COMMODO, Marco Aurelio (M. Aurelius Commodus Antoninus)
Imperatore romano. Nacque a Lanuvio il 31 agosto 161 dall'imperatore Marco Aurelio e da Faustina minore, figlia di Antonino Pio. Ebbe sorelle e due fratelli che morirono entrambi in tenera età: rimase perciò il solo discendente maschio della casa imperiale, e crebbe da principe ereditario. Mentre da Nerva in poi era prevalso nella successione all'impero il principio dell'adozione, Marco Aurelio tornò invece al principio dinastico. Commodo a cinque anni partecipava già agli onori imperiali ed era nominato Cesare insieme col fratello minore, poi morto; a 14 anni era dichiarato maggiorenne e presentato all'esercito al confine del Danubio; a 15 venne dal padre proclamato imperatore (27 novembre 176), e l'anno seguente era console ed Augusto.
Marco Aurelio era con C. al confine danubiano, quando morì, il 17 marzo 180. Egli aveva raccomandato il figlio ai suoi generali, esortandolo a condurre a termine la guerra. Commodo seguì il consiglio paterno: la campagna contro le popolazioni barbariche del confine venne ripresa; i Buri, i Quadi, i Marcomanni furono obbligati a chieder pace e a dare ostaggi. Una moltitudine di Daci, espulsa dal proprio paese, venne sottomessa. Dopo queste operazioni militari, che occuparono tutta l'estate del 180, il giovane imperatore s'affrettò a tornare a Roma, ove fu accolto in mezzo a grande entusiasmo.
In capo a due anni, scoppiò nel palazzo imperiale la prima bufera: C. fu sul punto di cader vittima d'una congiura. Questa era stata ordita in seno alla famiglia stessa di C.; n'era a capo la sorella maggiore Lucilla col cugino Ummidio Quadrato e il figliastro Claudio Pompeiano Quinziano, che fu incaricato di eseguire il colpo. L'attentato fallì, Quadrato, Quinziano e Lucilla furono messi a morte. Contemporaneamente anche Crispina, moglie di C., accusata d'adulterio, veniva esiliata ed uccisa. Ma le cose non si fermarono lì; si cercarono complici della congiura fra i senatori, e le accuse e i processi dilagarono. Tarrutenio Paterno, valoroso e colto generale di Marco Aurelio e allora comandante dei pretoriani, coinvolto nelle accuse, venne onorevolmente rimosso dalla carica e poi mandato a morte con altri.
L'accusatore principale di Paterno era stato il suo collega nel comando dei pretoriani, Perenne, il quale rimase solo a capo delle coorti, ed ebbe nelle mani il governo dell'impero, mentre C., diffidente e pauroso, si teneva chiuso nel palazzo. È facile comprendere che Perenne dovesse seguire un indirizzo ostile al Senato, e le conseguenze erano sentite anche nei comandi militari, nei quali ai senatori venivano sostituiti ufficiali provenienti dall'ordine equestre. Ciò diede luogo a una forte agitazione fra le legioni che combattevano in Britannia, le quali mandarono una delegazione di 1500 uomini a chiedere la rimozione di Perenne, che era anche accusato di tramare per portare all'impero un suo figlio. C., atterrito, abbandonò senza esitazione il suo prefetto, che venne ucciso per mano dei soldati insieme con la moglie, la sorella e due figli. Parte dei provvedimenti di Perenne fu revocata. Ma trenta giorni dopo c'era già a corte chi prendeva il posto di Perenne, e spadroneggiava al pari di lui. Era un liberto, Cleandro, originario della Frigia, divenuto cubiculario (maggiordomo) di C. Egli aveva lavorato ai danni di Perenne e ne raccolse l'eredità. Divenne padrone degli affari dello stato, vendette cariche civili e militari, creò patrizî, nominò senatori, accumulando immense ricchezze. Il numero dei comandanti del pretorio fu portato a tre, e uno di essi fu Cleandro medesimo. In un anno (189) si videro a Roma sin venticinque consoli. Ma in quell'anno stesso scoppiò nella città una violenta sommossa popolare a causa della carestia sulla quale Cleandro era accusato di speculare. La folla circondò la casa ove C. si trovava, chiedendone la testa. C. diede in preda ai tumultuanti il suo maggiordomo, che venne ucciso e squartato.
Dopo la morte di Cleandro il governo passò nelle mani di una triade, formata da Marcia, concubina di C., dal maggiordomo Ecletto e dal comandante del pretorio Emilio Leto. Da questo tempo si appalesa in C. in maniera sempre più morbosa la mania di esaltare la sua personalità. Tutto doveva essere chiamato col suo nome: era Commodiano il Senato, Commodiano il popolo, l'esercito, la flotta. Roma stessa diviene colonia commodiana. Poiché occorse ricostruire una parte della città distrutta da un incendio, egli prese il titolo di fondatore di Roma. Lasciò il prenome Marco che aveva preso al salire all'impero, e riprese quello che aveva avuto dalla nascita, Lucio. Assunse anche il nome di divinità, e si chiamò Giove, Marte, ma principalmente Ercole e si fece rappresentare con pelle di leone e clava come questo semidio. Cambiò anche il nome ai mesi per chiamarli con uno dei suoi titoli. Amava combattere da gladiatore e riscoteva una lauta mercede dovutagli per tali spettacoli. Il 31 dicembre del 192 si ritirò nella scuola dei gladiatori del monte Celio per presentarsi all'indomani alla cittadinanza come console, in assetto di gladiatore. Ma prima che questo avvenisse, nella notte stessa, Marcia, Leto ed Ecletto, minacciati, sembra, nella vita, decisero di toglierlo di mezzo. Gli diedero cibi avvelenati, e poiché questi non avevano effetto, lo fecero strozzare dall'atleta Narcisso. Il suo cadavere venne in seguito seppellito nel mausoleo di Adriano.
Di avvenimenti esterni non vi fu nulla di segnalato sotto l'impero di C. Egli si arrogò non meno di otto salutazioni imperatorie, ma rion si sa quali vittorie possano averle legittimate. Al confine settentrionale le armi romane ebbero favorevoli successi contro i Britanni, i Daci e i Sarmati, i Frisoni; in Africa contro i Mauri. Le più notevoli fra tutte furono le vittorie riportate contro i Britanni da Ulpio Marcello, in conseguenza delle quali C. assunse il titolo di Britannico (184). Per contro la Spagna e la Gallia furono corse da bande innumerevoli di disertori e di briganti, di cui si era fatto capo un disertore di nome Materno. Questi osò scendere in Italia con uno stuolo di satelliti, col proposito, si disse, di uccidere L. e impadronirsi dell'impero. Ma fu catturato e ucciso.
Fonti: La Vita Commodi, attribuita a Lampridio nella Historia Augusta; Erodiano, I, 2-17; Cassio Dione nell'epitome di Xifilino, LXXII (ed. Boissevain, LXXIII). Inoltre: Eutropio, VIII, 15 ecc.
Bibl.: J. Zürcher, Commodus, Ein Beitrag zur Kritik der Historien Herodians, in M. Büdinger, Untersuchungen zur römischen Kaisergeschichte, I, Lipsia 1868, p. 223 segg.; H. Schiller, Geschichte der römischen Kaiserzeit, I, ii, Gotha 1883, p. 660 segg.; J. M. Heer, Der histor. Wert der Vita Commodi, in Philologus, Suppl. IX, Lipsia 1901, pp. 1-208; O. Th. schulz, Das Kaiserhaus der Antonine und der letzte Historiker Roms, Lipsia 1909, p. 182 segg.; P. v. Rohden, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., II, col. 2464 segg.; id., in De Ruggiero, Dizionario epigrafico, II, 547-561; M. Rostovtzeff, The social and economic history of the Roman empire, Oxford 1926, p. 344 segg.; P. Allard, Histoire des persécutions pendant les deux premiers siècles, Parigi 1892, p. 440 segg.; F. Bassani, Commodo e Marcia, Venezia 1905; M. Rostovtzeff, Commodus-Hercules in Britain, in Journal of Roman Studies, XIII (1923), p. 91 segg. Le monete, in Cohen, Médailles impériales, III, 2ª ed., p. 228 segg. L'iconografia, in J.J. Bernoulli, Römische Ikonographie, II, ii, p. 226 segg.