MARCELLO, Marco Claudio (M. Claudius M. f. M. n. Marcellus)
Generale romano nell'età della seconda guerra punica. Nato nel 270 circa a. C., nipote di M. Claudio Marcello (console nel 287) rivestì, non sappiamo precisamente in quali anni, l'edilità curule e poi la pretura e fu nel 222 console per la prima volta insieme con Cn. Cornelio Scipione. Allora i Romani erano in guerra contro gl'Insubri che, vinti nel 223 da Gaio Flaminio, chiesero pace. Respinte le loro proposte dai nuovi consoli, questi passarono il Po e posero l'assedio ad Acerre. Gl'Insubri, che durante l'inverno si erano preparati alla guerra e avevano fatto venire in loro soccorso dalla Gallia Transalpina schiere di Gesati sotto Virdumaro, tentarono di liberare Acerre facendo una diversione sulla destra del Po contro la fortezza romana di Clastidio (Casteggio). Ma i Romani, lasciando il grosso delle forze presso Acerre, inviarono cavalleria e truppe leggiere sotto M. alla difesa di Clastidio. Qui M. attaccò audacemente e vinse i Galli uccidendo il loro duce Virdumaro e riportandone le spoglie opime. Scipione intanto aveva preso Acerre e s'era avanzato contro la capitale degl'Insubri, Mediolanum. Ma, sembra, la resistenza del nemico lo mise in condizioni difficili, finché, sopraggiunto M., i due consoli con le forze riunite vinsero gl'Insubri e presero Mediolanum ponendo fine alla guerra. Trionfò secondo i Fasti il solo M. de Galleis Insubribus et German(is). Si disputa se veramente i Germani fossero apparsi per la prima volta allora nella storia come alleati degl'Insubri o se il redattore dei Fasti abbia sostituito arbitrariamente il nome dei Germani a quello più tardi dimenticato dei Gesati. Nel 216, quando i Romani prepararono contro Annibale la grande offensiva che terminò a Canne, M. fu nominato pretore per la seconda volta e dopo quella battaglia inviato a sostituire Varrone nel comando dei superstiti delle legioni cannensi, che condusse in Campania. Ivi pose il campo ai Castra Claudiana sulla collina di Cancello tra Capua e Nola. Intervenendo con energia in Nola egli sopraffece il partito democratico favorevole ai Cartaginesi e assicurò così la città ai Romani, difendendola poi contro un tentativo cartaginese di prenderla per sorpresa. Il fatto fu celebrato ed esagerato dalla tradizione, ma a Marcello rimase a ogni modo la gloria d'aver resistito efficacemente ad Annibale in Campania. Non poté peraltro impedire che cadesse in mano d'Annibale Casilino. Per il 215 egli venne designato dai comizî come console per la seconda volta, ma per evitare che entrambi i consoli fossero plebei, fu costretto ad abdicare. Ebbe però, con provvedimento straordinario, potere proconsolare; tornò ai Castra Claudiana e attese nuovamente alla difesa di Nola. Console per la terza volta nel 214, stazionò nello stesso campo e difese ancora Nola. Che se pure sono esagerate le notizie annalistiche intorno alle tre battaglie da lui vinte presso Nola, non è dubbio che il nemico dovette tentare più volte d'impadronirsi della città e che M. rese vani i suoi tentativi. La conservazione di Nola fu vantaggio notevole per i Romani e facilitò poi la loro offensiva contro Capua. Nel 214 M. cooperò anche con Fabio al ricupero della importantissima Casilino, sebbene, come pare, contaminasse la sua vittoria col tradimento verso i nemici che avevano trattato la resa. Poi sul principio dell'anno 213 fu inviato in Sicilia dove i Siracusani apprestavano la ribellione contro Roma. Peraltro, ucciso Ieronimo, il successore di Ierone, e venuti al potere i regicidi, il partito della pace aveva preso il sopravvento, nonostante le mene dei fratelli Ippocrate ed Epicide, due valorosi ufficiali d'origine greca che Annibale aveva inviati a Siracusa. Per liberarsene, i governanti di Siracusa mandarono Ippocrate, con 4000 tra mercenari e disertori italici, a Leontini. Qui Ippocrate cominciò per suo conto la guerra assalendo e distruggendo un distaccamento romano. M. dichiarò senz'altro violata la pace e marciò contro Leontini. I Siracusani gli offersero soddisfazione e inviarono un corpo di truppe contro Ippocrate, ma prima che questo corpo giungesse a Leontini, già M. aveva preso d'assalto la città con grande strage di soldati e di cittadini. Ippocrate ed Epicide, fuggendo da Leontini, raggiunsero le truppe siracusane che marciavano contro di loro e sotto l'impressione del sacco di Leontini riuscirono a infiammarle contro i Romani e contro il governo pacifista di Siracusa. Rientrati pertanto con queste truppe nella città, abbatterono il governo e assunsero il potere. Immediatamente M. mosse contro Siracusa e l'assediò per mare e per terra. Tentò prima di prenderla con la forza ma gli assalti romani furono respinti con perdite, grazie alla solerzia dei difensori e alla perizia d'Archimede, che contrapponeva ai Romani le sue famose macchine da guerra. M. dovette mutare l'assedio in blocco. Ma il blocco data l'estensione delle mura non poteva essere che incompleto. I Cartaginesi penetrarono con una squadra nel Porto Grande recando soccorsi agli assediati e ripartirono poi senza danni. Un altro esercito cartaginese sbarcò in Sicilia e riuscì a occupare Agrigento. M., pur lasciando bloccata Siracusa, mosse verso l'interno per impedire i progressi degli avversarî e ottenne notevoli successi. Al suo ritorno attaccò di sorpresa un esercito greco che sotto Ippocrate era uscito da Siracusa per congiungersi col grosso delle forze cartaginesi e lo sconfisse presso Acrille. Alla tenacia di M. arrise il successo nell'anno seguente (212), quando, rilassatasi la sorveglianza in occasione d'una festa ad Artemide, penetrò per sorpresa nella città dal lato settentrionale e riuscì a occupare i quartieri di Epipole, Tiche e Neapoli. La difesa continuò accanitissima nei due altri quartieri di Acradina e di Ortigia; invece il munitissimo castello Eurialo, caposaldo delle fortificazioni siracusane, si arrese. Fu grande ventura di M. perché al soccorso di Siracusa mossero Greci e Cartaginesi sotto Imilcone e Ippocrate e tentarono contro i Romani un assalto generale che fu respinto. L'esercito avversario però rimase accampato a poca distanza dalle mura di Siracusa, sicché i Romani furono per qualche tempo assedianti e assediati. Per loro ventura, un'epidemia scoppiata nel campo punico che era presso le paludi dell'Anapo, distrusse gran parte dell'esercito e ne fece perire i comandanti. La città, verso la primavera del 211, era ormai agli estremi quando giunse presso il capo Pachino un'armata cartaginese incaricata di soccorrerla. Epicide, che comandava in Siracusa, riuscì a prendere il largo con alcune navi da guerra per congiungersi con i Cartaginesi e partecipare alla battaglia navale. E M., radunata e messa in assetto la flotta romana, mosse verso il capo Pachino per affrontare i Cartaginesi. Ma questi non osarono accettare battaglia e con vento favorevole veleggiarono verso Taranto. Siracusa si trovò così in condizioni disperate e cominciò a trattare la resa. Disgraziatamente, in mezzo alle trattative, il potere fu assunto dai comandanti militari in parte stranieri. Tra questi lo spagnolo Merico che preferì trattare per proprio conto e aperse ai Romani una porta di Ortigia. Sicché, perduta Ortigia, ai difensori dell'Acradina non rimase che arrendersi a discrezione; Ortigia e Acradina furono abbandonate da M. ai soldati per saccheggiarle, così com'egli gia prima aveva abbandonato al saccheggio i quartieri esterni della città. Ma l'una e l'altra volta egli aveva ordinato di risparmiare la vita e la libertà dei cittadini; che non sempre fosse ubbidito dimostra l'uccisione d'Archimede. Dopo la caduta di Siracusa, M. riportò in Sicilia altri successi, principale una vittoria su Cartaginesi e Greci che muovevano da Agrigento presso il fiume Imera meridionale. Ma recandosi a Roma a chiedervi il consolato per il 210 lasciò ai successori l'onore di compiere la sottomissione e il riordinamento dell'isola impresa del resto ormai facile. A Roma gli fu concessa l'ovazione, la prima nella seconda punica, e avanti d'entrare in città trionfò sul monte Albano. Poi ottenne il consolato per la quarta volta per il 210 insieme con M. Valerio Levino. Delle imprese di lui nel suo consolato del 210 e nel suo proconsolato del 209 siamo informati soltanto da tradizioni assai alterate. Nel 210 avrebbe vinto Annibale in una battaglia non però decisiva presso Numistrone in Lucania, nel 209 in una battaglia presso Canosa durata tre giorni, dopo aver avuto la peggio nel secondo giorno sarebbe stato vittorioso nel terzo, ma con tali perdite che dovette ripiegare a Venosa per curarvi i suoi feriti e per lungo tempo non si mosse più da quella città. Checché ne sia, nulla accadde di decisivo in quei due anni, nonostante il progressivo esaurimento delle forze di Annibale, ma nel 208 sembra che i due consoli, M., eletto per la quinta volta, e T. Quinzio Crispino, riunite le loro forze, volessero con quattro legioni cercare sul campo di battaglia quella decisione che i Romani avevano sempre evitata dopo Canne. Ma durante una ricognizione, mentre Crispino si salvava con la fuga, M. rimase ucciso.
Nell'insieme la figura di M. appare abbastanza netta. Egli fu uno dei migliori ufficiali romani di quegli anni e assolse nel modo più lodevole compiti non scevri di gravi difficoltà, come la guerra con gl'Insubri e l'assedio di Siracusa. Contro Annibale si dimostrò tenace, coraggioso e prudente e sarebbe assai ingiusto essere severi verso di lui, come fa Polibio, per l'infortunio che gli costò la vita. Può dirsi che egli, dopo Fabio, fu il maggiore artefice della meravigliosa resistenza che Roma dopo Canne oppose ad Annibale. Peraltro, il piano di Fabio era basato sul riconoscimento dell'impossibilità di superare tatticamente Annibale e quindi sulla necessità di vincerlo, sfruttando l'immensa superiorità delle forze, mercé una strategia di logoramento. Ma siffatta strategia imponeva ai Romani sacrifizî tanto gravi, da compromettere persino il valore della vittoria; talché ebbe soltanto il pregio che permise d'attendere l'uomo il quale fosse finalmente in grado di superare in campo Annibale. Questi non fu M.; fu Scipione Africano. La distanza da M. a Scipione appare anche solo rilevando che la vittoria siciliana non gli fece sorgere il pensiero attuato già da Agatocle, vagheggiato da Pirro, e ripreso poi infelicemente da Regolo, di liberarsi dai Cartaginesi col portare la guerra in Africa. Sotto un altro rispetto circa il suo modo di comportarsi verso il nemico, M. fu giudicato assai variamente già nell'antichità, sebbene la tradizione, a lui favorevole, finisse col prendere il sopravvento, com'era naturale, date le sue benemerenze verso la patria. Qui può dirsi che egli deviò dalla rettitudine antica, quando credette di giovare con ciò agl'interessi di Roma e atterrirne gli avversarî, come si vide all'assedio di Casilino e anche più nell'approvazione da lui data alle stragi operate dal presidio romano in Enna.
Ma fatte queste riserve, può dirsi ch'egli si tenne di regola nei limiti di ciò che concedeva l'usuale diritto di guerra del tempo; anzi, come mostra il caso di Siracusa, città ribelle presa d'assalto, sforzandosi di salvare la vita e la libertà dei cittadini, rimase parecchio al di qua di quei limiti. E se, costretto dalle necessità della guerra, con la conquista e il sacco di Siracusa, egli spense per sempre uno dei massimi focolari di civiltà nell'Occidente, con l'aver preparato la vittoria di Roma su Cartagine, contribuì come pochi al trionfo della civiltà greco-romana nel mondo antico.
Fonti. - Sostanzialmente fededegno il racconto polibiano della guerra gallica, e dell'impresa siciliana. Per questa, ai frammenti di Polibio si associano Livio, Plutarco e altri minori. Meno esattamente siamo informati intorno ai fatti del 216-14 e a quelli degli ultimi tre anni, per i quali fonte principalissima è Livio, che con altri scrittori più o meno dipendenti da lui, rappresenta in generale la tarda e molto inquinata tradizione annalistica. Quanto alla vita di Plutarco, lo schema biografico e qualche aneddoto le sono forniti da Cornelio Nepote, la parte sostanziale deriva per due terzi da Livio. Anche Polibio vi è largamente usato.
Bibl.: Di M. trattano tutte le storie romane. Basti qui citare C. Neumann, Das Zeitalter der punischen Kriege, Breslavia 1883; A. Holm, Storia della Sicilia nell'antichità, trad. it., IV, i, Torino 1901; O. Meltzer-U. Kahrstedt, Geschichte der Karthager, III, Berlino 1913; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, ii, Torino 1917; E. Pais, Storia di Roma durante le guerre puniche, Roma 1927; B.L. Hallward, in Cambridge ancient history, VIII, Cambridge 1930, ch. III. Per la critica delle fonti oltre le opere citate v. G. Bossi, La guerra d'Annibale in Italia da Canne al Metauro, Roma 1891. Per la vita plutarchea v. specialmente Heyer, Die Quellen des Plutarch im Leben des Marcellus, Bartenstein 1871; A. Arendt, Syrakus im zweiten pun. Kriege, I, Königsberg 1899. Per la cronologia v. G. Tuzi, Ricerche cronologiche sulla seconda guerra punica in Sicilia, in G. Beloch, Studi di storia antica, I, Roma 1891, p. 83 segg.