BRACCI, Marco
Appartenente a una famiglia di mercanti originaria di Vinci, trasferitasi in Firenze nel corso del sec. XIII, nacque in data imprecisata nella seconda metà del secolo XV da Giovanni Battista legato ai Medici da solidi vincoli di fedeltà.
I rapporti della sua famiglia con i Medici portarono il B., ancora in giovane età, a trasferirsi a Roma subito dopo l'elevazione al pontificato del cardinale Giovanni de' Medici che assunse il nome di Leone X. Arrivò a Roma nel 1514 e ci restò per quarant'anni fino al 1551 sotto ben cinque pontificati (Leone X, Adriano VI, Clemente VII, Paolo III, Giulio III). Da Leone X fu beneficato di vari uffici e benefici ecclesiastici: accolito-cappellano, protonotario apostolico, scrittore apostolico, il 7 marzo 1517 fu nominato addirittura conte palatino. Una dignità quest'ultima alla quale il B. doveva tenere molto, dato che, pur essendo a vita, se la fece rinnovare ben due volte da Paolo III, il 28 genn. 1535 e il 27 giugno 1539. I benefici conferitigli da Leone X e dai suoi successori toccavano la decina, ma erano tutti piuttosto magri, tranne uno del valore di trecento ducati assegnatogli da Paolo III l'11 giugno 1542.
Con queste scarse rendite non c'era da scialare: il B. pensò bene quindi, seguendo la tradizione della famiglia, di impegnarsi in attività mercantili, tentando qualche speculazione. Si sa che in società con un collega della scrittoria apostolica armò a Savona una piccola nave che vendette nel 1538. Ma non aveva il senso degli affari e di quattrini non riuscì a farne mai troppi: condusse una vita in definitiva abbastanza modesta e poté comprarsi solo una vigna in Anagni e una casetta nel rione Parione vicino alla chiesa della Pace, dalla quale ricavava anche venti scudi annui per l'affitto di una bottega. Dignitario pontificio, non mancò di ricoprire cariche pubbliche in momenti di particolare bisogno, come durante la peste del 1523, quando fu uno dei commissari generali alla sanità apostolica. Fu anche, come comportava la sua dignità, fra gli amministratori di istituti pii e ospedalieri: nel 1529 figura come guardiano dell'ospedale di San Giacomo e negli anni seguenti deputato del severo monastero delle Convertite. Nel 1548 divenne confratello dell'Ospedale di San Giovanni in Laterano "Arca santa del patriziato e della cittadinanza romana" e nel 1551 amministratore della Pia casa degli orfani.
Questi i dati esterni di una vita che sembrava votata alla pacifica e appena agiata carriera di modesto prebendario di Curia. Un'esistenza alla quale i "cinque disgraziati distici, annessi alla edizione delle lettere di Cicerone ad Attico eseguita in Firenze dal Giunti nel 1514 a cura di Mariano Tucci e dedicata al cardinale Giulio de' Medici" non conferirono certamente dignità letteraria: al B. non toccò neanche il più misero posto in quella sterminata schiera di poeti e versaioli latini e volgari celebrata da Francesco Arsilli, né suoi versi figurano tra i tanti raccolti nella Coryciana. Di ben altre frecce disponeva però per il suo arco: brillante conversatore, convitatore eccelso, pronto alla burla e alla malignità, osservatore arguto e sarcastico della società romana del tempo, era ricercato da papi e cardinali e principi e cortigiane; nutrito e accarezzato, sfornava motti e facezie con inesausta facilità, frequentava artisti e letterati, tenendosi però ben lontano dai rischi della letteratura cortigiana, disposto solo al discorso schietto e immediato, insofferente di ogni mediazione letteraria.
Alla corte di Leone X egli aveva un posto non dei minori fra la fitta schiera di buffoni e parassiti che tentavano disperatamente di sollevare dalla pesante noia quotidiana l'amabile e delicato pontefice. Alla morte del papa, fra le tante medaglie con motti e facezie dedicate burlescamente a tutti i personaggi più illustri della sua corte, una portava l'effigie del B. incorniciata dal motto "Di Marco Braccio, perché li puza el fiato", e nel rovescio un "cagator" era evidenziato dal commento: "odorem suavitatis". Ma il B. non era uomo da prendersela, abituato a burlare ma a essere anche burlato. L'Aretino lo ricorda infatti nei Ragionamenti come "il nobilissimo, Messer Marco Bracci, delitie de l'amicitia, allegrezza de gli amici, e persona ottima", e nella commedia la Cortigiana non tralascia di raccontare una delle burle delle quali egli fu vittima.
Col nuovo papa le cose per il B. come per tutti i suoi compagni di delizie si misero male: egli ne scrisse a un amico fiorentino il 13 ag. 1523 con vero disgusto: "e non crediate che si possa andare più camuffati per Roma, come già si faceva: che questo papa vuole altro che maschere: sicché vedrà uno modo di vivere alla fratesca" (cfr. Ferrajoli, p. 72). Per sua fortuna il pontificato di Adriano VI fu di assai breve durata; con Clemente VII la splendida e munifica tradizione medicea ritornò a risplendere dall'alto del soglio di Pietro. Il B., che in una pasquinata per il conclave di Clemente VII figura come conclavista del cardinale Ercole Gonzaga, fu tra i molti a rallegrarsene.
A quotidiano contatto con esponenti di Curia, con politici e diplomatici, il B. sfruttò i suoi successi mondani con una lucrosa attività di informatore al servizio del duca Cosimo de' Medici. Nell'archivio di Stato di Firenze si conserva una ricca messe di suoi dispacci e lettere alla quale hanno attinto occasionalmente gli eruditi, ma che meriterebbe una ricerca più sistematica per ricostruire un ambiente e una società attraverso il prisma irridescente di un'epistolografia estemporanea, arguta e disinteressata. A giudicare dai sondaggi effettuati dal Pastor, lo storico della politica non ne trarrebbe grande utilità: osservatore attento e bene informato, egli era sostanzialmente indifferente agli avvenimenti politici. Alla cronaca politica usava alternare però quella mondana per la quale mostrò sempre ben altra vocazione. Essa alimentava infatti un'aneddotica ricca e circostanziata, sapida di umori grotteschi e di lazzi buffoneschi, in una prosa estrosa e allusiva che trovava nella lettera la sua misura ideale. Esemplare in questo senso un gruppetto di lettere studiate dal Cian nelle quali il B. riferisce dell'arrivo e della prima sistemazione della cortigiana Saltarella, trasferitasi da Firenze a Roma. Le si recò incontro fuori le mura e la trovò "accompagnata dal S.or m. Lactantio con tanti cavalli e servitori et arme, che mi pareva l'entrata di Marphisa nel campo moresco". La seguì nei suoi primi successi romani ("la Sig.ra è in tanta grandezza che i vescovi li fanno afa et ha preso una casa che paga di pigione ottanta scudi d'oro..."), nell'arredamento della sua nuova casa ("ha fatto un fornimento et parato la camera di Domascho turchino con frange ricchissime, et una cuccia delle più belle che habbi mai più vedute, et molte tappezzarie...") fino al trionfo conclusivo ("non si può ripararsi a tanta gente quanto lei l'ha et l'altra sera cenò con cinque cardinali de' vecchi, non di nuovi che sono a buon mercato", cfr. Cian, Galanterie, pp. 8, 13, 15, 18). Non meno indicativa di una disposizione felicissima al racconto in chiave caricaturale, di una ricerca del comico assolutamente disimpegnata sul piano morale, una lettera del 14, genn. 1540nella quale riferisce al segretario mediceo Francesco del Riccio di una avventura erotica di Pier Luigi Farnese duca di Castro che, incapricciatosi di un giovane, efebo giunto a Roma al seguito del cardinale Ippolito d'Este, tentò "con imbasciate e mezzani" di ridurlo alle sue voglie.
Certo il B. sapeva bene allietare la mensa di papi e cardinali al punto che Clemente VII lo volle al suo seguito prima nel 1529 a Bologna, dove partecipò alla cerimonia dell'incoronazione di Carlo V presentandogli il cappello e lo stocco benedetto offerti dal papa, e poi nel 1533 a Marsiglia per il matrimonio della nipote Caterina de' Medici con il futuro Enrico II.
Come ogni personaggio della sua pasta, il B. seppe rivestire la sua natura arguta e il suo assoluto disimpegno morale nei panni ufficiali di una conformistica consuetudine devota, tanto da assumere addirittura i già ricordati incarichi di tutore di orfani e donzelle e di amministratore di istituti pii e caritatevoli. Sulla sua ortodossia non ebbe dubbi il Ferrajoli che lo definì "uomo di buona pasta, di buon cuore ed in riputazione di capacità e di onestà" (p. 72).Si capisce che il cardinale Gasparo Contarini gli apparisse come "fratel carnale di Lucifero" e che temesse tanto la possibile riuscita del suo tentativo di trovare un accordo con i luterani. Alla partenza del Contarini per Ratisbona scrisse a Cosimo "Dio vogli che facci qualche cosa di buono e non s'accordi con li luterani" (cfr. Pastor, V, p. 25).
Il B. morì a Roma il 30 sett. 1551 e per sua esplicita disposizione testamentaria fu seppellito di notte e senza alcuna pompa nella chiesa della Minerva. Nell'inventario dei suoi beni è presente un solo libro: i Discorsi di Machiavelli.
Fonti eBibl.: Cortigiana comedia di M. Pietro Aretino,nuovamente ristampata per Francesco Marcolini da Forlì, s.l. 1536, c. n. n.; La terza,et ultima parte de' ragionamenti del divino Pietro Aretino..., s.l. 1589, c. 58rv; Storia della guerra di Paolo IV sommo pontefice contro gli Spagnoli scritta da Pietro Nores corredata di documenti, a cura di L. Scarabelli, in Arch. stor. ital., XII (1847), pp. 263 s.; Pasquinate di Pietro Aretino ed anonime per il conclave e l'elezione di Adriano VI, a cura di V. Rossi, Palermo 1891, pp. 20, 104 s.; V. Cian, Galanterie italiane del secolo XVI, Torino 1888, pp. 6-19; Id., Gioviana, in Giorn. stor. d. lett. ital., XVII (1891), p. 337; A. Ferraioli, Il ruolo della corte di Leone X, in Arch. della Soc. romana di storia patria, XXXIX (1916), pp. 65-77; L. v. Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1924, pp. 126 s., 200, 215, 222, 255 s.; G. A. Cesareo, Pasquino e pasquinate nella Roma di Leone X, Roma 1938, pp. 235, 237, 286.