AVOGARO (Dell'Avogaro), Marco
Figlio di Giovanni, fu attivo alla corte estense di Ferrara dall'anno 1449 al 1476. Il 14 nov. 1449 egli ricevette 56 lire, per avere miniato due frontespizi "all'antica" e 283 iniziali di un manoscritto di Alessandro di Hales, scritto da un Guglielmo romano e da Biasio da Cremona, e il 30 sett. 1450 ricevette un altro compenso per altri 12 fascicoli della stessa opera comprendenti un altro frontespizio. Il 23 marzo 1450 fu pagato per un frontespizio e 46 iniziali ai Sermoni di s. Agostino, per iniziali a un libretto di due Epistole, eper iniziali ad una Retorica di Aristotile. Nel 1451 decorò un Livio in foglio reale con un frontespizio, 9 grandi lettere in quadro di 10 righe di scrittura, 88 piccole, ecc. L'8 febbr. 1452 Giovanni di Magonza finiva di scrivere uno Svetonio che Marco decorò con un frontespizio con imprese estensi e medaglia di Cesare, grandi iniziali con ageminature all'antica, 11 iniziali con medaglie dei Cesari e una pagina di indici e rubricazioni (5 apr. 1452, 31 ag. 1453, 23 febbr. 1454). Nessuna di queste opere è stata rinvenuta; il Campori credette di identificare il Livio nel ms. It. MXV della Bibl. Estense di Modena, opera di miniatore non italiano, non corrispondente all'elenco delle decorazioni dato nel conto.
La base per ricostruire la personalità artistica dell'A. resta nella identificazione della sua parte nella decorazione della Bibbia di Borso d'Este (Modena, Bibl. Estense, ms. Lat. 249). Il 24 genn. e l'11 nov. 1458 egli ricevette tramite Franco de' Russi due volte 75 lire, cifra pattuita nel contratto iniziale per ogni quinterno senza frontespizio di particolar rilievo; altre 75 lire ebbe il 31 dic. 1461 attraverso Taddeo Crivelli. Se questi pagamenti attestano in modo inequivocabile la sua collaborazione non indifferente all'impresa, non specificano in quali pagine sia da riconoscere la sua mano e non possono servire che di controllo alle indagini stilistiche, rese complesse dal gran numero di aiuti, citati dai documenti, che i due principali miniatori, il Crivelli e il Russi, ebbero ai loro ordini. Lo Hermann ritenne che si potesse dedurre dai pagamenti delle altre opere sopracitate che l'A. fosse artista di notevole rinomanza, mentre in realtà dalla descrizione delle decorazioni e dalle cifre riscosse risulta che egli fu più versato in opere di pura decorazione che in scene figurate.
Poiché nel primo fascicolo della Genesi commesso in prova al Crivelli e al Russi, coadiuvati da Giovanni de Lyra, lo stile delle scene figurate rivela l'intervento di una quarta personalità, lo Hermann pensò di attribuire all'A. la Torre di Babele al f. 9, il verso dello stesso f., i ff. 11 recto e verso, caratterizzati dalla tonalità bluastra della coloritura, dall'evidenza plastica delle figure panneggiate entro rigide pieghe parallele, da paesaggi con colline tondeggianti con lumeggiature auree; e, per analogia stilistica, nel secondo volume i ff.: 45 v., 50, 56 con l'incipit del libro di Ezechiele; 148 v., 149 con l'incipit del Vangelo di Marco, 157 v. con l'incipit del Vangelo di Luca con a piè di pagina, entro un ricco porticato, al centro la Natività e ai lati l'Annunciazione; 229 V. con l'incipit della Lettera di Giacomo.
Il Venturi, dopo aver giudicato secondaria l'importanza dell'A. nell'esecuzione della Bibbia, sulla scorta dei documenti, in seguito agli studi dello Hermann convenne nell'identificarlo con l'autore delle miniature sopracitate e gli attribuì anzi il completamento, in stile mantegnesco, del Messale di Barbara di Brandeburgo Gonzaga, tuttora a Mantova, ora quasi concordemente ritenuto di Gerolamo da Cremona. Contrariamente allo Hermann però, giudicò duro e sgradevole lo stile di tale miniatore, misconoscendone l'interesse artistico. Il Salmi (1943), accettata l'identificazione dello Hermann, sottolineò la precocità dell'assimilazione dei formalismi mantegneschi, che si rivela soprattutto nella scena dell'incipit del Vangelo di Luca, e la sensibilità particolare dell'A. fra i miniatori della Bibbia per la concezione pierfrancescana di organizzazione prospettica dell'immagine, e ipotizzò (1961) una derivazione da affreschi perduti di Piero. Ma l'A. non intese il gusto del colore del maestro, ché, anzi, risulta inferiore agli altri collaboratori della Bibbia proprio per la sgradevole gamma coloristica di cui si serve, oltre che per minor slancio fantastico. Scartata l'ipotesi avanzata dal Venturi, che si debba all'A. il completamento del Messale gonzaghesco di Belbello, si ammette però concordemente l'affinità della sua cultura con quella di Gerolamo da Cremona, piuttosto che con quella di Franco de' Russi, col quale evidentemente collaborò, e di Guglielmo Giraldi. Si può dunque concludere che le peculiarità stilistiche del miniatore dell'incipit di S. Luca nella Bibbia di Borso sono accertate, ma resta assai dubbio che gli si possa riferire il nome dell'A., come giustamente obiettò il Bertoni. Anche i documenti posteriori all'esecuzione della Bibbia non dannoinformazioni convincenti sulla sua eccellenza: nel 1472, 17 gennaio, forniva a Ercole I un libro piccolo in carta buona con una raccolta di insegne estensi, nel 1476 risulta debitore della Tesoreria ducale. Un Vincenzo dell'Avogaro, noto solo per aver eseguito delle rubricazioni, fu forse suo figlio.
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