BARBO, Marco
Nacque a Venezia, sul principio del 1420, da Marino di ser Marco e da Filippa della Riva. Nipote di Ludovico e lontano parente di Pietro. che divenne papa col nome di Paolo II, apparteneva a famiglia che, pur di nobili origini, era di assai modeste condizioni. Dell'infanzia e della giovinezza non ci è pervenuta alcuna notizia, per cui ignoriamo quali siano stati i suoi maestri e quali studi abbia compiuto prima di intraprendere la carriera ecclesiastica; sappiamo soltanto che il 20 nov. 1438 egli venne presentato dal padre all'ufficio degli avogadori.
Divenuto maestro di casa del cardinale Pietro Barbo, questi lo nominò suo procuratore nell'amministrazione dell'abbazia premostratense dei SS. Severo e Martirio presso Orvieto (1449), di cui era commendatario, e suo vicario generale nel vescovato di Vicenza (1451), tenuto dal Barbo in commenda fino al suo pontificato. A questi anni risalgono anche le prime testimonianze di benefici ecclesiastici ottenuti dal B.: nel novembre 1452 Niccolò V gli assegnò in commenda il monastero di S. Pietro d'Ossero nel Carnaro, nell'aprile 1453 quello dei SS. Sergio e Bacco in diocesi di Scutari e il 30 ottobre successivo l'abbazia benedettina di S. Pietro di Rosazzo nel Friuli.
Protonotario apostolico e canonico della cattedrale di Padova, il 7 sett. 1455 fu promosso vescovo di Treviso da Callisto III; egli pose la sua residenza nella diocesi e la governò personalmente fino al 17 sett. 1464, data in cui Paolo II lo trasferì a Vicenza. Si rendeva intanto vacante il patriarcato di Venezia, e il Senato della Repubblica - a quanto asserisce il Sanuto - propose al B. di assumerne il govemo, ma egli rifiutò. A Vicenza la permanenza del B. fu breve, perché Paolo II lo volle a Roma al suo fianco; tuttavia non rinunciò alla sua diocesi e ne affidò l'amministrazione al vescovo di Feltre Angelo Fasolo.
Da questo momento la vita e l'attività del B. sono strettamente legate alle vicende del papato; Paolo II ebbe in lui piena fiducia e si valse della sua opera nel govemo della Chiesa. Alla morte del cardinale camerlengo, Ludovico Trevisan, il papa, anziché dargli un successore, tenne l'ufficio nelle sue mani, giovandosi della collaborazione di prelati a lui fedeli; così nel 1465 il B. fu designato "commissarius specialiter deputatus" per molti e importanti affari, ed esercitò tale funzione durante tutto il pontificato di Paolo IL Fu anche membro della commissione istituita dal papa per affiancare il maestro generale dei cavalieri di S. Giovanni di Gerusalemme nella riforma dell'Ordine, che si dibatteva tra difficolt i finanziarie e contese inteme, e proprio al B. passò in commenda il priorato romano dei cavalieri (S. Basilio) il 7 marzo 1466.
Nel concistoro del 18 sett. 1467 fu elevato alla porpora e il giorno seguente gli fu conferito il titolo di S. Marco; un mese dopo ottenne dal papa in commenda il monastero benedettino dei SS. Severo e Martirio, di cui era stato ammninistratore, e nel luglio 1468 quello di S. Giovanni Battista di Traù in Dalmazia; più tardi anche il monastero cisterciense di S. Spirito fuori le Mura di Palermo. Riesce difficile stabilire se la linea d'azione del B., in quegli anni, si identifichi completamente con quella del papa o quanto se ne discosti. Tra il 1468 e il 1469, allorché Paolo II prese dura posizione contro l'Accademia romana, e specialmente contro Pomponio Leto e il Platina, accusati di congiura e di empietà, il B. fu chiamato a presiedere la cominissione che condusse l'inchiesta e fece anche parte del tribunale davanti a cui si svolse il processo. Gli atti del processo sono andati perduti: è quindi impossibile conoscere il ruolo esercitato dal B. in questa vicenda, che portò alla dispersione del circolo umanistico romano.
Prima del 18 marzo 1471 Paolo II trasferì il B. da Vicenza al patriarcato di Aquileia, che il papa aveva tenuto per sé dopo la morte del cardinale Ludovico Trevisan; anche il B. fu costretto a ricorrere a un vicario, per l'anuninistrazione del patriarcato, dato che le sue responsabilità non gli consentivano di lasciare la curia. Ma alla morte di Paolo II, sopraggiunta qualche mese dopo, il Sacro Collegio nominò il cardinale Stefano Nardini commissario di Roma "sede vacante" con piena autorità di governo (mancava ancora il camerlengo) e tolse praticamente ogni potere al Barbo. La sua figura, durante il conclave, rimase quindi in ombra, e sembra che anche il nuovo papa, Sisto IV, abbia ostentato in principio una certa freddezza nei suoi riguardi.
Il 13 nov. 1471 il B. rinunciò al priorato romano di S. Basilio, dei cavalieri gerosolimitani, e nel concistoro segreto del 23 dicembre fu uno dei cinque cardinali costituiti legati a latere e destinati a sollecitare l'adesione dei principi cristiani alla lotta contro i Turchi. Il B., inviato in Germania, Boemia, Ungheria e Polonia, partì nel febbraio 1472 senza frapporre indugi e, dopo una breve sosta nel patriarcato di Aquileia, si diresse verso la Germania. Scopo principale della sua missione era di restaurare la pace dell'impero, sforzandosi a comporre i contrasti fra Mattia Corvino re d'Ungheria e Casimiro III re di Polonia riguardo alla corona di Boemia. Il 2 aprile la sua missione fu estesa anche al regno di Danimarca, Svezia e Norvegia; ma troppo grave era ormai la disunione tra i regni d'Occidente perché l'appello del papa venisse ascoltato; il B. riuscì solo a promuovere un accordo tra Polonia e Ungheria. Se non conseguì il successo sperato, egli tuttavia chiuse onorevolmente la sua missione, cui si era dedicato con infaticabile zelo, ottenendo l'elogio dei giudici più severi; e, rientrato a Roma, il 15 nov. 1474 fece un ampio rapporto in concistoro.
Non sembra che Sisto IV gli abbia più affidato compiti di particolare importanza; molti benefici invece gli conferì, sia durante la missione in Germania (nelle chiese di Langres e Béziers), sia successivamente (nelle diocesi di Ossero, Zara, Cividale, Trento, Brescia e Ravenna). Il 24 luglio 1476, con un motu proprio, gli diede in commenda l'abbazia di S. Croce di Sassovivo (Foligno), nella quale il B. introdusse gli olivetani, allontanandone i monaci benedettini che si opponevano ai suoi progetti di riforma. Eletto il 9 genn. 1478 camerlengo del Sacro Collegio, il 6 novembre dello stesso anno optò per il vescovato suburbicario di Palestrina, mantenendo tuttavia in commenda il titolo di S. Marco e il patriarcato di Aquileia. Circa un anno e mezzo più tardi, caduta Otranto in mano dei Turchi (1480), fu inviato ad Ancona per ispezionare le difese della costa adriatica e renderle capaci di respingere eventuali incursioni.
Alla morte di Sisto IV (12 ag. 1484), l'autorità che il B. aveva in curia si rivelò preziosa e giovò a mantenere l'ordine in Roma, a placare i fermenti popolari e le discordie fra i cardinali. Sul suo nome, in conclave, si verificò anzi la convergenza di una decina di voti, chiaro segno del favore che egli incontrava presso i membri del Sacro Collegio più solleciti del bene della Chiesa. L'eventualità di una sua elezione era tuttavia temuta dai porporati mondani, cui non garbava l'austerità del cardinale di S. Marco; i cardinali Rodrigo Borgia e Giuliano della Rovere trovarono presto l'accordo su Giovanni Battista Cibo, che fu eletto papa e prese il nome di Innocenzo VIII. Col nuovo pontefice il B. fu in ottimi rapporti; nel 1484 ottenne in commenda il priorato benedettino di S. Angelo di Rosario (diocesi di Foligno) e, nel 1485, la chiesa di S. Balbina in Roma con tutti gli edifici annessi. Egli non ebbe timore di esortare il papa a reggere con più zelo e fermezza le sorti della Chiesa, a curare maggiormente gli interessi ecclesiastici e religiosi, trovando rimedio ai difetti della curia; ma, quando gli fu concesso, preferì soggiornare lontano da Roma, a Palestrina, a Zagarolo o altrove.
Ad Aquileia non risiedette mai, pur conservandone la commenda fino alla morte; fu però molto sollecito degli interessi della sua Chiesa, che governò con l'ausilio di vicari e luogotenenti di sua fiducia. Incaricò i vescovi di Bagnorea e di Caorle di visitare rispettivamente la stessa Aquileia e le province di Germania del patriarcato, ottenendo il ristabilimento della disciplina ecclesiastica, nonostante le resistenze del clero locale. Il B. stesso inviò da Roma prescrizioni relative all'esazione e amministrazione delle rendite ecclesiastiche, per eliminare gli abusi in tutta la diocesi; un'altra disposizione in materia di canonici di minore-età (opportuna per l'abituale confusione) fu poi confermata da Innocenzo VIII. È probabile che siano stati questi provvedimenti a far ritenere all'Ughelli che durante il patriarcato del B. venisse celebrato in Aquileia un concilio provinciale, di cui non resta alcuna notizia. Il 15 febbr. 1485 il B. ebbe in commenda il priorato conventuale di S. Giacomo di Pontida in diocesi di Bergamo, che, nonostante gli ostacoli oppostigli da Venezia riguardo al possesso dei beni, visitò personalmente nel 1487 e in cui introdusse i monaci della congregazione di S. Giustina, per ovviare alla assenza di disciplina ecclesiastica.
Il B. morì il 2 marzo 1491 nella residenza di S. Martinello "ad limina apostolorum" (oggi scomparsa), dove, sentendo prossima la fine, si era voluto trasferire. Fu inumato nella cappella del SS. Sacramento della sua sede di S. Marco e sulla tomba venne posta una semplice iscrizione che egli stesso aveva ordinato.
Della sua fine ci è rimasta una precisa relazione, in una lettera di Cosimo de' Pazzi, canonico di S. Pietro e poi arcivescovo di Firenze. Le precarie condizioni di salute del B., durante gli ultimi mesi della sua vita, tolgono ogni fondamento al sospetto che egli fosse stato avvelenato per ordine di re Ferdinando di Napoli, alle cui pretese - da buon difensore dei diritti della Sede apostolica - si era decisamente opposto. Il suo testamento non è giunto fino a noi: si sa tuttavia che i cardinali Oliviero Carafa, Giovanni Balue e Francesco Tedeschini Piccolomini, intimi amici del B. e suoi esecutori testamentari, dovettero ricorrere al papa, perché i debiti, le spese dei funerali, i compensi ai familiari e i vari legati superavano l'asse ereditario; il B. infatti, da vivo, aveva distribuito ai poveri larga parte delle sue rendite e i suoi beni si riducevano a pochi denari, alle gioie pontificali ed alla biblioteca. Innocenzo VIII concesse che si attribuissero alla sua eredità, a partire dal giorno della morte, tutti i frutti di un anno dei benefici da lui posseduti, compresi quelli del vescovato di Palestrina e del patriarcato di Aquileia.
In tempi di generale e profonda corruzione morale, mentre il papato era offuscato dal nepotismo, il B. si distinse per i retti costumi e la sincera pietà, attirandosi la stima e l'affetto di molti, e, dopo la morte, l'apprezzamento dei contemporanei e degli storici. Della naturale prudenza e affabilità si servì per moderare gli atteggiamenti a volte troppo duri di Paolo II; così l'esperienza e l'abilità nel maneggio degli affari politici gli consentirono di svolgere una proficua attività al servizio della Chiesa. L'essersi sempre mantenuto imparziale negli avvenimenti, senza legarsi alle prese di posizione della curia, gli guadagnò un altissimo prestigìo non solo al tempo di Paolo II, ma anche sotto Sisto IV e Innocenzo VIII. I papi furono larghi con lui di benefici ecclesiastici, che accettò sempre, anzi richiese, quando temeva che potessero cadere in mani poco degne; gli sarebbe stato impossibile reagire a un costume ormai radicato, ma seppe tenersi lontano dal fasto e dalla mondanità di molti altri prelati. Fu un commendatario che operò con intenzione ecclesiastica, provvedendo alla difesa dei diritti, alla riforma ed al restauro delle chiese e dei monasteri a lui affidati, anche a costo di gravi spese; e nella sua corrispondenza rimane notizia delle difficoltà finanziarie in cui ebbe talvolta a trovarsi. Le sue sollecitudini non avevano solo per oggetto gli istituti avuti in commenda, ma si allargavano a tutta la Chiesa, di cui auspicava una energica riforma, a partire dal suo capo, il pontefice; per questo sosteneva la necessità che fossero creati buoni cardinali, come riferisce Paolo Cortesi nel suo De cardinalatu (Castro Cortesii 1510, f. LXXXXI).
Il B. guardò con viva partecipazione alle molteplici manifestazioni della cultura del suo tempo. Si dedicò con generosità alla costruzione di nuove "fabbriche" e al rinnovamento monumentale di chiese e monasteri; portò a compimento il grandioso palazzo di S. Marco (oggi palazzo Venezia), iniziato da Paolo II, e importanti lavori fece eseguire anche a Palestrina, ad Aquileia e nella casa di S. Basilio dei cavalieri gerosolimitani (presso il Foro d'Augusto); a Mino da Fiesole e a Giovanni Dalmata commise il monumento funerario di Paolo II.
Ma la passione più grande del B. fu la sua biblioteca, ricca di 500 volumi, di cui oggi non si conosce la sorte; ad essa dedicò le sue attenzioni di uomo colto e di largo ingegno, amante delle arti e delle lettere, come lo dissero, nei loro scritti, molti umanisti quali il Filelfo, il Ficino, il Biondo, il Tritemio e Gaspare da Verona. Mise i codici della sua biblioteca con grande liberalità a disposizione di amici ed editori, mostrandosi fautore dell'arte della stampa, introdotta a Roma sotto Paolo II. Giovanni Andrea Bussi, Amelio Trebano, Pietro Barozzi, Paolo Morosini ed altri gli dedicarono loro opere o edizioni di classici; il Marullo gli dedicò un epigramma, il Platina e Rodrigo Sanchez Azevedo lo vollero arbitro di una loro dotta contesa sulla pace e sulla guerra. Ai letterati concesse la sua protezione, specialmente durante il pontificato di Sisto IV, che vide rifiorire l'Accademia romana e gli studi greci; di tali studi fu sincero difensore e ne beneficiarono Teodoro Gaza, Cristoforo Persona, Giovanni Lorenzi. La sua conoscenza del greco è testimoniata dalla versione in latino del Tractatus de fide catholica et responsiones ad quaestiones Mahuméiis magni Turcarum imperatoris di Gennadio patriarca di Costantinopoli e dell'Opusculum quoddam di Dionigi Areopagita (versioni che il Tritemio attribuisce ad Ermolao Barbaro, patriarca di Aquileia).
Il Mazzuchelli ricorda del B. il trattato in due libri De coelibatu, la Relatio suae legationis in partibus septentrionalibus e l'Oratio in Consistorio habita cum ex Hungarica legatione remearet.Dei suoi scritti sono pubblicati il carteggio con Giovanni Lorenzi (suo segretario dal 1472, poi bibliotecario e segretario papale con Innocenzo VIII) e la relazione inviata al papa da Ancona sull'ispezione compiuta lungo la costa adriatica. Altre sue lettere rimangono nella assidua corrispondenza epistolare scambiata con Maffeo Valaresso, arcivescovo di Zara, e con il cardinale Giacomo Ammannati Piccolomini, vescovo di Pavia.
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