COLTELLINI, Marco
Nacque a Livorno il 13 ott. 1719 (come risulta da un atto di nascita citato da F. Pera, Appendice ai ricordi e alle biografie livornesi, Livorno 1877, p. 19) da Angiolo e da Maria Maddalena Spigliantini. Il padre fu "capitano della piazza in Prato" (Mazzei, I, p. 65), e la sua famiglia aveva qualche tradizione letteraria. Avviato in un primo tempo alla carriera ecclesiastica, come il fratello Carlo che prenderà gli ordini facendosi cappuccino, il C. - che nei primi libretti è designato con il titolo di abate - lasciò poi la vita religiosa per contrarre matrimonio. Ne ebbe quattro figlie: Celeste, rinomato mezzosoprano, Annetta, anch'essa cantante, Costantina e Rosina, entrambe dedite alla pittura.
Dotato di vasti interessi culturali, attento lettore della produzione letteraria di Oltralpe (il che gli procurò ben presto la fama di anticonformista), egli si dedicò alla poesia, componendo dalla fine degli anni '50 soprattutto cantate e melodrammi. Fornito di cospicui mezzi finanziari, nel 1762 acquistò la più importante stamperia livornese, quella di Giovan Paolo Fantechi all' "Insegna della verità", sita in via Grande (poi corso Vittorio Emanuele II), dandole nuovo impulso anche come libreria e cartoleria, centro di vendita delle opere degli illuministi.
Scelto come proprio aiutante Giuseppe Aubert, che divenne ufficialmente direttore della tipografia nel gennaio 1764, il C., spesso assente da Livorno, gli affidò ben presto la conduzione dell'impresa. La attività della stamperia, durata fino al 1770, produsse almeno ottanta opere (questo è il numero di quelle sicuramente attribuibili).
Una delle prime edizioni pubblicate, se non la prima, fu la traduzione de Il Gazzettiere americano, contenente un distinto ragguaglio di tutte le parti del Nuovo Mondo (1763), che ottenne un ottimo successo di vendita. In quell'anno l'Aubert e il C. riuscirono ad ottenere da V. Algarotti, ritiratosi a Pisa, di poter stampare prima il Saggio sopra l'Accademia di Francia che è in Roma (1763), poi l'ediz. completa delle Opere (due ediz.: in cinque volumi nel 1763-64 e in otto volumi nel 1764-65, questa compiuta dopo la morte dell'autore). La pubblicazione del Saggio algarottiano fece conoscere la stamperia del C. ai fratelli Verri ed ebbe così inizio una feconda collaborazione. Nel 1763 Pietro Verri commise all'Aubert la stampa delle sue Meditazioni sulla felicità, che uscirono con la falsa data di Londra, e l'anno successivo la tipografia livornese pubblicò, senza indicazione di luogo, Dei delitti e delle pene di C. Beccaria.
Accanto all'avveduta azione culturale, la stamperia seppe distinguersi anche per i pregi di natura tecnica: correttezza, nitidezza e raffinatezza estetica. Un'ottima riedizione delle Vite del Vasari (sette volumi riccamente illustrati) procurò al C. da parte di Pietro Leopoldo il privilegio del titolo di Stamperia granducale (1766). Il disinteresse ostentato dal C. nei confronti degli studi di erudizione storica, e antiquaria in particolare, rese invece piuttosto tesi i rapporti con il mondo culturale toscano: nel 1765 si giunse ad una aperta rottura con G. Lami, per i continui attacchi rivolti dalle Novelle letterarie ai libri stampati dalla tipografia.
Le continue assenze del C. da Livorno finirono per far rallentare l'attività di stampa: tra il 1768 e il 1769 vennero pubblicate soltanto tre opere. Il 13 marzo 1770, infine, la stamperia, con annessa libreria e cartoleria, fu venduta all'asta per "2650 pezze da otto reali": l'acquirente, G. M. Fantechi, fu probabilmente un prestanome di Giovan Tommaso Masi, nipote del Coltellini.
L'edizione livornese dell'Encyclopédie, effettuata tra il 1770 e il 1779, non uscì quindi per i tipi del C.: promossa dallo Aubert fin dal 1767, con la costituzione di un'apposita società editoriale, cui il granduca aveva concesso ampi locali gratuiti e aiuti finanziari, venne infatti pubblicata dal Masi. Il C. tuttavia non fu totalmente estraneo all'impresa: il 18 nov. 1769 scrisse alla Société typographique di Neuchatel, inviando il Prospectus dell'edizione e prospettando i vantaggi economici di un accordo per la distribuzione. In seguito promise, ma senza far seguire dei risultati concreti, di procurare un certo numero di associati a Vienna.
Accanto a questa sagace e quanto mai illuminata attività - per la quale il C. dovette appoggiarsi anche alla protezione del console d'Inghilterra John Dick cui nel '63 dedicò una delle sue prime e più note opere, l'Ifigenia in Tauride -, egli coltivava una vocazione letteraria che, dopo le prime prove con cantate ed azioni sceniche, si indirizzò verso il campo della librettistica in cui operò intensamente a partire dal 1761, anno del suo primo melodramma, l'Almeria (Livorno), dedicato al Metastasio e musicato da F. De Maio. Ma la piena affermazione giunse con quell'Ifigenia che il Traetta fece rappresentare nel '63 a Vienna (secondo studi più recenti addirittura nel '59) e che battezzò il felice incontro tra il C. e il musicista pugliese destinato a rinnovarsi altrettanto positivamente, a Pietroburgo un decennio più tardi.
Il successo dell'opera gli valse l'invito alla corte austriaca, presso la quale nel '64 il C. prese il posto del Metastasio in qualità di poeta cesareo; la strada gli era stata del resto già preparata dall'estimatore e concittadino R. di Calzabigi, nonché da amici quali Gluck e G. Durazzo con i quali, nel marzo, si era recato a Parigi. Il periodo viennese fu abbastanza operoso per il C. che in circa un decennio scrisse una decina di libretti tra cui alcuni dei più famosi, quali Telemaco per Gluck (1765), La finta semplice per Mozart (1769) e la Armida per il Salieri (1771). Ma nel '72 un'imprudente satira nella quale l'imperatrice Maria Teresa credette di riconoscersi distrusse la sua brillante carriera presso la corte asburgica. Il C. tuttavia si risollevò presto dal duro colpo: in quello stesso anno, infatti, gli fu offerto di rimpiazzare a Pietroburgo il veneziano Lodovico Lazzaroni ritiratosi nel 1768. Il teatro di Pietroburgo era all'epoca uno dei migliori in campo internazionale ed il suo prestigio imponeva un'attenta selezione degli elementi della compagnia italiana, ossatura dell'organizzazione. Per questo motivo nel '68 vi era stato chiamato il Traetta e proprio questi, memore della perfetta comunione d'intenti realizzata col C. nel '63, si adoperò per rinnovare il binomio; non è un caso infatti che il compositore, esigente in fatto di librettisti, abbia trascorso i quattro anni tra il suo arrivo a corte e quello del C. in silenzio prima di musicare, appunto nel '72, l'Antigona del livornese.
La fama del C. aveva raggiunto ormai l'acme non solo in Russia, dove il trionfo della sua Ifigenia, rimusicatavi dal Galuppi nel '68 per il compleanno di Caterina II aveva rappresentato un ottimo biglietto visita, ma in campo internazionale e lo dimostra anche il contemporaneo invito di Federico il Grande cui il C. fu costretto a rinunciare per l'impegno già assunto nel maggio con l'imperatrice. Presto però il suo spirito mordace si fece conoscere anche alla corte pietroburghese, appuntandosi contro lo scultore francese Etienne Falconet che vi stava allestendo il gigantesco monumento equestre in bronzo a Pietro il Grande (1766-1779); per farsi perdonare il C. dedicò allora alla zarina l'Antigona, ricevendone alcune straordinarie centinaia di rubli oltre al suo cachet già alto. Dopo questo primo libretto, il livornese rimase stranamente inattivo per i teatri russi lavorando alla stesura di opere per l'estero quali L'infedeltà delusa (Haydn, Esterhaz 1773), Il conte Baccellone (G. Rust, Venezia 1774), La finta giardiniera (P. Anfossi, Roma 1774). Nel 1777 riprese a scrivere per la corte che lo ospitava collaborando con il Paisiello a quella Lucinda ed Armidoro, che doveva'essere la sua ultima opera.
Il C. morì infatti a Pietroburgo nel novembre del 1777. Secondo il Bonaventura egli sarebbe stato fatto avvelenare da Caterina II contro la quale avrebbe ancora una volta lanciato i suoi strali satirici, ma questa supposizione è drasticamente smentita dal Mooser.
Il C. iniziò la sua attività di librettista nella scia del Metastasio anche se non ne raggiunse mai né l'originalità né tanto meno la delicatezza; ciò non toglie che il suo stesso predecessore alla corte viennese se ne fosse dichiarato estimatore, come si rileva soprattutto dall'encomiastico giudizio che egli esprime sulla prima opera del C., l'Almeria: "Tutto lo stile del libro è vivo, armonioso, pieno d'immagini e di pensieri - si legge in una sua lettera del 25 maggio 1761 (Tutte le opere, IV, p. 205) - vi son arie ch'io v'invidierei e solo ad inesperienza attribuisce "gli avvenimenti troppo affollati". Già dal suo secondo libretto di rilievo, l'Ifigenia, l'influsso del Calzabigi si fa preponderante e l'impronta di questo è decisiva nell'Antigona, dove il C. riesce a raggiungere la classica semplicità ed unitarietà del dramma, meta della nuova poetica, pur sacrificando al gusto dell'epoca l'originale catastrofe. Con quest'opera egli s'inserisce pienamente nel clima di riforma del melodramma facendo propri gli assunti di una più completa ed efficace compenetrazione espressiva tra musica e testo; le stesse, rare e non sostanziali, modifiche alla tragedia sofoclea non sono che "colpi di teatro" - come li definisce lo stesso C. - "scorci drammatico-musicali" tesi ad una migliore possibilità interpretativa, da parte del musicista, della ricca psicologia del dramma. Del resto anche per il C. il nuovo melodramma doveva nascere dall' "intrecciar insieme nell'azione la poesia, il ballo, la musica e la decorazione" come ricorda l'Arteaga (II, p. 175), che peraltro considera questi precetti quali "stravaganze" di un sistema valido sì per "chiarezza di stile, varietà nelle arie, bellezza nei recitativi" ma non altrettanto per la freddezza ed inverosimiglianza degli "scioglimenti". La conferma della concezione drammatica coltelliniana è riscontrabile anche in una lettera dello stesso poeta a Federico II di Prussia (tradotta dal francese nell'edizione fiorentina dell'Antigona del 1773 a cura di Lodovico Coltellini), dove si legge tra l'altro: "in un paese dove non è intesa bastevolmente la lingua, cercar bisogna di favellar più agli occhi che agli orecchi, e di interessare più con lo spettacolo e co' i colpi di teatro, anzi che co' fiori dell'eloquenza". Ed il pubblico, come riconobbe lo stesso librettista, non gli fu avaro di consensi condivisi anche dalla gran parte dei critici nonché degli stessi musicisti, se bisogna giudicare e dai loro nomi tra i maggiori dell'epoca, così come quelli degli interpreti, tra cui sono da ricordare le due Gabrielli nelle edizioni pietroburghesi di Antigona e Amore e Psiche - e dalle svariate riprese musicali di molti dei suoi libretti. Fu questa la sorte, ad esempio, di Armida che, musicata per la prima volta nel '71 a Vienna dal Salieri, di cui fu la prima opera seria, venne ripresa nel 1782 dal Righini ed ancora nel 1786, col titolo di Armida e Rinaldo dal Sarti per l'inaugurazione del teatro dell'Ermitage di Pietroburgo. Anche con l'Armida il C. persegue la corrente classicheggiante del Calzabigi, ma già nel '65 col Telemaco gluckiano aveva preferito uno stile di mezzo tra vecchio e nuovo così come in Amore e Psiche, scritto nel '67 per il Gassmann, seppe richiamare la favola classica accoppiando "allo spettacolo de' sensi l'interesse e la possibile commozione in buono stile (Natali, II, p. 162).
Accanto al genere serio, predominante, il C. non disdegnò quello comico nel quale si ispirò prevalentemente al Goldoni: da un omonimo libretto del commediografo trasse infatti La contessina per il Gassmann (rappresentata a Mährisch-Neustadt dal 3 al 7 sett. 1770 per la festa dell'incontro di Federico Il di Prussia con l'imperatore Giuseppe II) e la mozartiana La finta semplice, anche questa gaio rifacimento del libretto goldoniano (musica di S. Perillo, Venezia, teatro S. Moisè, 1764), in cui il C. operò nel '68, per l'appena dodicenne enfant prodige salisburghese, un'abile revisione sostituendo alcune arie e modificando felicemente il terzo atto.
Ancora al Goldoni si sarebbe rifatto per la nuova versione de Il credulo deluso (Napoli '74) musicata dal Paisiello a Pietroburgo col titolo Il mondo della luna; tuttavia la paternità del testo - che il librettista avrebbe ridotto dall'originale goldoniano - non è certa anche perché l'opera fu rappresentata solo sei anni dopo la sua morte. D'altra parte nel libretto dell'edizione napoletana dell'84 si legge che il C. l'aveva ridotta da tre a due atti, così come aveva fatto per Lucinda ed Armidoro, apportando una vera e propria innovazione in ossequio ai desideri di Caterina II.
Dei libretti del C. si ricordano: Dori alle ninfe dell'Arno, cantata (mus. G. B. Brunetti, 1757); Ifigenia in Tauride (T. Traetta, Vienna 1758 0 Schönbrunn 1763; B. Galuppi, Pietroburgo 1768); Venere placata, azione scenica (C. A. Campioni, Livorno, 1760); L'Almeria (G. F. De Maio, Livorno, teatro S. Sebastiano, 1761); Componimento per musica (?, Lucca 1762); Matatia, oratorio (A. Felici, Firenze, ospizio del Meloni, 1764); Alcide negli orti Esperidi (G. F. De Maio, Vienna 1764); Telemaco o sia L'isola di Circe (rif. da S. Capece, Gluck, Vienna 1765, per le nozze di Giuseppe II d'Austria con Maria Gioseffa di Baviera); Amore e Psiche (F. L. Gassmann, Vienna 1767, per le nozze di Ferdinando IV di Borbone con Maria Carolina d'Austria; T. Traetta, Pietroburgo 1773; J. Schuster, Napoli, S. Carlo, 1780); Piramo e Tisbe (J. A. Hasse, Vienna 1768; V. Rauzzini, Monaco di Baviera 1769); La finta semplice (rif. da Goldoni, Mozart, Salisburgo 1769); La contessina (rif. da Goldoni, Gassmann, Mährisch-Neustadt 1770; M. Bernardini, Roma 1773; N. Piccinni, Venezia 1775); Il filosofo innamorato (rif. da Goldoni, Gassmann, Vienna 1771); Armida (A. Salieri, Vienna 1771; V. Righini, Vienna 1782; come Armida e Rinaldo, G. Sarti, Pietroburgo, teatro dell'Ermitage, 1786); Antigona (Traetta, Pietroburgo 1772; come Creonte, D. Bortnjanskj, Venezia 1775; V. Campobasso, Milano, Scala, 1789); L'infedeltà delusa (Haydn, Esterház 1773; M. Neri, Firenze 1783); Il conte Baccellone (G. Rust, Venezia 1774); La finta giardiniera (P. Anfossi, Roma 1774; Mozart, collab. Calzabigi?, Monaco, teatro di corte s.d.); Lucinda ed Armidoro (G. Paisiello, Pietroburgo 1777); Il tutore e la pupilla ovvero Amor vuol gioventù, intermezzo (G. Moneta, Firenze, teatro di via del Cocomero, 1786). Opere di dubbia attribuzione: Le nozze d'Amore (Paisiello?, presso il principe G. Orlov); Il mondo della luna (Paisiello, testo abbreviato da Il credulo deluso di Goldoni, Pietroburgo 1783).
Fonti e Bibl: Novelle letter. di Firenze, IV (1773), col. 835; P. Napoli Signorelli, Storia critica de' teatri antichi e moderni, Napoli 1780, VI, p. 283; S. Arteaga, Le rivoluz. del teatro mus. italiano, I, Bologna 1783, p. 246; II, ibid. 1785, p. 175; J. de La Lande, Voyage en Italie, III, Paris 1786, p. 231; F. Pera, Ricordi e biografie livornesi, Livorno 1867, pp. 5, 26, 270. 354; G. Chiappini, L'arte della stampa in Livorno, Livorno 1904, pp. 61-78; A. Bonaventura, Una celebre cantante livornese del '700, in Mus. d'oggi, VI (1924). 9, p. 255; A. Bonaventura, Music. livornesi, Livorno 1930, p. 37; A. Servolini, La tipogr. a Livorno nei secc. XVII e XVIII, in Gutenberg Jahrbuch, XVI (1941), pp. 239 ss.; Tutte le opere di P. Metastasio, a cura di B. Brunelli, IV, Milano 1944, pp. 188 s.; R. A. Mooser, Annales de la musique... en Russie..., Genève 1951, II, pp. 144-47; G. Natali, Il Settecento, Milano 1964-71, II, p. 162; F. Mazzei, Memorie della vita…, I, Milano 1970, pp. 34, 64 s., 131; A. Lay, Un editore illuminista: G. Aubert nel carteggio con Beccaria e Verri, in Mem. dell'Accad. delle scienze di Torino, s. 4, XXVII (1973), 1-235 passim; C. Schmidl, Diz. univ. dei mus., p. 360; R. Eitner, Quellen Lexikon, X, p. 414; Enc. dello Spett., III, coll. 1147 s.; Musik in Geschichte u. Gegenwart, XV, coll. 1553 s.; The New Grove Dictionary of Music and Musicians, IV, p. 586.