CASANOVA, Marco Antonio
Nacque a Roma da Niccolò, nobile comasco, presumibilmente verso il 1477. Sul declinare del sec. XV era già inserito nella vita curiale e letteraria di Roma: iniziò a frequentare la Curia all'epoca di Alessandro VI, quindi tra il 1492 e il 1503 (Altieri, p. 187), periodo in cui già era in rapporto con l'Accademia Romana e con Pomponio Leto.
Ciò è dimostrato da un epigramma in cui E. Maddaleni de' Capodiferro ricorda scherzosamente le faticose salite fino alla cima del Quirinale, dove abitavano il C., Pomponio e la donna amata (Vat. lat. 3351, f. 48). È assai probabile che la formazione letteraria del C. sia avvenuta sotto l'influenza del pontifex maximus dell'Accademia, anche se appare inaccettabile l'ipotesi del Lumbroso, secondo cui il C. potrebbe essere stato tra gli accademici che graffirono il proprio nome nelle catacombe di S. Callisto tra il 1475 e il 1490: anche se la data di nascita - proposta dal Volpicella - fosse inesatta, il C. in quel periodo doveva comunque essere bambino, visto che l'Altieri nei Nuptiali, ambientati dopo la morte di Alessandro VI, lo elenca ancora tra i più giovani letterati romani (p. 8).
Il C. inoltre entrò a far parte dell'entourage dei Colonna, che servì per tutta la vita: non sappiamo da quando, ma certo assai giovane se il Bandello - accennando a un viaggio che il C. fece per visitare i suoi parenti di Como - lo definisce "creato" della grande famiglia romana. Ben presto il C. si mise in luce per le sue capacità di verseggiatore latino; dopo il primo decennio del sec. XVI era ormai tra gli esponenti più in vista della cosiddetta Accademia Romana - in cui fu considerato principe del genere epigrammatico - e partecipava all'attività dei più prestigiosi circoli culturali romani.
Tra le prime testimonianze dell'attività poetica del C. sembra essere il contributo - dieci epigrammi e un'elegia - a una raccolta in compianto del cardinal Giovanni Colonna, morto nel 1508 (Vat. lat. 2836, ff. 262-264: vedi Dionisotti, rec. ad Altamura, p. 58 n. 1); all'epoca di Giulio II risale probabilmente anche il primo epigramma che il C. sembra aver dato alle stampe, all'inizio del Symmachus di B. Cinisco (Venetiis s. d.). Un altro suo epigramma comparve poi all'inizio (c. 2v) del Suburbanum A. Chisii di B. Palladio (Romae 1512). Il C. doveva essere tra i tanti cortigiani del Chigi: l'anno seguente, per festeggiare l'incoronazione di Leone X, il banchiere fece erigere un arco trionfale su cui era iscritto un distico del C. (Roscoe, V, App., n. LXX).
Sotto Leone X il C. aveva la qualifica di abbreviatore apostolico, e sembra che abbia raggiunto il vertice della sua fortuna: dal nuovo papa, cui dedicò gli Heroica, fu nominato il 1º maggio 1514 conte, nobile e cavaliere (Hergenröther, p. 525).
Gli Heroica, cui anche in seguito restò affidata la fama poetica del C., sono una raccolta di sintetici epigrammi in cui eroi, filosofi e poeti dell'antichità sono apostrofati dall'autore o parlano in prima persona, secondo una tradizione che ha precedenti nel Medioevo ed era stata ripresa nell'Umanesimo da Francesco da Fiano, Angelo Callimaco, Francesco Filelfo e dallo stesso Petrarca.
In quanto alla nomina a conte palatino, essa non sembra particolarmente significativa: nello stesso giorno Leone X elevò a tale dignità anche una cinquantina di altri personaggi, tutti allora di scarso rilievo. Comunque durante il periodo leonino il C. fu molto attivo, e partecipò con i suoi versi a quasi tutti principali avvenimenti dell'epoca: un suo distico in lode di Emanuele re del Portogallo sta insieme con l'orazione latina con cui Diego Pacheco prestò obbedienza a Leone X per conto del sovrano nel marzo 1514 (Roscoe, VI, p. 192); intorno a quello stesso anno partecipò al canzonatorio commento dell'Epulum populi Romani di Giulio de Simone (Vat. lat. 5356, f. 112v); nel 1517 manifestò il proprio appoggio al pontefice in occasione del processo Petrucci con un epigramma (Vat. lat. 2834, f. 69: vedi A. Ferrajoli, La congiura dei cardinali contro Leone X, Roma 1919, p. 213); nel 1518 premise dei versi encomiastici ai Facetiarum exemplorum libri (Romae 1518) dedicati da L. D. Brusoni al cardinal Colonna; nel 1519 partecipò con un epigramma (c. 26) alle In Celsi Archelai Melini funere amicorum lacrimae (Romae s. d.); nel 1522 pubblicò nelle Lachrime in M. Antonium Columnam [Romae 1522], a cc. D-[Div], nove epigrammi.
Sotto il pontificato di Clemente VII (1523-1534) la fortuna del C. sembra in netto declino: al papa egli indirizzò una lunga elegia (Vat. lat. 2834, ff. 32 s.) dicendosi vecchio, povero, vedovo, con quattro figli e tre figlie cui provvedere, ed implorando di poter indossare l'abito ecclesiastico ed ottenere così qualche beneficio.
Dopo la morte della moglie, Giulia, il C. trovò un nuovo affetto, come appare dall'elegia Ad amatam post Iuliae uxoris mortem (Vat. lat. 5227, 13 ff. 116 s.). La richiesta di aiuto a Clemente VII è forse precedente all'esplosione dei contrasti tra quest'ultimo e Pompeo Colonna: allora il C. scrisse contro il pontefice dei versi denigratori che, secondo il Giovio, tanto lo irritarono da fargli ordinare l'arresto e l'impiccagione del colpevole, che solo a stento avrebbe avuto salva la vita. L'episodio è confermato dal C. stesso nell'elegia Ad divum Pompeium (Vat. lat. 5227, I, f. 11v), in cui però sembra alludere a un facile perdono. Certo l'ultima fase della vita dovette essere particolarmente infelice per il C., che sembra tra l'altro aver di molto rallentato la sua attività di poeta: il suo nome compare solo nei Coryciana (Romae 1524), dove ha tredici epigrammi (ff. [Dijv], Iiii-[Iiiiv], L, [Livv]) e nelle Litterae Henrici VIII Angliae regis (Romae 1527), cui premise alcuni versi.
Nel 1527 il Sacco di Roma diede il colpo di grazia alle condizioni sia fisiche sia economiche del C., già precarie: malato, insieme con i suoi figli, di una malattia febbrile, fu fatto prigioniero dai conquistatori, torturato, costretto a riscattarsi a prezzo di tutti i suoi beni; e non sarebbe bastato, se non fosse intervenuto lo stesso Pompeo Colonna. Ma sembra che dopo poco il C. fosse scacciato dalla casa del suo patrono, forse a causa della donna che teneva con sé, e vagò con i figli per il Lazio, alla ricerca di cibo e di ospitalità. Mortogli di peste uno dei figli, tornò a Roma, dove passò i suoi ultimi giorni malato e privo di tutto: "nihil habeo praeter febrem", scrive nella disperata dedicatoria del suo ultimo fascicolo di poesie.
A Roma, il 12 marzo 1528, il C. morì: a quanto disse il Valeriano di miseria, ma fors'anche per la malattia febbrile contratta precedentemente.
La data della morte è registrata da un diario anonimo publicato dall'Aumont, secondo cui il C. morì "quasi miseriis et egestate oppressus": la testimonianza conferma la narrazione del Valeriano e fa giustizia dei dubbi del Lancellotti sulla possibilità che un familiare dei Colonna potesse ridursi alla mendicità e all'inedia. Altra luce sull'ultimo periodo di vita del C. viene da un plico autografo, indirizzato ad Uberto Strozzi camerario del cardinal Pompeo, inserito nel codice Vat. lat. 5227, I, ff. 10-21v. Alla dedicatoria (f. 10v), in cui il C. prega tra l'altro lo Strozzi di avvertire il padrone che ha allontanato da sé il "pernitiosissimum scortum", seguono numerose liriche in cui il C. narra le recenti sventure e invoca disperatamente aiuto dai Colonna e da altri. Il C. fu sepolto nella chiesa di S. Lorenzo in Lucina, e l'amico Blosio Palladio gli dettò l'epitaffio (Carm. ill. poet. Ital., VII, Florentiae 1720, pp. 63 s.); da un epigramma del Tebaldeo sappiamo che furono i Colonna a curare la sepoltura (Vat. Ottob. lat. 2860, f. 95, e Vat. lat. 3353, f 183v; pubbl. anche in Lancellotti, p. 65 n. a, ma riferito a Marco Cavallo).
Il nome del C. ricorre negli scritti di tutti i rappresentanti della cultura romana dell'epoca. Tra gli altri Pacifico Massimi gli indirizzò un'elegia del suo Hecatelegion (Vat. lat. 2862, ff. 87 s.); gli dedicarono carmi latini anche E. Maddaleni de' Capodiferro (Vat. lat. 3351, f. 75; Perugia, Bibl. com. Augusta, cod. J 72, ff. 44v, 55v), Pietro Gravina (Vat. Ottob. lat. 2860, f. 20), Paolo Nomentano Silvicola (Roma, Bibl. Angelica, cod. 1349 [T. 4.14]) e un anonimo (Vat. lat. 7182, f. 98). B. Palladio lo cita in una lettera del 16 ott. 1516 (Vat. lat. 2847, f 17rv); il C. è elencato tra gli accademici romani nell'Invectiva in Erasmum di B. Casali (S. Seidel Menchi, Alcuni atteggiamenti della cultura italiana di fronte ad Erasmo, in Eresia e Riforma nell'Italia del Cinquecento, Misc. I del Corpus Reform. Italic., De Kalb-Chicago 1974, p. 139); il suo nome compare anche in due elenchi di accademici, stesi il primo dal Colocci e il secondo probabilmente dal Giovio, editi dal Fanelli (pp. 109, 114). Ma è principalmente dagli epigrammi del C. che è possibile ricostruire i suoi rapporti con l'ambiente accademico. Egli appare in essi particolarmente legato al Colocci e al Palladio, e in ottimi rapporti col Capodiferro, col Casali, con Marco Cavallo. Verso altri, come il Goritz, Anton Lelio e il Pietrasanta, la musa del C. assume toni ora encomiastici ora ironici; di alcuni infine il C. appare nemico dichiarato, come del Vida, che considerò un poetastro, e del Pimpinella, contro il quale - scacciato di casa Colonna come ladro - scrisse il Pimpinella liber unus (Vat. lat. 5227, I, ff. 22v-30). Contro Erasmo, reo di avere sparlato di Roma, il C. scagliò due epigrammi (Vat. lat. 2834, f. 70).
A parte l'interesse documentario, nel mare magnum dei versi del C. è dato, sia pur raramente, imbattersi in epigrammi nei quali la ricerca della concettosità e della pregnanza espressiva, proprie del "genere", si viene ad incontrare con sentimenti realmente vivi e sofferti; nascono allora versi che riescono ad esprimere con insospettato vigore la sensazione dolorosa di un'irrimediabile corruzione dei tempi, che tutto e tutti coinvolge. In tali liriche - come nel brevissimo epigramma in morte di M. A. Colonna riferito dal Dionisotti - sono alcune tra le pochissime manifestazioni di autocoscienza di un mondo, come quello romano antecedente al Sacco, in piena decadenza, parassitario nella sua vita letteraria così come in quella economica, privo ormai quasi del tutto di validi contenuti ideali e sentimentali. Vero è che alla densità espressiva spesso il C. sacrificò l'eleganza formale e la perfezione metrica: ma ciò, se da un lato denuncia i suoi limiti tecnici, rivela anche un atteggiamento mentale raro nell'ambiente accademico, che era semmai indirizzato decisamente a un culto esclusivo della forma. Per altro il più delle volte nel C. la ricerca di pregnanza si degrada in sterili giochi di parole e di concetti che possono sembrare prebarocchi, ma in realtà sanno ancora di medievale ars dictandi. In quanto alle composizioni non epigrammatiche, quelle di imitazione catulliana sono in genere le più sciatte e disimpegnate; le numerose elegie rivestono spesso un interesse biografico, narrando generalmente episodi salienti della vita del C., ma il loro stile è piatto, reso prolisso dalla tediosa topicità dell'espressione, ravvivato solo apparentemente da una frequente, meccanica inserzione di esclamazioni e di interrogazioni retoriche. Tra esse quella più impegnata sul piano di un lessico da parata appare l'Hymnus ad Virginem Christiparam, che attirò l'attenzione del Pastor (IV, 1, p. 421) per il travestimento paganeggiante di contenuti cristiani, tipico dell'ambiente accademico, che qui tocca i limiti del grottesco. Il C., che pure dovette la sua fama principalmente agli Heroica, personalmente si considerò piuttosto "poeta Veneris", come affermò nell'epigramma De se (cod. Vat. lat. 2834, f 51rv); opinione questa che non può essere condivisa, data la scarsa originalità della sua pur abbondante produzione amorosa, né fu in genere condivisa dai suoi contemporanei. Tra essi solo l'Arsilli ne ritenne dolce e pacifica la poesia; il Sadoleto lo ricorda "pressum et acutum" nell'elenco di letterati della nota lettera che scrisse al Colocci da Carpentras nel 1529, riandando nostalgicamente con la memoria alle riunioni conviviali che caratterizzavano la vita culturale romana prima del Sacco (Fanelli, p. 68); il Valeriano ripete, il giudizio comune che il C. fosse stato superiore a tutti nell'epigramma; il Giovio nel Dialogus lo difende dalle accuse degli "emunctissimae naris eruditi" di usare uno stile troppo aspro, più vicino a Marziale che a Catullo, ma poi negli Elogia, pur lodandone affettuosamente l'onestà e la cordialità e affermando che nella sua poesia è contemperata l'arguzia di Marziale con il sentimento di Catullo, riconosce che al C. mancarono purezza lessicale e perfezione di metro; il Giraldi ne parla come di un poeta che sacrificò l'eleganza formale all'acutezza del concetto, e che fu troppo mordace.
Rispetto all'ampiezza della sua produzione poetica, poco fu edito a stampa dal C. in vita. Dopo la morte, vide la luce qualche altro epigramma, all'inizio del De partu Virginis del Sannazaro (Venetiis 1528) e negli Elogia virorum bellica virtute illustrium di P. Giovio (Basileae 1561, p. 392). In seguito G. Ubaldini raccolse tutti gli epigrammi del C. di cui poté venire a conoscenza nei suoi Carmina poetarum nobilium (Mediolani 1563), con qualche errore di edizione e di attribuzione. L'edizione ubaldiniana venne riprodotta fedelmente da G. M. Toscano nei Carmina illustrium poetarum Italorum (I, Lutetiae 1546, cc. 216-224v) e poi via via, con qualche correzione, in varie antologie di poesia umanistica, fino ai Carmina illustrium poetarum Italorum curati da T. Bonaventuri (III, Florentiae 1719, pp. 284-295). Alcuni epigrammi furono stampati anche da G. F. Lancellotti nelle Poesie del Colocci (Jesi 1772, pp. 65-67, 129); uno dal Roscoe nella Vita... di Leone X (VI, p. 192). Un'edizione più ampia si deve a F. Volpicella (Marcii [sic] Antonii Casanovae Heroica, per nozze Medici-Gallone [Napoli 1867]), che, basandosi principalmente su un codice in suo possesso (ora a Napoli, Soc. nap. di storia patria, XXV D 8), pubblicò più di cento epigrammi, tra cui molti inediti, e due elegie. Il codice del Volpicella, intitolato appunto Heroica, è probabilmente una copia di dedica a Leone X, mai consegnata al destinatario, e riporta una scelta di liriche più ampia di quanto il titolo faccia prevedere: dopo gli Heroica veri e propri un nuovo epigramma di dedica a Leone X (p. 15 dell'ediz.) divide la raccolta in due parti; i restanti epigrammi si riferiscono non ad eroi dell'antichità, ma a personaggi contemporanei. Evidentemente il titolo di Heroica è attribuibile solo alla prima parte del manoscritto che complessivamente è uno specimen che il C. voleva offrire di tutta la propria poesia. La raccolta è conclusa dall'Hymnus ad Virginem Christiparam (pp. 25 s.) e dall'Elegia de morte patris (pp. 27-30), cui il Volpicella fa seguire, a pp. 31-34, gli Epigrammata iam edita mancanti nel suo codice. La presenza nel codice di un epigramma sulla morte di Celso Mellini (1519) costituisce il terminus a quo per la redazione di questa ulteriore stesura dell'opera che il C. aveva già presentata a Leone X nel 1514. Due ulteriori redazioni di tale corpus, questa volta intitolato Epigrammata e dedicato al Colocci, sono nel codice Vat. lat. 2834 (ff. 38-78v e 79-107). In esse è presente all'inizio la raccolta edita dal Volpicella; poi v'è tutta una serie di liriche, tra cui moltissimi epigrammi, di convenienza, eroici e polemici. Esemplari degli Heroica veri e propri sono inoltre nei codici Vat. lat. 3388, ff. 262-267v e Vat. lat. 5227, I, ff. 77-94v, 134-37, 141-143v. In quest'ultimo, che è la più ampia raccolta di opere poetiche del C., sono anche il citato fascicolo delle ultime opere poetiche del C., il Pimpinella liber unus, una specie di brogliaccio poetico e una raccolta intitolata Nugae. Comunque, in attesa di un completo regesto della produzione poetica del C., si fornisce l'elenco dei codici in cui sono dispersi suoi scritti: Vat. lat. 2833; Vat. lat. 2834; Vat. lat. 2836; Vat. lat. 3388; Vat. lat. 5182; Vat. lat. 5225, IV; Vat. lat. 5227, I; Vat. lat. 5385; Vat. lat. 5892; Vat. lat. 6250; Vat. Barb. lat. 2040; Vat. Barb. lat. 2192; Belluno, Bibl. civica, cod. 656; Firenze, Bibl. Laurenziana, Acquisti e Doni 81; Jesi, Bibl.. com., cod. s. n. (ex Ann. 274); Arch. di Stato di Mantova, E LVI 1 (una lettera del C. a Isabella d'Este, del 1519); Napoli, Bibl. naz., V.E. 53; Ibid., XIII AA 62; Napoli, Bibl. della Soc. nap. di storia patria, XXV D 8; Savignano sul Rubicone, Accad. Rubiconia dei Filopatridi, cod. 33 (ora disperso: vedi Kristeller, II, p. 569); Suzzara, Bibl. Capilupi, cod. 68.
Fonti e Bibl.: Oltre al saggio premesso dal Volpicella alla sua ediz. degli Heroica, e all'indispensabile ricorso ai manoscritti, si vedano P. Giovio. Elogia doctorum virorum, Antverpiae 1557, pp. 165 s. (a p. 166 un carme sul C. di Blosio Palladio); L. G. Giraldi, De poetis nostrorum temporum dialogus I, in Opera, II, Basileae 1580, p. 394; P. Giovio, Dialogus de viris litteris illustribus, in G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, 4, Venezia 1796, p. 1602; F. Arsilli, De poetis urbanis, ibid., p. 1578 (vv. 41 ss.); G. P. Valeriano, De litteratorum infelicitate, a cura di D. Egerton Brydges, Genevae 1821, pp. 66 s.; M. Bandello. Novelle, II, Torino 1853, p. 324; M. A. Altieri, Li Nuptiali, a cura di E. Narducci, Roma 1873, pp. 8, 187; Leone X, Regesta, a cura di J. Hergenröther, I, Friburgi Brisgoviae 1888, p. 525, nn. 8339-8383; M. A. Aumont, Les suites du sac de Rome par les impériaux et la campagne de Lautrec en Italie. Journal d'un "scrittore" de la Pénitencerie apostolique, in Mélanges d'archéol. et d'hist. de l'Ecole française de Rome, XVI (1896), pp. 53 s.; Bibl. Ap. Vaticana, Vat. lat. 9266: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, f. 153v; F. S. Quadrio, Dissertaz. Critico-storiche intorno alla... Valtellina, III, Milano 1756, pp. 367 s.; G. F. Lancellotti, Poesie italiane, e latine di mons. A. Colocci, Jesi 1772, pp. 65 ss.; G. Tiraboschi, Storia della letter. italiana, VII, 4, Venezia 1796, p. 1297; W. Roscoe, Vita e pontificato di Leone X, Milano 1817, V, App., n. LXX, p. 210; VI, App., p. 192; G. Lumbroso, Gli accademici nelle catacombe, in Archivio della Regia Società romana di storia patria, XII (1889), p. 225; E. Percopo, Di Anton Lelio Romano e di alcune pasquinate contro Leone X, in Giorn. stor. della lett. ital., XXVIII (1896), p. 65; S. M[onti], Uomini illustri, in Periodico della Società storica comense, XVI (1906), pp. 222 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1925, p. 869; IV, 1, ibid., 1926, pp. 412 s., 421; G. A. Cesareo, Pasquino e pasquinate nella Roma di Leone X, Roma 1938, ad Indicem; C. Dionisotti, rec. ad A. Altamura, Per una biografia di Pietro Tamira..., in Giorn. stor. della letter. ital., CXVIII(1941), p. 58 n. 1; Id., Appunti su Leone Ebreo, in Italia medioevale e umanistica, II (1959), p. 426 e n. 3; F. Ubaldini, Vita di mons. A. Colocci, a cura di V. Fanelli, Città del Vaticano 1969, ad Indicem;A. Campana, A. Colocci conservatore di letter. umanistica, in Atti del Convegno di studi su A. Colocci, Jesi 1972, p. 272; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Indices.