CORNER, Marco Antonio
Nacque a Venezia nell'ottobre 1493 da Giovanni di Antonio del ramo a S. Samuele, poi a S. Salvador, e da Laura Giustinian di Nicolò di Benedetto.
La famiglia era assai ricca: il padre, che abitava a S. Salvador, discendeva in linea retta dal doge Marco ed aveva percorso una notevole carriera politica in qualità di avogador di Comun e savio di Terraferma; nel 1509, inoltre, in uno dei momenti più tempestosi per le sorti della Serenissima, era stato ambasciatore all'imperatore Massimiliano.
Il C. ebbe l'educazione che si conveniva ai migliori patrizi, e degli studi filosofici condotti a Padova si valse per legarsi d'amicizia con Cristoforo Canal, con Nicolò Franco, Lazzaro Bonamico, il Parabosco ed altri letterati; trasse particolare profitto dalle lezioni di retorica, così da divenire uno dei più famosi e celebrati oratori del suo tempo: il Sanuto, che registra sovente i suoi interventi in Senato, non manca di commentarli positivamente, ed il Cicogna riporta una ammirata testimonianza di Giorgio Gradenigo.
Entrato in Maggior Consiglio per denari, il 3 sett. 1514, nelle emergenze dei logoranti conflitti seguiti ad Agnadello, tre anni dopo sposava Lucrezia Tiepolo di Gerolamo di Andrea, dalla quale ebbe Giovanni, Nicolò e Vincenzo, ed iniziava una carriera politica contrassegnata daprestigiosi incarichi e da ambiti riconoscimenti, senza peraltro rinunciare alla sua attività di importatore di vini greci, che gli valse il soprannome "dalla malvasia".
Ufficiale nel '18 alla Tavola dell'insida (il magistrato che si occupava dei dazi sulle merci che uscivano da Venezia), dall'ottobre 1510 al marzo dell'anno successivo fu savio agli Ordini e contemporaneamente fece parte della Quarantia civil vecchia; auditore nel '21, alla Camera d'imprestidi nel '24, quindi provveditore agli Offici, savio alle Decime nel 1527 e '28, senatore ordinario il 31 dic. '28 per aver offerto cento ducati alla Signoria, divenne finalmente savio di Terraferma per il primo semestre del '29. Fu in questa veste ch'egli ebbe modo di dar prova delle sue capacità oratorie: nel marzo, infatti, sostenne felicemente l'opinione che si appoggiasse il re di Francia nel suo tentativo di scendere in Italia per contrastarvi il predominio spagnolo, rinunciando ad una spedizione direttamente contro la penisola iberica. Confermato savio di Terraferma l'anno seguente, il 18 luglio fu eletto provveditore sopra le Artiglierie e, nel dicembre, fece parte dei quindici savi sopra le Acque del Chiampo, in considerazione del fatto che non possedeva beni nel Vicentino. Savio sopra l'Estimo nel '31, l'11 marzo mancò l'elezione al bailaggio di Costantinopoli, ma divenne savio di Terraferma per il secondo semestre dell'anno, allorché la Repubblica era nuovamente impegnata in un conflitto con il Turco. Procuratore sopra gli Atti dei sopragastaldi dal 19 luglio 1532 al 18 genn. '33, e poi ancora savio di Terraferma, si batté in Senato contro la proposta pontificia di una lega di Stati cristiani in funzione antiottomana ed appoggiò invece i tentativi del bailo Pietro Zen per un accordo con questi ultimi; nella circostanza, agli occhi del C. i pubblici interessi dovevano coincidere con i propri, che nella primavera del '33 avevano subito un grave colpo a motivo della perdita di un grosso carico a Cipro: riferisce infatti il Sanuto che il 25 aprile di quell'anno, a Limisso, una sua nave "di bote 700 …, havendo parte cargato sali et cotoni, è intrà el fuogo dentro et si è brusata".
Avogador di Comun fra il '33 ed il '34 e savio di Terraferma nel primo semestre 1534, il 23 agosto era eletto podestà di Verona. Il 13 dic. 1534 lasciava dunque la laguna e le sue attività per sostenere il primo reggimento in Terraferma. che si sarebbe protratto fino all'8 febbr. del '36.
La provincia, una delle maggiori dello Stato veneto, era ricca e fertile, per quanto fosse diffusa convinzione che i suoi campi rendessero meno dei vicentini o padovani: in realtà il C. non lamentò mai problemi di approvvigionamento alimentare, nonostante l'anno precedente si fosse registrato un cattivo raccolto in tutta la Terraferma, e proprio allora nel Veronese si stesse verificando una profonda conversione dell'utilizzazione del suolo, con l'introduzione della risaia a scapito della tradizionale coltivazione del frumento; grosse preoccupazioni, invece, gli derivarono dagli odi che opponevano la famiglia dei Nogarola a quella dei Bevilacqua e che generavano in tutta la città un clima di tensioni e di violenze. Gli sforzi del C. per venirne a capo riuscirono però vani, ed egli dovette tornare a Venezia lasciando Verona nella stessa situazione in cui l'aveva trovata.
In patria l'attendevano due importanti incarichi: il 6 marzo 1536 fu eletto ambasciatore al Turco, ma rifiutò ed il Senato accolse la sua supplica in considerazione del rettorato che lo aveva tenuto lontano dalla famiglia e dai suoi interessi per molti mesi; non riuscì invece, qualche mese più tardi, ad evitare la nomina nell'ambasceria straordinaria a Carlo V a Genova, alla quale fu prescelto insieme con altri tre oratori.
Il compito degli inviati veneziani non era dei più agevoli, dal momento che si trattava di giustificare di fronte a Carlo V l'ambigua condotta della Repubblica, che non aveva preso parte attiva alle operazioni contro i Francesi. Com'era prevedibile, a Genova i suoi rappresentanti mantennero una posizione sfumata ed interlocutoria, esortando l'imperatore a rivolgere le sue armi contro il comune nemico turco, anziché verso la Francia. Da qualche mese, infatti, Venezia era nuovamente coinvolta in una guerra in Levante, e proprio il C., in qualità di savio di Terraferma, ne era stato uno dei più decisi fautori: la minaccia rappresentata dall'espansionismo di Solimano colpiva duramente il commercio veneto e rendeva prioritario uno sforzo di contenimento in quel settore.
Si spiega in tal modo l'impegno del C. a distogliere il Senato da una proposta di lega avanzata dai Francesi nel '37, come pure la sua presenza al convegno di Nizza del '38, dove tra Carlo V e Francesco I si sarebbe decisa la pace o la guerra. Nella delegazione, che si svolse tutta nella primavera di quell'anno, il C. ebbe come collega Nicolò Tiepolo e come segretario l'esperto Benedetto Ramberti; di essa possediamo la relazione a firma del Tiepolo, autentico capolavoro per acume e stringatezza concettuale, che le valsero ampia fama presso i letterati ed i politici del tempo.
Partiti da Venezia il 19 aprile, il C. e il Tiepolo ricevettero a Brescia le commissioni, che prevedevano di favorire in tutti i modi la pace o, perlomeno, una lunga tregua tra Francesco e Carlo, e di convincere quest'ultimo a "mandar subito il Prencipe Doria con tutta l'armata sua a congiungersi con la nostra in Levante, et con questi modi far assai gagliardo sforzo, per diffendersi dalle offese de sì crudele, et potente nemico". Da Brescia i due raggiunsero Piacenza, dove si trovava Paolo III, dal quale riuscirono ad ottenere l'intero versamento alla Repubblica dei 200.000 ducati imposti al clero come sussidio per la lotta contro il Turco; giunti poi a Nizza, il pontefice si rivelò ben presto la mente e l'anima del convegno, dispiegando uno zelo ed una disponibilità tali da superare la barriera di diffidenza che opponeva i due sovrani, accampatisi fuori della cittadina in zone contrapposte e lontane. Il C. e il Tiepolo incontrarono separatamente i sovrani a Villanova e a Villafranca, "dove fu fatto e all'uno e all'altro per il clarissimo m. Marco Antonio Corner l'esposizione commessane dal senato, esprimendo in che stato si ritrovava non solamente la repubblica nostra, ma la cristianità tutta, se dalle loro maestà non si provvedeva, con tanta eloquenza e di tal forma, che certo si vidde l'uno e l'altro commoversi tutto". In sostanza, però, apparve subito chiaro che la pace non era realizzabile; pertanto gli sforzi pontifici ripiegarono sulla stipulazione di una tregua; quanto agli aiuti in Levante, Carlo V promise l'invio di numerose galere.
Tornato in patria alla fine di giugno, il C. venne nominato savio del Consiglio, e tale magistratura, in alternanza con quella, non meno prestigiosa, di consigliere ducale, ricoprì ininterrottamente fino alla morte, che lo colse a Venezia il giorno di Natale del 1542.
Fonti e Bibl.: Notizie sulla vita, in Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii, III, p. 71; Ibid., Avogaria di Comun. Balla d'oro, reg. 165, c. 93r; Venezia, Bibl. d. Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti, I, cc. 199v-200v; Ibid., Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, c. 324v. Per la carriera politica, Arch. di Stato di Venezia, Segretario alle voci. Elezioni del Maggior Consiglio, reg. 1, cc. 3, 6, 26, 116; Ibid., Segr. alle voci. Elez. dei Pregadi, reg. 1, cc. 4v, 5v, 6r, 7rv, 8v, 9v, 54v, 55v, 65r; Ibid., Senato Mar, reg. 26, cc. 38r, 72r, 75v, 90v. Sul convegno di Nizza, Ibid., Dispacci Francia, b. 2, nn. 1-44; Ibid., Dispacci Spagna, b. 1, nn. 8-16; Nunziature di Venezia, II, a cura di F. Gaeta, Roma 1960, pp. 53 s., 84, 151, 159; la relazione in Relaz. degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di E. Alberi, s. 1, II, Firenze 1840, pp. 75-115. Sull'attività di mercante e gli inizi della carriera politica del C., M. Sanuto, Diarii, Venezia 1887-1903, XIX, XXV, XXIX, XXXI-XXXIII, XLIII, XLVII, LII, LVIII, ad Indices; A.Valier, Bernardi Nauagerii... cardinalis... vita..., Patavii 1719, p. 97; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, II, Venezia 1827, pp. 19, 156; VI, ibid. 1853, pp. 567 s., 573; G. Marangoni, L. Bonamico e lo Studio padovano nella prima metà del Cinquecento, in NuovoArch. veneto, n. s., I (1902), 2, p. 165; B. Nardi, Appunti intorno al medico e filosofo padovano Pietro Trapolin, in Miscellanea in onore di R. Cessi, Roma 1958, p. 38.