Giureconsulto romano (n. prima del 43 a. C. - m. prima del 22 d. C.) della scuola di Trebazio Testa. Figlio di Pacuvio Antistio, giurista, avversario di Cesare, che si era fatto uccidere dopo la battaglia di Filippi (42), L., imbevuto di filosofia stoica, restò fedele alla tradizione paterna e alla costituzione libera. Raggiunse la pretura, ma, secondo Pomponio, rifiutò il consolato offertogli da Augusto, col regime del quale fu irreconciliabile. Spirito innovatore, fu il più fertile e geniale giurista dei primi tempi dell'Impero. Gli si attribuiscono 400 libri, tra cui: un commento alle XII Tavole, commenti all'editto del pretore urbano e a quello del pretore peregrino, responsa ed epistulae, un'opera, Πιϑανά ("Argomentazioni plausibili"), annotata da Paolo, libri de iure pontificio, una collezione di responsi (Posteriores), postuma, compendiata da Giavoleno. In grammatica seguì gli analogisti.