DANDOLO, Marco
Nacque a Venezia dopo il 1362, anno del matrimonio di suo padre, Benedetto di Pietro, con Agnesina Giustinian.
Le cospicue ricchezze famigliari - nel 1379 il padre era allibrato all'estimo del Comune per ben 8.000 ducati - e la mancanza di dirette responsabilità domestiche (soltanto nel 1118, in età matura, sposò Donata Venier di Andrea, dalla quale non ebbe figli) possono forse spiegare le attenzioni da lui rivolte al rifacimento del palazzo a S. Moisè, abbellito di uno splendido giardino sul Canal Grande e successivamente vincolato, assieme alle abitazioni contigue, che ancor oggi formano l'insula tra le due calli Giustinian e Vallaresso, nella primogenitura del fratello Paolo. Per tutto il tempo del complesso restauro si trasferi a S. Luca: da qui, per disperazione dei suoi biografi, l'equivoco della contrada di appartenenza, che fece premettere al Priuli, nelle pagine a lui dedicate, una nota di prudente riserva, che purtroppo non ha perso del tutto la sua ragion d'essere: "...quando in una medesima città sono vivuti in una famiglia con un medesimo nome più soggetti, riesce molto difficile... distinguere con sicurezza i fatti di ciascheduno... E veramente la varietà non meno che la quantità degli honori conferiti nella persona di questo senatore mi ha parso grande occasione di dubitare che fossero stati impiegati non in lui solo, ma in più soggetti di questo nome".
Iniziò la carriera politica nel 1400, come savio agli Ordini, tradizionale punto di partenza per quanti aspirassero al cursus honorum nelle massime cariche dello Stato; tre anni dopo, infatti, era consigliere per il sestiere di S. Marco e partecipò alle trattative commerciali con il re di Serbia. Nel 1404, le prime ambascerie, sia pure di non grande rilievo: presso Innocenzo VII, per congratularsi dell'elevazione al soglio pontificio, e a Mantova, nel tentativo di indurre i Gonzaga a schierarsi contro Francesco Novello da Carrara. A Venezia, infatti, si viveva l'imminenza di eventi decisivi e sembrava ormai prossimo il regolamento di conti con Padova, la cui alleanza con Genova, durante la guerra di Chioggia, non era stata dimenticata: il 16 nov. 1405 la città cadeva sotto l'urto delle truppe veneziane, presso le quali il D. ricopriva l'incarico di provveditore in campo. Passò poi nel Veronese, a reprimere i disordini provocati dagli sbandati, a rispondere con violenza alla violenza, finché "pose il tutto in quiete e sicurezza". Negli anni seguenti la sua figura sembra defilarsi nel mondo politico veneziano: probabilmente è lui il Marco Dandolo che il 20 ag. 1408 accettò dall'arcivescovo di Patrasso la dedizione della città, in cambio di protezione contro i Turchi, e il 18 luglio 1411 quella del Comune di Aviano. Con certezza sappiamo che in questo stesso anno fu a Bologna, presso il papa Giovanni XXIII, per trattare un accordo con il re d'Ungheria. Nel 1412 fu nuovamente consigliere e capitano delle galere d'Alessandria; nel 1413 commissario testamentario del doge Michele Steno, segno, questo, del notevole prestigio acquisito, come del resto testimonia la sua presenza nella stipulazione dell'alleanza quinquennale con Milano, avvenuta il 10 marzo 1414. Soltanto nel 1416, tuttavia, lasciò Venezia con un incarico di responsabilità: quello di capitano a Verona, dove si trattenne sino al 1417. Fu poi inquisitore in Friuli, a Brugnera, di recente conquistata, ancora una volta "per castigar e tener in freno gli sturbatori della quiete"; nel 1419 fece parte del Consiglio dei dieci e fu nuovamente consigliere, nel 1420 ritornò a Padova, stavolta come podestà. Le sue maggiori attenzioni furono rivolte al riordino dell'apparato giuridico, nel tentativo di conciliare i vecchi ordinamenti comunali con la nuova realtà politica. Riuscì pertanto a regolamentare le spese forensi, le procedure civili e penali, i rapporti tra la città ed i vicariati minori. Non ci è dato sapere quanto la recente esperienza matrimoniale possa aver influito sulle sue ancipiti attenzioni verso il problema femminile: se è vero, infatti, che varò provvedimenti favorevoli alle donne vittime di bastonature, e persino alle adultere, inasprì d'altro canto le pene contro le meretrici e - ma soprattutto - contro le giovani che ardissero contrarre promessa di matrimonio senza l'assenso paterno.
Era ancora a Padova, nel marzo 1421, occupato nei restauri del palazzo pretorio, ch'era andato a fuoco, quando fu eletto capitano a Zara. Dapprima accettò, ma poi chiese la dispensa, che gli venne accordata; nel 1423 fu avogador di Comun e, nell'aprile, tra gli elettori del doge Foscari, il più deciso assertore di una politica di espansione in Terraferma. La sua posizione in proposito non può essere messa in dubbio: consigliere nel 1424 e nel 1425, in quest'ultimo anno fece parte del Consiglio dei cento savi ai quali era stato affidato il compito di deliberare sulle guerre di Lombardia. Qualche mese più tardi era nuovamente provveditore in campo, presso le truppe del Carmagnola, alla testa delle quali entrò vittorioso in Brescia, il 17 marzo 1426. Il successo personale coincideva con il maggior trionfo veneziano: nel giro di pochi mesi accettò l'incarico di avogador di Comun, ma rifiutò quello di ambasciatore a Ferrara e, nel marzo del 1427, quello di duca di Candia. Preferì restarsene a Brescia, per amor di servizio e - al dir delle fonti - "sine aliqua utilitate", anche se i sei cavalli corsieri, eccezionalmente accordatigli dalla Repubblica "per maggior riputazione del carico, et honorevolezza della persona", ci inducono a pensare che il D. esercitasse in quella provincia poteri così estesi da rendergliene amaro il distacco.
Gli venne affidata una missione importante: trattare con Sigismondo, re dei Romani e d'Ungheria, al quale la Repubblica, da qualche anno, aveva strappato la Dalmazia. Al futuro imperatore Venezia offriva aiuto contro gli Ussiti ed i Turchi; in cambio chiedeva la rinuncia alle città adriatiche, la garanzia che non ci sarebbe stata lega con Milano, il riconoscimento delle recenti conquiste in Terraferma dove alcune province, particolarmente quelle di confine (il Bergamasco, il Bresciano, il Friuli), erano profondamente segnate dalla presenza feudale. Il negoziato si presentò subito assai arduo: Sigismondo non intendeva impegnarsi in accordi di ampio respiro e cercava soltanto una tregua di qualche mese, che gli lasciasse mano libera per scendere in Italia. Il D. fu eletto luogotenente della Patria del Friuli: da Udine gli sarebbe stato più agevole proseguire la trattativa con l'incaricato del re, Kaspar Schlick, al quale peraltro non riuscì a strappare che la concessione di una tregua (Temesvar, 8 sett. 1428), la quale avrebbe dovuto preparare la pace, e invece venne lasciata cadere nell'aprile successivo, soprattutto perché Venezia rifiutò di impegnarsi sul Danubio contro i Turchi.
Nel marzo 1430 si era alla rottura, tra lo Schlick e il D., ma nell'ottobre del 1431 Sigismondo dava allo Schlick l'incarico di comunicare all'inviato veneziano che rinunciava definitivamente ad ogni pretesa sulla Dalmazia.
Mentre proseguivano le complesse trattative col sovrano lussemburghese, il D. continuò a svolgere un'intensa attività pubblica. Consigliere a Venezia nel 1430, nel 1431-1432 fu capitano a Brescia, dove - come già aveva fatto a Padova e ad Udine - avviò la modifica degli statuti e delle leggi locali, così da uniformarle il più possibile a quelle della Serenissima. Ancora consigliere nel 1432, nell'aprile fu nominato provveditore in campo contro i Milanesi.
Si trovava allora a Brescia, come capitano di quella città, ed aveva fatto pervenire al Consiglio dei dieci numerosi dispacci con gravi accuse nei confronti del Carmagnola. L'annuncio dell'arresto e dell'imprigionamento del condottiero "propter causas vobis notas" venne dal Senato comunicato al D. insieme a quello del conferimento dei pieni poteri per la lotta contro i Viscontei.
Consigliere e avogador di Comun nel 1433, nel 1434-1435 ricoperse la carica di podestà a Padova, dove riprese e continuò l'opera di riordinamento legislativo iniziata quattordici anni prima. Tornò, fra l'altro, ad occuparsi dei problemi della donna, emanando disposizioni penali nei confronti di chi avesse violato una serva. Di nuovo consigliere nel 1435 e poi ancora nel 1437, nell'estate di questo stesso anno venne incaricato di una missione altamente onorifica: rappresentare la Repubblica nella solenne cerimonia con la quale si conclusero i laboriosi negoziati con l'imperatore Sigismondo.
Il 20 luglio 1437 l'imperatore emanò da Eger il diploma con cui riconosceva a Venezia il possesso di tutte le terre già di dominio imperiale in Terraferma. Il 16 agosto, al termine di una cerimonia svoltasi a Praga, il D. ricevette dal sovrano, in nome della Repubblica di S. Marco, l'investitura "iure feudi" delle città conquistate, fino all'Adda: Feltre, Belluno, Ceneda, Treviso, Brescia, Bergamo, Casalmaggiore. Rimanevano escluse Verona e Vicenza, in riconoscimento dei diritti di Brunoro della Scala. La Serenissima risolveva in tal modo il problema dei suoi rapporti con strutture politiche diverse, accentuando ulteriormente il carattere oligarchico dei suoi ordinamenti. Nel corso della cerimonia il D. ricevette dall'imperatore il titolo di conte palatino.
Dopo essere stato podestà a Brescia dal 29 giugno 1438 al 28 ag. 1440, il D. rientrò in Venezia, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita, sempre impegnato sul piano politico come consigliere e senatore.
Qui morì il 24 nov. 1444. Il suo corpo fu sepolto a S. Moisè, nella cappella del SS. Sacramento.
Fonti e Bibl.: Per la biografia del D. cfr. Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd. I, St. veneta 17-23: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patrizi…, III, p.196; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti..., cc. 229r-230r; Ibid., Mss. P. D. 112c: Notizie della famiglia Dandolo, cc. 115r, 145r, 148r, e ff. "gg", "kk", "ll"; Ibid., Cod. Cicogna 2151: Memorie illustri della famiglia Dandolo, pp. 11 s. e passim; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 16 (= 8305): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, II, cc. 6r, 13r; Ibid., Mss. It., cl. VII, 538 (= 7734): Libro di nozze e genealogie di famiglie patrizie, c. 47r. Frammentarie notizie sulla sua vita, in Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3676: Cronaca di Agostino degli Agostini, ad annos; Ibid., Cod. Cicogna 3749: Cronaca Navagero, pp. 245, 260, 266; I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, Venezia 1883-1901, III, pp. 296, 298, 335 s., 353, 370 s.; IV, pp. 59, 123, 147, 212, 214; V, p. 134. Sulla carriera politica: Archivio di Stato di Venezia, Segr. alle Voci. Misti, reg. 4 e reg. 13, ad annos; Ibid., Avogaria di Comun, reg. 2518: Spiritus, cc. 24v-25r, 26v, 38r, 39r, 46v, 53v-54r, 56v, 60r, 71v-72r, 78v-80r, 88r, 97r, 101v; Ibid., Senato. Deliberazioni miste, reg. 45, cc. 4r, 6rv, 8rv; Ibid., Senato. Delib. secreta, reg. I, cc. 139v, 148rv; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori viniziani, Venezia 1752, I, p. 8; II, p. 75, 281 s.; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, VI,Venezia 1853, pp. 84 ss.; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, IV,Venezia 1855, pp. 155, 157, 159, 172, 185 ss.; I. Raulich, La caduta dei Carraresi signori di Padova, Padova 1890, pp. 24, 34; O. Schiff, Koenig Sigmunds italienische Politik bis zur Romfahrt (1410-1431), Frankfurt 1909, pp. 122 s., 128 s., 149, 151; H. Kretschmayr, Geschichte von Venedig, II, Gotha 1920, pp. 342, 344; G. Zonta-G. Brotto, Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1406 ad annum 1450…, Patavii 1922, pp. 208, 222-27, 230, 232-36; F. Cognasso, Il ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria, in Storia di Milano, VI,Milano 1955, pp. 223, 255, 257, 279, 323.