CAPPELLO, Marco
Nacque a Brescia il 22 marzo 1706 da Giannantonio, di professione medico, e da Anna Maria Arici. Compì i primi studi a Brescia, nel collegio di S. Bartolomeo, dove ebbe come insegnante di lingua greca il Panagiotti. Nel 1726 assieme al fratello maggiore Francesco si trasferì a Padova, ove rimase per tre anni conquistandosi la stima dei professori e soprattutto dell'abate Domenico Lazzarini, che teneva la cattedra di eloquenza e che testimonierà poi la sua stima per il C. chiamandolo a giudicare di una contesa filologica col marchese Maffei a proposito di un distico di Catullo. Nel 1731, sempre seguito dal fratello, si recò a Milano, accompagnato da una lettera di Paolo Gagliardi piena di elogi (si trova nelle Lettere del canonico Gagliardi, I, Brescia 1763, p. 320), e di lì a Parma. In questa città, dove fu discepolo del Frugoni, fece le sue prime prove poetiche, di ispirazione amorosa, che meritarono l'entusiastica ammirazione del maestro. Ad un periodo giovanile risalgono anche i Sonetti a Nice (raccolti in Lirici filosofici,amorosi,sacri e morali del secolo XVIII, Venezia 1748, pp. 209-213), pieni di reminiscenze mitologiche, contorti nella forma e talvolta di gusto macabro.
Il C. nel 1736 veniva ordinato sacerdote. Tuttavia non rinunciava ai suoi studi e poco tempo dopo, nel 1737, si recò a Firenze a perfezionarsi nell'uso e nei modi della lingua volgare, non disdegnando a questo fine di mischiarsi col popolo minuto, nei mercati. Strinse anche amicizia con il Salvini. Da questo soggiorno toscano nacquero le Cicalate, componimenti in prosa di carattere burlesco, che egli recitò, tornato in patria, nell'adunanza Mazzuchelli. Di queste una, Sopra la morte del Pedante Barbetta, èstata raccolta insieme ad altre dello stesso argomento in La morte del Barbetta celebre Ludimagistro bresciano del secolo passato (Brescia 1730), mentre quelle sopra la Frittata, la Beffana, i Gatti sono rimaste inedite. Dopo questo viaggio il C. soggiornò stabilmente a Brescia, in compagnia del fratello inseparabile e dei numerosissimi amici (tra i quali il conte Durante Duranti, poeta lodato anche dal Baretti). Una lettera dell'ab. Garbelli al p. Bianchini testimonia del progetto, poi abbandonato, di un viaggio a Roma. Il C. morì nella sua città, di pleurite, il 20 luglio 1782, "con le proprie armi alla mano" (Brognoli, p. 377): infatti compose fino a pochi giorni prima della malattia mortale. Nell'ultimo sonetto aveva scritto: "Ultima, forse mia dolce fatica".
Il C. fu iscritto a varie accademie: nel 1753 a quella degli Agiati di Roveredo col nome di Arpaleo; nel 1755 agli Erranti già Raffrontati di Fermo. Inoltre fu socio della già menzionata adunanza Mazzuchelli, dove si radunavano i letterati bresciani del tempo. Soprattutto il C. andò famoso tra i contemporanei per l'erudizione nelle lingue greca e latina. Egli però non fece mai sfoggio di tale cultura e rifiutò sempre gli incarichi che i suoi amici ed estimatori gli offrivano: come per esempio la cattedra di eloquenza all'università di Padova che il Lazzarini desiderava lasciar vacante. Ed ancora nel 1737 resistette alle istanze dell'ab. Garbelli che lo spingeva a rivedere ed abbellire l'Ulisse il giovane, tragedia del Lazzarini stesso. Il C. in sostanza preferì sempre agli onori la comodità di una vita libera da impieghi, che gli era consentita dalle agiate condizioni economiche. La stessa modestia e mancanza di ambizione egli mostrò anche nei riguardi delle sue notevoli e riconosciute doti di improvvisatore: infatti come era pronto a improvvisare sonetti tra gli amici, ugualmente era schivo ad affrontare pubbliche tenzoni, il che fece solo una volta, trovandosi a Brescia l'abate Zucchi, noto improvvisatore (G. Natali, Il Settecento, Milano 1936, p. 101). Tra l'altro sembra che una soverchia agitazione lo prendesse nel comporre, arrecando danno alla sua salute. È certo però che i momenti poetici migliori sono proprio quelli più spontanei e immediati che riflettono il suo estro e la sua verve: il suocarattere era d'altro canto giocoso e burlesco e ne sono prova i molteplici scherzi che egli perpetrava ai danni degli amici divertiti (Brognoli, p. 282). La sua produzione molto varia comprende anche numerose poesie d'occasione, scritte talvolta sotto lo pseudonimo di Evangelista Galerizio. Questi sonetti e canzoni si trovano sparsi in diverse raccolte o in fogli volanti, o ancora manoscritti. Tra questi ultimi abbastanza famosi sono i sei sonetti contadineschi dedicati Alla Menichina, in cui imitò lo stile di Cecco da Varlungo. La raccolta completa delle poesie del C. era stata preparata dallo ab. Zola, che morì prima di condurla a termine. Si può trovare l'elenco completo delle opere in Mazzuchelli (ff. 247v-249r).
Francesco, nato a Brescia il 14 ott. 1704, compì i suoi studi insieme al fratello Marco. Nel 1736 entrò nella Congregazione dell'oratorio di Brescia, ma dopo la morte dei genitori rientrò nella casa paterna. Morì il 5 nov. 1785.
Fu espertissimo nella lingua latina, ma specialmente nella greca, profondo conoscitore della patristica. Come poeta ci ha lasciato soprattutto componimenti d'occasione, sonetti e canzoni per nozze e per consacrazioni di chiese e su altri argomenti religiosi. Era un verseggiatore meno dotato del fratello: lo stesso Brognoli, estimatore di entrambi, paragona Marco a un'aquila che vola vorticosamente e Francesco a un cigno dal volo regolato e lineare. Gli mancavano infatti l'estro e l'originalità per elevarsi oltre i limiti imposti dalle regole accademiche e dall'abitudine all'imitazione. Unici componimenti che si distaccano dal consueto, almeno per l'argomento, sono le stanze Soprala morte del Pedante Barbetta, da lui scritte sotto il falso nome di Irenio Sombrero (raccolte in La morte del Barbetta..., cit.). L'elenco completo delle sue opere, sparse in numerose raccolte, è stato compilato dal Mazzuchelli, ff. 240r-242v.
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 9265: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, ff. 245-249 (239-42 per Francesco); Novelle letter. di Firenze, XV (1754), col. 315; G. B. Corniani, Elogio dell'ab. M. C., Brescia 1783; A. Brognoli, Elogi di bresciani…, Brescia 1785, pp. 94, 282, 352-379 (353, 365 s., 430 per Francesco); G. A. Moschini, Della letteratura venez., I, Venezia 1806, p. 95 (anche per Francesco); G. Dandolo, La caduta della Repubblica di Venezia,App., Venezia 1857, p. 161 (anche per Francesco); V. Peroni, Biblioteca bresciana, I, Bologna 1968, pp. 231 s. (230 s. per Francesco).