MARCO dall'Aquila
Nacque presumibilmente all'Aquila verso il 1480.
La data di nascita è desumibile (Ness, p. 345) sulla base del primo documento che lo riguarda: una richiesta di privilegio di stampa datata 1505, per firmare la quale M. doveva essere maggiorenne. Un testimone aquilano della generazione successiva ne parla come di un "eccellentissimo musico, e sonator di liuto, e tale che combattea di magioranza co'l gran Francesco Milanese" (Fonticulano, pp. 106 s.).
A quanto sembra, M. si stabilì a Venezia, dove l'11 marzo 1505 chiese e ottenne un privilegio decennale di stampa e vendita per le intavolature liutistiche.
Nella supplica indirizzata al doge e al suo "sapientissimo consiglio", M. sottolinea di essersi "inzegnato a comune utilitate de quelli che se deletarono sonar de lauto nobilissimo instrumento pertinente a varij zentilhuomini far stampar la tabulatura, et rason de metter ogni canto in lauto cum summa industria, et arte", e di aver impiegato a tal fine molto tempo e risorse; non essendo però mai stato realmente stampato alcun lavoro, chiede che non si permetta a nessuno di stampare e vendere intavolature di liuto a Venezia e in genere in territorio veneziano (Arch. di Stato di Venezia, Cancelleria ducale, reg. 23, c. 141; Ness, pp. 350 s.).
All'epoca neanche O. Petrucci, che godeva del privilegio di stampa di musica in genere, aveva mai prodotto intavolature: a lui si devono almeno quattro libri importanti, con musica di F. Spinacino, G.M. Alemanni (Hebreo o Gianmaria Giudeo), G.A. Dalza e Francesco Bosniaco (Franciscus Bossinensis), comparsi tra il 1507 e il 1511. Non è noto se M. fosse in concorrenza con Petrucci, se mai abbia realmente utilizzato il privilegio, se l'abbia poi ceduto o si sia accordato con Petrucci, perché non è rimasto testimone alcuno di una sua effettiva produzione editoriale. L'unica traccia dell'esistenza di eventuali libri potrebbe essere rappresentata dalla constatazione che il corpus pervenuto di musiche di M., sostanzialmente tutto tradito in forma manoscritta (nei cosiddetti manoscritti Herwarth, conservati nella Bayerische Staatsbibliothek di Monaco), sembra riflettere per molti aspetti l'organizzazione dei libri a stampa. Ness, che ha studiato la collezione e nello specifico il lascito di M., ha formulato un'ipotesi convincente in tal senso: a favore della copia dei suddetti manoscritti da due o forse tre stampe sarebbero la compattezza e coerenza del blocco attribuito a M., la successione per genere dei pezzi (tipico della tradizione a stampa, contro l'abitudine di accostare pezzi differenti dei manoscritti), l'ordine formale delle pagine e la correttezza della scrittura (Ness, pp. 293 s., 356).
La famiglia Herwarth - cui apparteneva Hans Heinrich, che aveva raccolto la gran parte della collezione musicale - proveniva da Augusta, all'epoca centro di grande importanza mercantile e culturale nella Germania meridionale e negli scambi commerciali con l'Europa; in questa rete non poteva mancare Venezia, che ospitava al fondaco dei Tedeschi una cospicua colonia germanica, alla cui testa nel corso degli anni si avvicendarono spesso esponenti del patriziato mercantile di Augusta.
Pur mancando prove documentarie, pare ragionevole ipotizzare che gli antigrafi delle musiche di M. - fossero le stampe perdute oppure manoscritti - siano pervenuti nell'ambiente degli Herwarth per il tramite del fondaco dei Tedeschi, di cui tra l'altro nel 1537 era stato console Pandolfo Herwarth: il fascicolo relativo alla musica di M. nei manoscritti in questione è databile intorno al 1539. Inoltre vi sono altri casi in cui sembra potersi documentare un ruolo dell'ambiente del fondaco dei Tedeschi nello scambio di musica e musicisti tra Venezia e la Germania (ibid., p. 69).
Un'altra traccia della presenza di M. a Venezia si trova in una lettera di G. Spataro al celebre organista veneziano M.A. Cavazzoni che riferisce di uno scambio di opinioni tra lo stesso Spataro e P. Aaron a proposito di problemi di temperamento, con riguardo a una composizione di A. Willaert, nel corso del quale Aaron dichiarò di aver discusso le idee di Spataro con M., considerandolo interlocutore di grande intelligenza. Spataro non sembra gradire l'iniziativa ed esprime perplessità, ritenendo che un teorico fine come Aaron non potesse ricavare lumi dall'opinione di un mero "pulsatore de istrumento". Data la considerazione per lui nutrita da Aaron, si può presumere che M. non fosse appunto un semplice strumentista, ma possedesse un bagaglio culturale e teorico più solido.
Il nome di M. ricorre più di dieci anni dopo nella prefazione di Francesco Marcolini da Forlì a un'antologia di composizioni liutistiche di Francesco da Milano, stampata a Venezia nel 1536; in essa M. è accostato ad Alberto da Ripa a fianco di Francesco come esponente di un nuovo, moderno stile, a contrasto della vecchia maniera, rappresentata da Alemanni e da G.A. Testagrossa. Marcolini annunciava altresì l'uscita di una nuova antologia, che avrebbe dovuto comprendere anche composizioni di M.: tuttavia non si ha alcuna certezza che quest'opera sia stata effettivamente pubblicata.
Il nome di M. compare per l'ultima volta in una lettera di P. Aretino a P. Manuzio (Venezia, 9 dic. 1537), in cui è menzionato come "il mio messer Marco da l'Aquila" (ibid., p. 354).
Dopo questa data non si hanno notizie di M., di cui si ignorano il luogo e l'anno di morte.
Alla luce dei dati conosciuti, l'attività di M. sia come compositore sia come eventuale editore cadrebbe nel periodo che va dal 1505 fino almeno al 1536, anno di stampa delle prime opere di Francesco da Milano e della prima antologia, l'Intabolatura di liuto de diversi, in cui compare musica di Marco. Di tutta evidenza risulta il ruolo che M. dovette rivestire nell'ambiente liutistico italiano (e forse tedesco) della prima metà del Cinquecento; è soprattutto l'analisi della sua opera, unitamente ai giudizi lusinghieri (per quanto numericamente scarsi) tramandatici, che rivela la qualità della sua presenza e della sua incidenza nel panorama musicale dell'epoca.
L'opera di M. è pervenuta in forma di intavolature manoscritte, con l'eccezione di tre pezzi a stampa; si tratta di un lascito compatto, testimoniato all'interno dell'ampio corpus dei manoscritti Herwarth (Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Mus. Hss., 266, cc. 21-61), riordinato e studiato da Ness nella sua dissertazione dottorale. Tale fonte testimonia la produzione di M. in tutti i generi praticati dai liutisti all'inizio del Cinquecento: si trovano soprattutto ricercari-fantasia, e in numero minore chansons, intavolate forse dalle prime stampe di Attaignant, oppure raccolte italiane di "canzoni francesi" (cfr. Ness, p. 302), tra cui le celeberrime Il est bel et bon di P. Passereau e La bataille di C. Janequin, nonché un preludio e una versione di una celebre danza del periodo, Traditora.
Tra la fine del Quattrocento e l'inizio del Cinquecento si assisté a un passaggio tecnico essenziale per il prepotente sviluppo successivo del repertorio liutistico, vale a dire il prevalere dell'esecuzione a dita nude rispetto a quella con il plettro (non esclusiva come si pensava fino a poco tempo fa, ma certamente caratteristica della tradizione medievale e primoquattrocentesca). Questo comportò la possibilità di eseguire polifonie sempre più complesse, e il passaggio dalla figura del liutista esecutore-improvvisatore a quella del liutista compositore, con la fissazione scritta del repertorio. M., appartenente a una generazione di mezzo tra quella dei liutisti rappresentati nelle stampe di Petrucci e quella di Francesco da Milano, fu un personaggio-chiave in questo passaggio; Francesco (di circa 15 anni più giovane di M.) lo perfezionò ulteriormente, incarnando un modello "classico" della composizione liutistica del primo Cinquecento, che fu molto imitato e servì da base per numerose elaborazioni successive. Oltre all'uso o meno del plettro, particolare tecnico importante fu lo sviluppo della tecnica di diteggiatura della mano destra con l'utilizzo dell'alternanza tra pollice e indice, con l'indice che passa sopra al pollice. Tale diteggiatura risulta ovviamente dalle intavolature, e nell'opera di M. ne possiamo osservare l'utilizzo maturo, evidentissimo nei ricercari (il genere più rappresentato all'interno della sua opera; ibid., pp. 377-379).
Il contributo di M. si può leggere anche sul versante della tecnica compositiva, soprattutto nella ricerca di un equilibrio tra l'originale tendenza rapsodica e improvvisativa del liutismo quattrocentesco (con moduli che a tratti si ritrovano anche in alcune fra le composizioni testimoniate dal manoscritto Mus. Hss. 266), la tendenza ad assimilare la scrittura per liuto a quella della polifonia vocale rinascimentale "regolarizzandola", e la necessità di trovare un rinnovato linguaggio idiomatico, specifico per lo strumento (ibid., p. 384).
Recentemente le composizioni di M. sono state oggetto di un diffuso recupero da parte dei liutisti, con diverse incisioni discografiche; l'edizione critica a cura di Ness (in corso di stampa a Lucca) aiuterà presumibilmente a restituirgli il ruolo che merita anche rispetto al più ampio contesto della musica del Cinquecento.
Opere: 14 ricercari-fantasia, 6 chansons intavolate, 1 preludio, Traditora (Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, Mus. Hss. 266); 3 fantasie in Intabolatura di liuto de diversi (Venezia, Marcolini, 1536).
Fonti e Bibl.: E. Lowinsky, Adrian Willaert's Chromatic "Duo" Re-examined, in Tijdschrift van de Vereniging voor Nederlandse Muziekgeschiedenis, XVIII (1956), pp. 1-36 (lettera di G. Spataro a M.A. Cavazzoni); I.P. Fonticulano, Breve descrittio di sette città illustri d'Italia, L'Aquila 1582, pp. 106 s.; A. Ness, The Herwarth lute manuscript at the Bavarian State Library, Munich: a bibliographical study with emphasis on the works of M. dall'A. and Melchior Mewsidler, diss., New York University, 1984; H.C. Slim, The keyboard ricercar and fantasia in Italy, ca. 1500-1550, with reference to parallel forms in European lute music of the same period, diss., Harvard University, 1961, pp. 224 s., 300-302, 602-604; Répertoire international des sources musicales, s. B/1, Recueils imprimés, 1536/10.