CORNER, Marco
Nacque a Venezia nel dicembre del 1406 da Giorgio di Andrea - figlio del doge Marco - e da Caterina Giustinian di Giustiniano. Nel 1444 egli sposò Fiorenza Crispo di Nicolò, duca dell'Arcipelago, e di Valenza, figlia dell'imperatore di Trebisonda Giovanni IV Comneno, dalla quale ebbe numerosi figli: due maschi e sei femmine, tra cui la futura regina di Cipro, Caterina.
Un matrimonio prestigioso, dunque, che si spiega con le grandi ricchezze che il C. possedeva in Levante e con la posizione di rilievo che ricopriva nel mondo della mercatura: sappiamo che nel 1449 egli era a Cipro, ad acquistare il grano raccolto sulle proprietà dei cavalieri di Rodi, e persino nell'elogio funebre Pietro Contarini lasciò largo spazio alla commossa rievocazione della fortuna accumulata in tanti anni di viaggi, di traffici, di commerci, a suo dire, incredibilmente onesti: "At quomodo est adeptus? Non quaestu, non fraude, non rapina, sed ingenio, industria et honestissima solertia". Qualità tutte che egli imparzialmente divise tra l'attività privata e quella pubblica, giacché la sua vita si svolse tra Cipro e Venezia.
I lunghi periodi di permanenza in Levante spiegano dunque il ritardo con cui il C. si accostò all'attività politica; bisogna attendere il 1452 per vederlo chiamato a sostenere il suo primo incarico, per di più di semplice rappresentanza: fu uno dei cinque nobili destinati ad intrattenere nel suo soggiorno veneziano l'imperatore Federico III, che per questo lo fece cavaliere. Due anni dopo il C. diventava savio di Terraferma per il semestre marzo-settembre ed iniziava una carriera politica prestigiosa, che pareva schiudergli le migliori prospettive: ancora savio di Terraferma nei due anni successivi, dall'ottobre '56 entrava a far parte dei consiglieri ducali per il sestiere di S. Polo, dove allora la famiglia risiedeva. Stava appunto esercitando tale magistratura, quando la sua attività venne bruscamente interrotta: fu bandito infatti per due anni da tutti i domini della Repubblica per non aver denunciato il fratello Andrea, risultato colpevole di broglio nell'elezione alla zonta del Pregadi. Tornò a Cipro, dove possedeva vaste proprietà; riprese i traffici di un tempo, e con successo, se l'11 luglio 1458 poteva acquistare dai Mocenigo, per 12.000 ducati, lo splendido palazzo di S. Cassiano, sul Canal Grande, che sarebbe divenuto la residenza della famiglia, al quale ne aggiunse, un poco più tardi, un altro a S. Polo. Intanto, nel '58, era morto il re Giovanni II Lusignano, ed il trono era passato alla figlia Carlotta, che sposò Luigi di Savoia; ma due anni più tardi il ritorno nell'isola di un figlio illegittimo di Giovanni, il futuro Giacomo II, costringeva la regina a riparare nel castello di Cerines, dove il C. la seguì, assieme al fratello Andrea ed alla maggior parte dei veneziani. Tutti costoro furono solidali con quella che continuavano a ritenere la vera sovrana fino al 1463, allorché Giacomo obbligò la sorellastra ad abbandonare Cipro ed assunse il potere nelle sue mani: da questo momento i Corner presero a collaborare col nuovo re, che verso di essi non parve dimostrare risentimento.
Occorre precisare, tuttavia, che la condotta del C. verso il bastardo non era stata poi così lineare: il de Mas Latrie, che ancor oggi rappresenta la più notevole raccolta di documenti relativi alla storia dell'isola, presenta infatti due versioni contrastanti in proposito: una di esse afferma che, quando ancora era vivo Giovanni II, il C. cercò di sottrarre a Giacomo l'arcivescovato di Nicosia, che il re suo padre gli aveva riservato, nell'intento di farlo conferire al proprio fratello Andrea; l'altra invece suggerisce che fu proprio il veneziano a fornire al giovane ribelle i mezzi per recarsi dal sultano d'Egitto, da dove sarebbe poi ritornato per muovere alla conquista dell'isola.
È certo comunque che il C. ottenne il favore del nuovo sovrano e, nel '64, tornò a Venezia, lasciando a Cipro il fratello, che nella sua qualità di auditore del regno poteva benissimo provvedere ai comuni interessi. Nella Dominante riprese la carriera politica: l'incidente del 1457 appariva ormai dimenticato, tanto più che ora la Repubblica guardava ad Oriente, dove il dinamico Uzūn Hàsan, stava per muovere contro il Turco; poteva essere un alleato prezioso, e per di più era anche cognato del C.: a quest'ultimo pertanto si rivolse il Senato, esortandolo ad inviare un suo messo in Persia, per concordare una comune condotta operativa contro il sultano di Costantinopoli. Si spiega in tal modo l'ampio appoggio concesso da Venezia, proprio nell'estate del '64, al C. nei confronti di certi crediti che costui vantava verso il Lusignano e la sua elezione a savio di Terraferma, confermata anche nel '65. Nell'ottobre 1466 era chiamato nuovamente a ricoprire la carica di consigliere ducale e l'anno seguente diventava, per la prima volta, savio del Consiglio; in tale veste fu inviato in Romagna, tra l'ottobre ed il novembre 1467, presso il Colleoni, del quale era necessario assicurarsi la collaborazione contro lo Sforza. La missione ebbe esito positivo, ma i delicati equilibri sui quali si reggeva la lega italica lo costrinsero, l'anno seguente, a recarsi come provveditore in campo "ad partes Lombardie", munito di 25.000 ducati per assoldare uomini e rafforzare le difese: stavolta il pericolo non proveniva soltanto da Milano, ma anche da Firenze e Napoli, che non avevano sottoscritto i capitoli di pace stabiliti a Roma. L'incarico non presentava particolari difficoltà, ed il C. poté presto tornare alle sue incombenze di savio del Consiglio e di avogador di Comun; senonché, proprio il 31 luglio 1468, si verificò l'avvenimento di gran lunga più importante e significativo non solo per lui, ma si può dire per l'intera famiglia: il fidanzamento della figlia Caterina con Giacomo Il. Ideatore ed artefice dell'operazione era stato il fratello Andrea, ma il C. ne avallò in tutti i modi l'operato, contribuendo a garantire i 100.000 ducati previsti per la dote con gli immensi crediti di cui era titolare nei confronti della Corona cipriota. Era la sanzione definitiva delle sue fortune economiche e politiche: la posizione di prestigio e le protezioni di cui ormai godeva gli consentivano infatti di operare con disinvolta sicurezza nel mondo del commercio levantino e, nel contempo, di essere costantemente presente tra le massime cariche dello Stato; divenne dunque savio del Consiglio nel 1469, consigliere di Venezia nel '70 e ancora savio del Consiglio e provveditore in Lombardia nell'agosto, per ispezionare le truppe e le fortificazioni; nuovamente savio del Consiglio nel '71 e ambasciatore straordinario a Roma per l'elezione al pontificato di Sisto IV, e poi consigliere e savio del Consiglio nel '72 e '73. Nel frattempo, Caterina era diventata regina, ma non aveva tardato a conoscere dolori e lutti: nel luglio '73 le era morto il marito, nel novembre una congiura appoggiata da Ferdinando di Napoli aveva causato la morte dello zio Andrea, che era stato il suo più valido e fidato collaboratore. Era rimasta sola, in un ambiente infido, dominato da congiure di palazzo e pressioni politiche di tanti, troppi nemici. Invano il C. cercò di raggiungere la figlia: il Senato gli negò costantemente il permesso finché la morte del piccolo Giacomo, l'erede al trono, non ripropose drammaticamente la situazione dell'isola alle mire delle potenze mediterranee. Per cautelarsi, nell'ottobre 1474 la Repubblica decideva allora di inviare a Cipro il C., con l'incarico di collaborare col provveditore veneziano, comportandosi di fronte alla nobiltà locale e agli inviati stranieri "ita ut qui forte cupidi essent rerum novarum intelligant nihil se molituros esse, nisi in propriam pernitiem". Era una missione assai delicata, che poteva prestarsi - come in effetti avvenne - ad una serie di fraintendimenti: il C., infatti, giungeva a Cipro formalmente col consenso della Signoria, ma in pratica con l'intenzione di restituire alla figlia l'autorità che i rappresentanti veneziani le avevano strappato, e di divenirne il vero consigliere. Questo, naturalmente, lo portò molto presto a scontrarsi, con i funzionari della Repubblica, i quali esercitavano l'effettivo governo dell'isola e non erano affatto disposti a riconoscere al C. un'autorità lesiva di quella che essi stessi avevano ricevuto dal Senato e della quale sapevano di essere tenuti a rispondere. Il C., allora, esortò la figlia a rivolgersi direttamente al doge, le suggerì lettere colme di sdegno per l'esautorazione patita, ne scrisse lui stesso di vibranti per commossa partecipazione alle umiliazioni inflitte alla figlia: "Ho trovato che ella non ha se non tre over quatro garzoni in casa... La vivanda soa l'è portada in camera soa, sopra uno deschetto largo un brazo. Prometto alla S. V. una de mie fiole è usa meio e meio tratada". A loro volta, i magistrati veneziani lamentavano le "prepotenze" del C., che "voria redur le cose non secondo li comandamenti di Vostra Excellentia, ma secondo el suo natural consueto, reducendo tutto a sua utilità e beneficio"; più forte di tutti strillava il consiglier Diedo, che in una lettera del 10 maggio 1475 sfogava tutto il rancore di un animo esacerbato: "Io crepo sentir ogni hora per ogni letera li deportamenti di questo novo re". La risposta ducale, improntata alla più perfetta imparzialità, rincuorò un po' tutti: esortò caldamente i consiglieri veneziani a perseverare nel loro alto ufficio, ma accordò anche una rendita di 8.000 ducati alla regina, per il suo mantenimento. Non sappiamo fino a quando il C. rimase a Cipro: all'inizio del '76 era a Venezia, dove partecipò all'elezione del doge Andrea Vendramin; savio del Consiglio l'anno seguente, nel '78 fu nuovamente tra gli elettori ducali. Morì a Venezia nel 1479 e fu sepolto nella chiesa di SS. Apostoli, alla presenza del patriarca e della Signoria al completo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii..., III, pp. 9, 33; Ibid., Avogaria di Comun. Balla d'oro, regg. 162, c. 143v; 164, c. 84r; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campid. veneto, I, c. 324r; Venezia, Bibl. d. Civ. Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti, I, cc. 202r-203r, 204r. Sulla carriera polit. come savio di Terraferma e del Consiglio negli anni 1454-57 e 1466-68, vedi Arch. di Stato di Venezia, Senato. Deliberazioni secreta, regg. 20, 23, passim; D. Malipiero, Annali veneti dal 1457 al 1500, in Arch. stor. ital., VII (1843-44), pt. 1, pp. 25, 235; pt. 2, pp. 597 s., 600, 604; M. Sanuto, I Diarii, X, Venezia 1883, col. 764; A. Valier, Patriciorum aliquot Venetorum orationes ..., Patavii 1719, pp. 202-212; M. L. de Mas Latrie, Histoire del'île de Chypre sous le règne des princes de la maisonde Lusignan, III, Paris 1855, pp. 156 s., 182 s., 313, 316, 376, 398 s., 818 s.; P. M. Perret, Histoire des relations de la France avec Venise duXIIIe siècle à l'avènement de Charles VIII, I, Paris 1896, p. 552; F. Forcellini, Strane peripezie di un bastardo di casa d'Aragona, in Arch. stor. per le prov. napoletane, XXXVIII (1913), pp. 88, 451; H. Kretschmayr, Gesch. von Venedig, II, Gotha 1920, pp. 389-390, 451; G. Magnante, L'acquisto dell'isola di Cipro da partedella Repubblica di Venezia, in Arch. veneto, s. 5, V (1929), pp. 96, 98-99; VI (1929), pp. 25-29; A. Berruti, Patriziato veneto. I Cornaro, Torino 1953, pp. 47 s., 53. 72 s.; G. Liberali, Le "dinastie ecclesiastiche" nei Cornaro della chà granda, Treviso 1971, passim;R.Finlay, Politics andfamily in Renaissance Venice: the election of dogeAndrea Gritti, in Studi venez., n. s., II (1978), pp. 110 s.