CARBURI, Marco
Nacque ad Argostoli (Cefalonia) nel 1731 da Demetrio, di famiglia veneziana insignita del titolo comitale. Nel 1740 il fratello maggiore Giovanni Battista lo portò a Venezia perché seguisse studi regolari, che proseguì poi all'università di Padova. Recatosi infine a Bologna per studiarvi medicina, materia in cui si laureò, vi conobbe Bartolomeo Beccari, docente di chimica nella facoltà medica, e ne divenne assistente.
Nei primi anni dopo la laurea il C. compì uno o più viaggi nel Mediterraneo orientale, anche per rivedere l'isola natale e i genitori; comunque ne approfittò per compiere una serie di osservazioni naturalistiche, parte delle quali servirono alla stesura di una Lettera sopra una spezie d'insetto marino, indirizzata a Marco Foscarini, procuratore di S. Marco, e pubblicata nelle Novelle letterarie del 1757, (XVIII, col. 404). Nel pubblicarla il Lami auspicava che il C. desse forma letteraria al resto delle sue osservazioni, ma l'invito non ebbe esito.
Nel 1759 il Senato veneto, rilevando che nel vecchio ordinamento degli studi dell'università di Padova non esisteva una cattedra di chimica, ve la istituì, e designò ad occuparla il C., sul quale da Bologna aveva avuto ottime referenze. Egli tuttavia ebbe appena il tempo di prendere possesso della cattedra, che il Senato gli ordinò di compiere a pubbliche spese un lungo viaggio, con lo scopo principale di studiare le tecniche estrattive ed i processi di lavorazione nelle miniere dell'Europa centrosettentrionale. Così il C. visitò le miniere e le comunità scientifiche, ungheresi, tedesche, danesi e svedesi, accumulando vaste esperienze e stringendo amicizie e contatti epistolari, ad esempio con Wallerius e Kronstaedt. In Svezia potè conoscere Linneo, col quale intratterrà una corrispondenza, nel corso della quale il grande naturalista gli chiederà un parere su di un sistema mineralogico da lui ideato.
Infine il C. tornò a Padova nel 1764 (altre fonti portano la data del 1768) e si dedicò alla organizzazione dell'istituto e del laboratorio di chimica, del tutto inesistente.
Egli stesso raccontò di non aver potuto trovare in tutta Padova una sia pur piccola quantità di sostanza alcalina pura o di un qualche acido concentrato, e che nell'università s'ignoravano del tutto gli sviluppi recenti della scienza e si faceva consistere la chimica nella pratica della farmacia. Il suo insegnamento, che creò un nutrito gruppo di discepoli di buon valore, fu essenziale alla formazione di un interesse per la chimica nell'area culturale della Repubblica veneta.
Nel 1779 fu fondata a Padova l'Accademia di scienze, lettere ed arti, e il C. ne fu uno dei costituenti, rimanendo poi sempre socio pensionario; già nel gennaio del 1780 egli vi lesse una memoria sulla fusione del ferro duttile in assenza di solventi (Sul modo di fondere il ferro duttile senza l'ggiunta di fondenti), la cui possibilità era già stata erroneamente sostenuta dal Wallerius negli Elementa metallurgiae.
In questo, come negli scritti seguenti, il suo lavoro, più che un intento di ricerca fondamentale, rivela un carattere tecnico-applicativo.
La Repubblica veneta aveva un grosso problema da risolvere: quello della costruzione, rapida ed economica, di cannoni in fusione per i vascelli da guerra. Angelo Emo aveva incaricato il C. di effettuare studi in tale senso. Purtroppo, in pratica, i cannoni fabbricati con il metodo da lui escogitato risultarono troppo fragili e a nulla valsero gli studi teorici e pratici condotti in tale direzione (cfr. Esperimenti sopra il ferro crudo e sopra il ferro malleabile, Padova 1780). Il C. però non abbandonò l'impresa e volse le sue indagini verso la ghisa, ottenendo così, nel 1783, un celere metodo di fusione che diede finalmente i risultati desiderati. Iniziata rapidamente la produzione di mortai, nel giugno 1784, Angelo Emo, al comando della flotta veneta, poté bombardare efficacemente Tunisi e Biserta compiendo l'ultima grande azione nella storia della marineria veneta. Altro interessante contributo del C. alla tecnologia militare fu la realizzazione di una carta non combustibile ad uso dell'artiglieria, come avvolgente per la polvere da sparo; il governo veneziano considerò così importante tale prodotto che fece coniare una medaglia in onore dei Carburi.
La produzione più strettamente scientifica del C. non è molto ampia né di eccezionale livello, ma nella varietà dei temi testimonia di una notevole ricchezza di interessi. Essa consiste quasi esclusivamente di comunicazioni lette nell'Accademia padovana (poi pubbl. nella serie di Saggi scient. e letter. [3 voll., 1779-94] della stessa), tra cui si possono ricordare quella sul modo di preparare l'acido vetriolico glaciale (acido solforico cristallizzato) e quella sulla decomposizione del tartaro vitriolato (solfato di potassio). Studiò poi le differenze chimiche e pratiche tra i vari tipi di sale alimentare, esaminò chimicamente e cristallograficamente minerali e terre del Veneto, osservò la formazione dei depositi organici a partire dalla vegetazione delle paludi. Il C. fu anche uno dei primi a studiare il nickel, non appena Kronstaedt ne divulgò la scoperta, e accertò contro il parere di costui che poteva unirsi in lega con l'argento.
Da un punto di vista generale le idee scientifiche del C. rientravano nella tradizione flogistica viva alla metà del secolo; quando la scuola chimica francese sotto l'impulso di Lavoisier dette luogo ad una vera rivoluzione concettuale e terminologica egli, insieme al Lorgna, si schierò a difesa delle vecchie idee, e ciò lo espose ad alcune polemiche, cui replicò con la Lettera al chiarissimo padre d. Ermenegildo Pini, edita a Venezia nel 1794. Solo negli ultimi anni di vita pare che egli moderasse la sua intransigenza in seguito alle pressioni del suo allievo e poi sostituto a Padova, G. Melandri, cui egli originariamente, all'atto di passargli le consegne, aveva fatto promettere di non abbandonare le teorie di Stahl e Priestley. Il legame di amicizia col Melandri si trasformò poi in parentela, in quanto questi prese in moglie l'unica figlia del C., nata dal suo tardivo matrimonio con la contessa Cecilia Soncin.
Il vero ruolo del C. nella società veneta dell'epoca va probabilmente visto in una dimensione non strettamente teorico-accademica, bensì tecnologica e in senso lato politica. Viaggiando in Europa egli dovette intuire i motivi profondi dell'estraniamento della Serenissima, e in genere dell'Italia, dalle forze storiche operanti nell'epoca a livello scientifico e politico; e diagnosticò nel tradizionalismo cattolico, con le sue implicazioni culturali ed economico-sociali, il motivo principale della sua crisi, riconoscendo nel razionalismo deista degli illuministi la alternativa ideologica. Fin dal 1778 il nome del C. compare nelle liste di affiliati veneti alla massoneria redatte dagli Inquisitori, e vi rimane fino al crollo della Repubblica. In particolare nel 1793 il podestà di Padova, Da Riva, nel comunicare agli Inquisitori i nomi dei più noti massoni padovani, segnalava che le loro riunioni avevano frequentemente luogo nella residenza di campagna del C., sita tra Padova e Vicenza; è interessante il fatto che il Da Riva ritenesse che il gruppo simpatizzava per le idee espresse dalla Rivoluzione francese. Di fronte alle ripetute conferme dell'appartenenza del C. alla massoneria e delle sue simpatie giacobine risulta poco convincente il tentativo fatto dal Dandolo di negare l'attendibilità delle liste inquisitoriali. Probabilmente solo per il ricordo dei suoi contributi alla tecnologia militare della Repubblica, nonostante le sue idee, non furono presi mai provvedimenti contro di lui.
Il C. morì a Padova dopo lunga malattia, il 4 0 5 dic. 1808.
Bibl.: G. A. Moschini, Della letteratura venez. del sec. XVIII fino a' nostri giorni, I, Venezia 1806, p. 243 n.; Cenni biogr. degli accademici defunti, in Nuovi saggi della... Acc. di scienze,lettere ed arti di Padova, I, Padova 1817, pp. XXXIII s.; E. De Tipaldo, Biogr. degli italiani illustri, VIII, Venezia 1841, pp. 57-63; G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia..., App., Venezia 1857, pp. 8, 330; G. Testi, M.C., in Boll. dell'Ist. storico e di cultura dell'arma del genio, II (1936), 4, pp. 69-72; Id., M.C., in La Chim. nell'industria..., XIII (1937), 6, p. 163; XIV (1938), p. 177; M. Berengo, La società veneta alla fine del Settecento, Firenze 1956, pp. 191, 274 s.; Enc. Ital., App. I, p. 369.