CORNACCHINI, Marco
Figlio di Tommaso, medico di origine aretina che fu professore nell'università di Pisa nella seconda metà del sec. XVI. Non si conosce la data di nascita. Si iscrisse alla facoltà medica pisana il 23 luglio 1584 e vi si addottorò nel 1592 o 93.
La famiglia Cornacchini era stata aggregata alla nobiltà pisana di primo grado sin dal 1563. Tipicirappresentanti di un ceto patrizio di provincia molto legato al governo granducale, i C. crearono una dinastia di medici e di professori. Il primo in ordine di tempo fu Tommaso: secondo gli storici settecenteschi dell'università di Pisa, Calvi e Fabroni, Tommaso insegnò la medicina pratica per 33 anni (1551-1584, anno della morte) e, per un intervallo, anche la filosofia (1554-1557). Il Fabroni ricorda una sua polemica con G. Guial (chiamato a Pisa nel 1553), sostenitore della medicina arabizzante, e gli attribuisce una Medicina practica, rationalis et empirica. Era anche versificatore in latino e in volgare. Nel 1573risulta tra i priori della città di Pisa. Quando, nel 1581, ricevette la visita di Montaigne, Tommaso doveva essere all'apice della notorietà ("le fameux Cornacchino"), come professore, come spirito arguto e come specialista in idroterapia.
L'altro figlio di Tommaso, Orazio, fu lettore di logica a Padova dal 1600 al 1606, anno nel quale sostituì a Pisa il fratello Marco nella cattedra di botanica. Morì precocemente nel 1608. Nel 1606aveva pubblicato a Padova una Indagatio verae definitionis logicae ed una Oratio de logicae laudibus.
Non molte sono le notizie biografiche che concernono Marco. Sposò nel 1597 Maria di Camillo di Michele Vieri. Vi è traccia della nascita di un figlio Carlo, avvenuta a Pisa il 28 gennaio 1615. Subito dopo il conseguimento del dottorato il C. dovette avere incarichi granducali di medico pratico in Toscana, sino al 1602, anno nel quale assunse la lettura di botanica nell'ateneo pisano. Nel 1606 passò alla cattedra di medicina straordinaria teorica, poi a quella di medicina pratica, che insegnò sino al 1621, anno della morte. Il C. ereditò dall'insegnamento del padre e di Girolamo Mercuriale una tendenza alla rivalutazione della medicina greca, in particolare ippocratica. Verso gli ultimi anni si dedicò alla iatrochimia, o meglio legò il proprio nome alla divulgazione di un farmaco antimoniale, che cercò di accreditare scientificamente entro gli schemi della medicina galenica.
La prima prova scientifica del C. consistette nella pubblicazione delle lezioni di Girolamo Mercuriale, Commentarii eruditissimi, in Hippocratis Coï... a Marco Cornacchino, philosopho et medico, ex ore ipsius diligenter excepti, Francofurti, typis Ioannis Saurii, 1602. Dal contesto appare che al C. si deve in realtà la trascrizione delle sole Praelectiones pisanae in Hippocratis Prognostica. Al 1605 risale la seconda fatica del C., la pubblicazione delle Tabulae medicae del padre (Patavii, ex officina Petri Pauli Tozzii, in-folio), dedicate al granduca di Toscana. Oltre agli indici, sono sue una trentina di nuove tavole, quasi tutte nella sezione "de febribus", che era il campo di specializzazione del Cornacchini.
Le Tabulae consistono in quadri schematici, che raccolgono le annotazioni sparse dei principali medici greci, arabi e latini, sui vari campi della patologia medica. Iniziano con la deontologia professionale e proseguono con la terapeutica generale, i morbi del capo, del torace, le febbri, il polso, le urine. Nella pagina dispari a fronte di ogni tavola sono elencate le "auctoritates". Tipico prontuario di medicina pratica, l'opera era stata sollecitata, come, si legge nella premessa "ad lectorem", dagli ex allievi del padre, medici e professori in varie università italiane.
La fama del C. è però dovuta soprattutto alla sua Methodus qua omnes humani corporis offectiones ab humoribus copia, vel qualitate peccantibus genitae, tuto, cito, et iucunde curantur, Florentiae, apud Petrum Cecconcellium, 1619. In questa operetta il C. divulgava una scoperta non sua, ma di Robert Dudley conte di Warwick, l'avventuroso viaggiatore ed esperto di nautica inglese, esule a Firenze e gran ciambellano della granduchessa Maddalena d'Austria. Si trattava di una polvere, che prese il nome "del conte di Warwick", ma più comunemente di "polvere dei Cornacchini", o "de tribus". Ancora nel XIX secolo il Dictionnaire universel del Larousse testimonia la persistenza del detto "prendre de la cornachine" e quindi anche la sopravvivenza della polvere nella farmacopea corrente.
La ricetta gli era stata confidata dal Dudley intorno al 1615. Dopo diversi esperimenti il C. si era convinto della sua applicabilità ad una gamma amplissima di affezioni "umorali", che andavano dalle febbri intermittenti a varie forme di ritenzione intestinale, colera, vaiolo, sciatica, artrite, pleurite. Era composta di antimonio diaforetico, ottenuto per cottura a secco con salnitro, resina di scamonea preparata al fumo di zolfo e cremor di tartaro (eccipiente). In rapporto alle dosi il principio attivo del farmaco era principalmente dovuto alla drastica azione purgativa dello scammonio, che il C. giudicava sostitutiva del salasso. Si poneva così in una corrente medica deviante rispetto agli usi prevalenti del tempo e in ogni caso esposta alla critica che veniva rivolta all'antimonio, di cui erano già noti i pericolosi effetti collaterali, e all'impiego di purganti nei casi di febbri acute. Il C. insisteva sulla natura non repulsiva del farmaco e sul nuovo metodo di preparazione dei componenti, peraltro tutti già noti. La violenta polemica che subito nacque vide schierati dalla parte del C. alcuni colleghi del litigioso ateneo pisano (Domenico Vigna, Rodrigo de Fonseca, Thomas Dempster ecc.) e contro gli altri colleghi e i medici fiorentini, in particolare Giovanni Nardi, che dedicò la nona Nox genialis alla confutazione delle teorie del Cornacchini. Dalla seconda edizione della Methodus risulta che una sperimentazione presso l'ospedale fiorentino si era risolta in un fallimento, mentre proseguiva, per ordine del granduca, nella Maremma toscana; il C. aveva cercato probabilmente un farmaco adatto alla cura delle febbri malariche.
Nonostante i fondati dubbi espressi sul suo rimedio, il libro ebbe due edizioni nello stesso anno 1619, una terza a Firenze nel 1620, e ancora a Francoforte nel 1628, a Ginevra nel 1635 e nel 1682, in appendice alla Praxis chymiatrica di J. Hartmann. La polvere del C. si diffuse in Europa e i farmacisti continuarono a prepararla per lunghissimo tempo.
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