto nei perduti affreschi sulla facciata verso il cortile di palazzo Trevisan a Murano, databili 1556-1557 c.: in ogni caso il padre gli affiderà, nel testamento veneziano del 1573, il compito di finire alcune sue opere destinate al Friuli "per essere lui atto a tal finimento" (cfr. Ludwig, 1911, p. 118).
Prima del 1564-1565, quando il D. sembra stabilirsi definitivamente a Venezia, dovrebbero cadere le opere veronesi (tutte perdute) ricordate dalla letteratura, dal momento che il Dal Pozzo (1718, p. 70) lo ritiene attivo a Verona per non lungo tempo e, non conoscendone l'attività veneziana, ne spiega la scomparsa ipotizzando un suo soggiorno a Roma, dove sarebbe morto "in età giovanile", nonché, addirittura, un impossibile discepolato presso Raffaello.
È vero comunque che il nome del D. si lega in qualche modo a Raffaello dal momento che, a giudicare dalle insistenti segnalazioni delle guide settecentesche veronesi, egli sembra essersi fatto una specialità nel trar copie e libere derivazioni da prototipi raffaelleschi, in particolare dalla famosa Sacra Famiglia detta "La Perla" di Giulio Romano, nel Cinquecento a Verona in casa Canossa. Nel 1564-1565 è documentato per la prima volta a Venezia, dove dipinse due perdute lunette per il cortile delle Procuratie "de Supra" (Ludwig, 1911, pp. 118, 141). Firmata e datata 1565 è l'acquaforte con Giove e una ninfa (Bartsch, 1818, p. 206). Nel 1570 firmò e datò la pala con Tutti i santi già nella chiesa veneziana di S. Bartolomeo poi finita, dopo un soggiorno all'Accademia, nella chiesa di Ognissanti (cfr. Moschini Marconi, 1962, p. 94); al 1572 risale il Compianto ai piedi della Croce, la sua seconda incisione, firmata e datata (Passavant, 1864).
Nel 1573 è menzionato, coi fratelli Ciro e Giulio anch'essi pittori, nel già cit. testamento veneziano del padre: al D., in quanto primogenito e, a quanto si legge tra le righe, maggior collaboratore di Battista, spetta non solo "il governo della facultà come maggiore delli altri alli quali sii obbligato render conto del suo manegio", ma anche il possesso de "le stampe mie tutte, così quelle sonno in casa come fuori" (per "stampe" qui si. intende "lastre incise da far stampare", peraltro col consenso dei fratelli e a beneficio economico di tutti e tre: Ludwig, 1911, pp. 117 s.).
L'anno seguente è ricordato coi fratelli in alcuni atti notarili che attuano le disposizioni testamentarie del padre (Brenzoni, 1972, p. 123): il D. è detto "habit. Venetiarum. in contrata S. Semoideis in Curia Ville". Tra il 1576 e il 1577 (Von Hadeln, in Ridolfi [1648], 194, I, p. 333 nota 2) è attivo come pittore e stuccatore sul soffitto della sala dell'anticollegio in palazzo ducale.
I quattro monocromi ovali con le allegorie de L'Abbondanza, La Navigazione, La Giustizia e La Meditazione sono stati purtroppo ridipinti nel sec. XVIII da Sebastiano Ricci e ora appaiono, per la cattiva conservazione, di difficile lettura: per quanto vi si può ancora vedere, il loro gusto spiccatamente veronesiano sembra comunque più dipendere dall'intervento del Ricci che non attestare una fase nel D. di adesione al linguaggio del Caliari.
Nel 1577 il D. è registrato tra i "sindici" dell'arte dei dipintori (Ludwig, 1911, p. 130). Nel 1584 (Gerola, 1910, p. 152) era in lite coi fratelli a proposito di un debito degli eredi di Camillo Ridolfi (questi sono citati anche nei documenti veronesi del 1574: evidentemente restavano da definire alcuni particolari relativi all'eredità paterna); nel 1585, infine, fu pagato dalla Scuola di S. Giovanni de' Battuti a Murano per sette tele con Profeti, e il 21 giugno 1586 per altre tre tele che si sanno commissionate due anni prima (Moschini, 1815, II, p. 609). È questa l'ultima notizia che lo riguarda.
La personalità artistica del D. resta da definire, mancando a tutt'oggi uno studio in cui siano analizzati i vari aspetti della sua opera: oltretutto, come giustamente ha notato Ballarin (1971, p.115), allo stato attuale delle nostre conoscenze appare difficile saldare convincentemente il gruppo di disegni e di incisioni, tra di loro omogenei, con la produzione pittorica superstite. Fortunatamente in campo grafico numerose sono le firme o comunque le sigle sui disegni e sulle acqueforti, e in qualche caso abbiamo anche delle date. Di nove incisioni elencate dal Bartsch (1818) e dal Passavant (1864; cfr. anche Dillon, 1980), due, già citate, sono datate rispettivamente 1565 e 1572; il disegno con la Resurrezione di Chatsworth è firmato e datato 1570, come la pala veneziana agli Ognissanti; infine, è firmato anche il foglio del Louvre con Cristo e la samaritana (Ballarin, 1971, p. 114).
L'incisione monogrammata con lo Sposalizio di s. Caterina, evidentemente un'esercitazione giovanile su un fortunato prototipo del Parmigianino, inciso anche dallo Schiavone e tradotto in pittura da El Greco, sembra rimandare, per restare in ambito veronese, più ad Angelo Falconetto che non alla fase di più acuto parmigianinismo di Battista: più significative sono le incisioni come Giove e una ninfa, firmata e datata 1565, e Augusto e la Sibilla in un'ampia veduta ricca di vegetazione che ricorda il paesaggismo del padre: tra il Campagnola e il nordicismo del Cock e del Dupérac. Le figure mostrano forti legami anche con i tipi, di ascendenza mantovana, di Giambattista Fontana nonché col disegno di Castelvecchio con un Progetto per camino attribuito a Ottaviano Ridolfi.
Il rapporto con la coeva cultura veronese "minore" che ruota intorno alla figura di Battista (dal Falconetto al Fontana a Michelangelo Aliprandi: occorre per altro notare che negli atti notarili veronesi del 1574 compaiono in qualità di testimoni Agostino Aliprandi, fratello di Michelangelo, e il pittore Antonio Falconetto, figlio di Angelo, la presenza dei quali evidentemente indica un preciso rapporto, forse anche dei legami di parentela, coi Del Moro) sembra ancor più esplicito nei disegni di sicura autografia come la Resurrezione di Cristo di Chatsworth, firmata e datata 1570, il Cristo e la samaritana, firmato, del Louvre, il foglio con Diana ed Endimione sempre al Louvre che Ballarin (1971, pp. 114 s.) gli ha giustamente attribuito, nonostante un vecchio riferimento ripreso anche dal Mullaly (1971), al fratello Giulio.
Più lacunosi e criticamente ancora da analizzare sono invece i dati per ricostruire l'attività del D. come pittore: la Circoncisione firmata, proveniente dalla chiesa veneziana di S. Maria dell'Umiltà ed ora all'Accademia di Venezia (Moschini Marconi, 1962, p. 7), è cosa modesta, di gusto provinciale. Interessante è l'acuto gusto ritrattistico di alcuni volti, non lontani dagli inserti ritrattistici esibiti dal fratello Giulio in vari dipinti.
Da un'opera di tal genere non si capisce l'alta considerazione del Dal Pozzo (1718, p.70) per le perdute opere veronesi del D. (ai Ss. Apostoli, a S. Gregorio, ai Cappuccini, nella chiesa del Paradiso, a S. Margherita, in collezione Fattori), considerate talora di qualità "quasi pari a quelle di Raffaello": d'altra parte, già nel Settecento non si dovevano avere più le idee molto chiare tant'è vero che passava per opera sua una pala a S. Cecilia, ora nel Museo di Castelvecchio, che è invece firmata dal seicentista genovese Clemente Bocciardo (S. Marinelli, SuA. Giarola..., in Paragone, XXXIII [1982], 387, pp. 36 s., 42).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite ... [1568], a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, p.297 (e p.298 nota 1); C. Ridolfi, Le meraviglie dell'arte [1648], a cura di D. von Hadeln, I, Berlin 1914, p. 333; II, ibid. 1924, p. 121; B. Dal Pozzo, Le vite de' pittori scultori et archit. veronesi, Verona 1718, pp. 70, 223, 225, 243, 258, 276, 292; G. B. Lanceni, Ricreazione pittorica..., Verona 1720, pp.35, 53, 92, 204, 248; S. Maffei, Verona illustrata, Verona 1732, III, cap. VI, coll. 157, 176, 179, 186; G. B. Cignaroli, Serie de' pittori veronesi, in G. B. Biancolini, Cronica della città di Verona..., II, 2, Verona 1749, pp. 202 s.; A. M. Zanetti, Della pittura venez. e delle opere pubbliche de' venez. maestri, Venezia 1771, p. 288; L. Lanzi, Storia pittorica della Italia... [1808], a cura di M. Capucci, II, Firenze 1970, p. 103; G. A. Moschini, Guida per la città di Venezia..., Venezia 1815, I, pp. 211, 561; II, pp. 410, 608 s.; A. Bartsch, Le peintre graveur, XVI, Wien 1818, pp. 210 -208; C. Bernasconi, Studi sopra la storia della pittura ital. dei secoli XIV e XV e della scuola pittorica veronese..., Verona 1864, p. 340;J.-D. Passavant, Le peintre-graveur, VI, Leipzig 1864, p. 182;D. Zannandreis, Le vite dei pittori, scultori..., Verona 1891, pp. 138 s.; P. Kristeller, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon..., I, Leipzig 1907, p. 521 (sub voce Angolo del Moro, Marco); G. Gerola, Questioni stor. di arte veronese, 8, Torbido, Moro e Dall'Angolo, in Madonna Verona, IV (1910), 3, pp. 152 s., 155 ss.; G. Ludwig, Archivalische Beiträge zur Geschichte der venezianischen Kunst, in Italienische Forschungen, IV (1911), pp.116 ss., 130, 141;M. Pittaluga, L'incisione ital. nel Cinquecento, Milano 1928, p. 296;D. Viana, Francesco Torbido detto il Moro pittore veronese, Verona 1933, pp. 16, 8 ss.; S. Moschini Marconi, Gallerie dell'Accademia di Venezia. Opere d'arte del sec. XVI, Roma 1962, pp. 7, 94;A. Ballarin, Considerazioni su una mostra di disegni veronesi del Cinquecento, in Arte veneta, XXV (1971), pp. 114 s., 118;T. Mullaly, Disegni veronesi del Cinquecento, Vicenza 1971, pp. 68-71; R. Brenzoni, Diz. di artisti veneti, Firenze 1972, pp. 122 s.; G. Dillon, in Palladio e Verona (catal.), Verona 1980, pp. 288s.