BUSSATTI (Busatti, Bussato), Marco
Di famiglia originaria di Ferrara - che si ornava di un Antonio, dottore in diritto, il quale aveva servito come giusdicente sotto il ducato di Ercole I - nacque presumibilmente a Ravenna nella prima metà del sec. XVI. Rimasto presto orfano, "povero di robba ma non d'ingegno", si guadagnò da vivere con la professione di far innesti, che nel 1578 dichiarava di aver esercitato per molto tempo. Visitò "molti lochi d'Italia" e in particolare Roma, in viaggi dei quali non ci è nota l'occasione, ma che gli procurarono una visione molto ampia delle pratiche colturali correnti. Incoraggiato dagli amici, nel 1578 pubblicò a Ravenna, presso Cesare Cavazza, una Prattica historiata dell'inestare gli arbori in diversi modi,in varij tempi dell'anno e conservarli in piùmaniere, divisa in dieci capitoli e illustrata da quattordici tavole di rozza fattura, frutto della sua solerte attività in questo settore dell'agronomia.
L'opera, dedicata ai Savi della città di Ravenna, il 26genn. 1579 meritò al B. una sovvenzione di dieci scudi da parte del collegio, con particolare riguardo alla sua "povera famiglia". Nel 1583, sempre a Ravenna, vide la luce una sua Regola per la quale brevemente s'insegna di trovare l'epatta,l'aureo numero et li tempi della luna in perpetuo et la cagione della correttione dell'anno, che trae certamente occasione dalla riforma gregoriana del calendario, ma in fondo non s'allontana troppo dalla materia prediletta, perché la conoscenza delle fasi lunari era indispensabile all'innestatore, che egli ammaestrava a preparare le marze a luna calante.
La materia della Prattica, rielaborata e largamente accresciuta, con due capitoli sull'aratura e la semina e sulla preparazione dei concimi, è ripresentata (Venezia 1592) col titolo Giardino di agricoltura;la completavano un proemio dell'autore, trenta bei disegni e un'appendice di "avvertimenti" sui lavori da compiere ogni mese che deve aver avuto per modello il Davanzati. L'opera fu molto apprezzata se ebbe una ristampa appena l'anno dopo, sempre a Venezia, con un ampliamento dei capitoli da 64 e 78; eguale numero di capitoli comprende l'edizione veneziana del 1599, mentre in quella del 1612, che la formula del privilegio di stampa farebbe supporre postuma, ha "gionte" che la portano a 107 capitoli. Le ultime edizioni presentano anche un lunario perpetuo e due sonetti che, per quanto inclusi dall'abate Ginanni nella sua antologia di rimatori ravennati, giustificano il severo giudizio del Mordani sull'estro poetico del B. (anche la Regola si apre con un sonetto).
Le tracce che il B. ha lasciato della sua vita sono pochissime e anche le sue pagine sono estremamente avare di riferimenti autobiografici; uno di questi attesta che egli era ancora vivo nel 1600. Il ritratto che di lui disegna il Mordani, lodandone la laboriosità e le doti d'equilibrio, rappresentate dalla ricerca del giusto mezzo in ogni cosa, non è privo di verosimiglianza, seppure di maniera. La prospettiva del Giardino, molto evidente nella parte dedicata al calendario dei lavori campestri, è quella di un proprietario vigile e attento, che sa bene come cautelarsi nei rapporti con l'infido contadino. Questa impronta signorile si rivela anche nella distinzione che, secondo l'orientamento corrente, egli pone fra agricoltura utile e agricoltura dilettevole, disprezzando le colture erbacee come quelle che richiedono "gran fatica e sudore" e procurano poco piacere e "allegria alla vista", e concentrando il suo interesse sulle coltivazioni arboree, confacenti al gentiluomo che se ne diletta, ed elementi indispensabili di quel gusto del paesaggio che domina l'agricoltura rinascimentale.
A. Bignardi - il quale ha dedicato al B. uno studio che ne delinea la personalità anche in rapporto ad altri agronomi come V. Tanara e A. Gallo, traendo dal Giardino un'illustrazione dell'ambiente rurale ravennate che vi si riflette - osserva giustamente che nel libro manca ogni preoccupazione economica: i suoi alberi, "dilettevoli all'occhio" e spiranti "gratissimo odore", s'impiantano precipuamente nei giardini di frutta, negli orti cittadini e suburbani, nei pometi che abbelliscono le ville padronali. Anche quando l'opera vuole assumere la dimensione di un trattato generale d'agronomia, estendendosi alla cerealicoltura e ad altre attività campestri, il nucleo principale e di maggior consistenza resta quello della frutticoltura, con particolare riguardo agli innesti, dei quali vengono diffusamente presentate le varietà e le tecniche che ne fanno un esercizio tanto "sottile e piacevole". Per il B. questa parte dell'agricoltura è ancora un'arte, della quale egli vuole divulgare i "bellissimi secreti" personalmente sperimentati. Il suo stile è piano, scarno, privo d'eleganze e di ornamenti retorici, volto principalmente ad un'esposizione chiara di regole pratiche, senza divagazioni erudite. Nell'edizione del 1592 non si allega nessun autore, classico o moderno; raramente vi ricorre l'espressione "alcuni dicono": il B. fonda le sue cognizioni sulla "lunga prova e le molte esperienze", anche se sostiene d'aver veduto seminare loglio e trasmutarsi in frumento e se non appare immune da credenze astrologiche. Quando l'opera si amplia, s'infiora di citazioni di Plinio e di Columella e, meno spesso, di Teofrasto, Varrone, Palladio, Crescenzi.
Benché così legato a sperimentazioni proprie, il Giardino non porta innovazioni sostanziali nel campo agronomico nel quale è specializzato. Come in altri testi del Rinascimento, in esso rivivono tecniche colturali praticate già in antico, ma è suo merito d'averle presentate in forma manualistica e con tanta completezza in un'epoca che il "ritorno alla terra" apriva alle trasformazioni e alle migliorie. Filippo Re ne lodò gli "ottimi precetti", in nome dei quali volle perdonargli qualche pregiudizio inseparabile dal tempo in cui fu scritto, e affermò che "fra gli antichi italiani nessun prima del nostro autore versò meglio sopra rinnesto".
Dopo la fortuna iniziale, che è testimoniata dalle quattro edizioni veneziane 1592, 1591, 1599, 1612successive alla prima stesura apparsa nel 1578sotto il nome di Prattica historiata, il Giardino non fu più ristampato fino al 1781, quando ne comparve una nuova edizione veneziana che prendeva per base, con dichiarati ammodernamenti ortografici, quella del 1599, preferita senza espressa giustificazione alla più completa del 1612.Segue un'edizione di Bassano del 1794, conforme a quella del 1781 anche nel proemio di F. Locatelli, dove si sottolineava la priorità dell'opera del B. rispetto a quelle del Quintinié e del Normand, ma il Giardino era stato già esumato da un Trattato sopra la coltivazione delle viti,del modo di fare i vini e di governarli... descritto da M. Bidet, che nella sua seconda edizione italiana (Venezia 1761;terza, ibid. 1778) ne aveva presentato i capitoli sulla viticoltura e la vinificazione; questi furono poi riprodotti da C. Trinci, L'agricoltore sperimentato..., Venezia 1763 e edizioni seguenti, e - sempre sotto questo nome - in Diciotto trattati di agricoltura appoggiati alla pratica, Milano 1851.
La Biblioteca Classense di Ravenna conserva un ms. (Mob. 3.7.C)di cc. 71, di due mani, con la data del 1587, intitolato Thesor d'agricoltura di Marco Bussatti da Ravenna, con una dedica di un Vitale Fusconi, che contiene - distribuito in 90 capitoli - il Giardino nel testo dell'edizione 1592, con numerose e talvolta sostanziali aggiunte e varianti, le quali non compaiono neppure nelle edizioni successive; i capitoli 91-100 presentano una parte della Regola per trovare l'epatta. Chiudono il ms. 27capitoli di Remedi, in gran parte consigli terapeutici, ma anche in materia d'agricoltura e di pesca, ai quali non è facile attribuire una paternità; il Bignardi avanza l'ipotesi che appartengano al B. senza escludere che possa invece trattarsi di un'aggiunta del copista.
Fonti e Bibl.: Ravenna, Arch. stor. comun., Parti, vol. 34, c. 74v; Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei Dieci - Notatorio, n. 34, c. 105; Rime scelte de' poeti ravennati antichi e moderni defunti, a cura di P. P. Ginanni, Ravenna 1739, pp. 198, 467 s.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2459 s.; P. P. Ginanni, Memorie storico-critiche degli scrittori ravennati, Faenza 1769, I, pp. 99 s.; M. Lastri, Biblioteca georgica, Firenze 1787, p. 27; F. Re, Dizionario ragionato di libri d'agricoltura,veterinaria e di altri rami d'economia campestre, Venezia 1808, I, p. 106; II, pp. 46 s.; F. Mordani, Vite de' Ravegnani illustri, in Giorn. arcadico di scienze,lett. ed arti, LVIII (1833), pp. 282-284; G. Rosa, Storia dell'agricoltura nella civiltà, Milano 1888, p. 259; G. F. Rambelli, Di alcune usurpazioni fatte a nostrali in cose d'agricoltura, in L'indicatore modenese, II (1852), n. 3, p. 19; P. Uccellini, Dizionario storico di Ravenna e altri luoghi di Romagna, Ravenna 1855, p. 67; P. A. Saccardo, La botanica in Italia. Materiali per la storia di questa scienza, in Memorie d. Ist. ven. di sc., lett. e arti, XXV(1895), 4, p. 41; L. Messedaglia, Il mais e la vita rurale italiana, Piacenza 1927, pp. 144, 220, 224, 323; E. Narducci, Giunte al Mazzuchelli, in Mem. d. Acc. d. Lincei, cl. sc.mor., stor. e fil., s. 3, XII (1880), p. 120; G.Dalmasso, Le vicende tecniche ed economiche della viticoltura e dell'enologia in Italia, Milano 1937, p. 366; M. Zucchini, Pomposa nella storia dell'agricoltura ferrarese, in Riv. di storia dell'agricolt., III (1963), 3, p. 45; A. Bignardi, M. B.el'agricoltura ravennate nel tardo Rinascimento, in Annali dell'Acc. naz. di agricolt., s. 3, LXXVII (1965), 4, pp. 59-98.