DELLA VOLTA, Marchionne
Figlio, probabilmente primogenito, di Ingone, nacque agli inizi del sec. XII a Genova da una delle più importanti famiglie cittadine.
Il padre dei D. aveva guidato la consorteria dei Della Volta nella feroce lotta con la consorteria rivale dei Della Curia. Il contrasto tra i Della Volta e i Della Curia, che costituisce il filo conduttore di tutta la storia interna di Genova ai tempi dei Comune consolare e che era destinato a degenerare in un secondo momento in guerra civile, mantenendo la sua virulenza fino ai primi anni del sec. XIII, è poco chiaro nelle sue motivazioni originarie. Gli Annali di Caffaro - anch'egli membro, come i Della Volta, della oligarchia che aveva fondato il Comune - accennano solo di sfuggita ai contrasti interni. Se, grazie alle notizie da essi desumibili e possibile identificare i componenti della consorteria dei Della Volta, più difficile è mettere a fuoco i personaggi, che costituiscono quella dei Della Curia, e gli interessi che essi rappresentavano.
Alle origini del conflitto dovettero con ogni probabilità esserci stati motivi di natura diversa - quali la lotta per il controllo sul consolato e sulle fonti dei redditi comunali; la rivalità tra chi era incluso nella compagnia e chi aveva rifiutato di farne parte; anche contrasti di natura familiare e gentilizia sorti tra i vassalli dell'arcivescovo (i Della Curia erano "vexilliferi" di quest'ultimo). In seguito, tuttavia, intorno ai Della Curia si coagularono tutte le forze sociali i cui interessi erano stati messi in pericolo dalla politica di espansione nelle Riviere voluta dal Comune con l'appoggio dell'arcivescovo: i piccoli feudatari, tra i quali gli stessi avvocati, e gli affittuari della Curia genovese. Questi ultimi erano stati infatti richiamati al rispetto delle sovraimposizioni legate alla loro antica condizione di "famuli" e costretti a cedere al patrimonio arcivescovile le terre ricevute in affitto e da loro considerate come proprie. Il D. era destinato a raccogliere l'eredità politica del padre e a controllare i cospicui interessi commerciali della famiglia, appartenente alla oligarchia che monopolizzava il grande commercio orientale.
L'attività economica del D. si concentrò nel finanziamento dei mercanti in partenza, nonostante i divieti pontifici, per i porti egiziani e siriaci. Dal Mediterraneo orientale, inoltre, egli riceveva in Genova merci pregiate come cotone, pepe o legno di brasile (una costosa materia colorante), e vi esportava i richiesti drappi d'Oltralpe. La sua attività di finanziere si svolse soprattutto ad alto livello, nell'ambiente aristocratico, dato che suoi clienti furono alcuni tra i più bei nomi del governo consolare. Nel 1157, ad esempio, egli consegnò un carico di cotone egiziano ad un mercante, che si impegnò a farlo liberare da eventuali sanzioni ecclesiastiche; finanziò inoltre Oberto Piccamiglio in partenza per Alessandria di Egitto ed un altro mercante diretto a Saint-Gilles in Provenza. L'anno seguente, formò una società per smerciare fustagni sul mercato siciliano o ad Alessandria, vendette a Genova cotone e finanziò mercanti diretti in Sicilia e verso i porti siriaci. Nel 1159 COstituì una società con un mercante in partenza per la Spagna, col fine di vendervi il legno di brasile di loro proprietà. Nel 1160 finanziò Embrono, illustre personaggio della consorteria dei Della Curia, che partiva per Alessandria d'Egitto. Sempre in quell'anno concesse un cospicuo finanziamento a Bisaccia, il quale era stato più volte console e che allora sì doveva recare a Costantinopoli per incontrarvi l'imperatore d'Oriente: Bisaccia si impegnò a cambiare la somma ricevuta in moneta bizantina o in onze siciliane, nel caso di un suo soggiorno presso il re di Sicilia. Ancora nel 1160 il D. finanziò il suo socio viaggiante diretto ad Alessandria d'Egitto e poi nell'Impero bizantino. Nel 1161 la sua attività finanziaria fu rivolta sempre al commercio orientale. L'anno seguente consegnò un mutuo, parte in denaro e parte in pepe, allo stesso Comune genovese, finanziò Filippo di Lamberto, uno dei più potenti cittadini; risulta inoltre aver concesso una grossa somma ad Ottone, figlio di Caffaro.
Gli ingenti profitti derivanti da questa intensa attività furono dal D. investiti nell'incrementare il suo patrimonio immobiliare a Genova e nel distretto. Nel 1158 egli acquistò una casa con terra confinante coi suoi possedimenti, probabilmente in città; tre anni dopo comprò un palazzo a Genova vicino alla chiesa di S. Torpete, dove si trovavano le case di suo padre e di Simone Doria, anch'egli membro della consorteria dei Della Volta; nel 1163 acquistò un'altra casa e un sedimen, non sappiamo in quale località; infine, comprò terre nel distretto, a Mazasco e nella pieve di S. Martino degli Erchi. Nel 1156, insieme col fratello Guglielmo, ebbe dal padre l'incarico di stipulare il contratto di matrimonio della sorella Sibilia con Oberto Spinola: nella cerimonia, avvenuta nel palazzo del D., la sposa portò in dote la somma di 200 libre di genovini, mentre il marito a titolo di antefatto consegnò i beni immobili posseduti dalla sua famiglia in Carignano.
II, D. svolse anche una intensa attività pubblica. Nel 1157 egli divenne console dei Piaciti; giurò, insieme con trecento tra i più importanti cittadini, il trattato stipulato dal Comune con Guglielmo I di Sicilia; fu teste all'atto in cui Guido Gerra, conte di Ventimiglia, cedette a Genova i suoi castelli. Nel 1161 fu console del Comune. Nel gennaio dell'anno seguente, prima della scadenza del suo mandato, insieme coi suoi colleghi egli liberò da ogni vincolo feudale gli uomini di Recco, dipendenti da Rollando Avvocato, per ritorsione ai saccheggi compiuti da quest'ultimo nella Riviera orientale.
qL'atto, gravido di conseguenze, va collocato nel più ampio quadro della lotta tra i Della Volta e i Della Curia, capeggiati in questo periodo dall'Avvocato: intorno a lui, infatti, si dovette formare una vasta area di insoddisfazioni e di rancori per le mire espansionistiche del Comune e per le pretese dell'arcivescovo; il primo in lotta per il controllo della costa orientale, il secondo alle prese col tentativo di riportare alla Curia arcivescovile l'immenso patrimonio immobiliare di cui si era impossessata una folla di piccoli affittuari. Ne seguì un periodo di acute tensioni sia nelle Riviere, dove si susseguirono atti di saccheggio ai danni dei proprietari cittadini, sia a Genova, dove divampò nuovamente la lotta tra le fazioni rivali.
Nel febbraio del 1162 il D. fece parte di una ambasceria inviata a Federico Barbarossa, allora accampato presso Pavia. Nei mesi seguenti il Comune attraversò una delle sue più gravi crisi: la lotta tra i Della Volta e i Della Curia, allargatasi dalla città alle Riviere, sembrò incontenibile. Come narra l'annalista Ottobono Scriba (Caffaro, ormai vecchio, aveva rinunziato all'incarico anche perché amareggiato nel vedere il Comune, che aveva contribuito a fondare, in preda ad una così violenta guerra civile), nel settembre del 1164 il D. venne assassinato "a quibusdam vilissimis personis et pauperibus" durante la stagione della vendemmia, mentre si trovava nel suo podere fuori città.
L'uccisione del D. fu perpetrata "malo ordine": non è difficile vedere nell'episodio la vendetta di Rollando Avvocato o di qualche feudatario a lui legato (a Mazasco, dove il D. aveva acquistato terre, vantava infatti diritti uno dei più riottosi nobili del distretto, Cacciaguerra dei signori di Nasci), i cui privilegi erano stati messi in discussione dalla politica avviata dai consoli. A Rollando, inoltre, dovevano guardare con simpatia quei contadini "vilissimi e poveri", che si vedevano privati delle loro terre dalle iniziative dell'arcivescovo, appoggiato dai consoli, e minacciati dalla progressiva espansione del capitale cittadino nelle campagne. Colpendo il D., si volle con ogni probabilità colpire il rappresentante più illustre sia economicamente sia politicamente del Comune genovese; tuttavia, la sua uccisione aprì una lunga fase di scontri sanguinosi che misero in pericolo l'istituto consolare e favorirono il passaggio al regime podestarile che si compì verso la fine del secolo.
Fonti e Bibl.: Liber iurium Reipublicae Genuensis, in Historiae patriae monumenta, I, Augustae Taurinorum 1854, documenti: CCXXVII, col. 198; CCXXXII, col. 204; CCXXXV, coll. 206 s.; CCXXXIX, col. 213, Annali genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori, I, a cura di L. T. Belgrano, Roma 1980, in Fonti per la storia d'Italia, XI, ad Indicem; Il cartolare di Giovanni Scriba, a cura di M. Chiaudano-M. Moresco, Torino 1935, ad Indicem; Codice diplom. della Repubblica di Genova, I, a cura di C. Imperiale di Sant'Angelo, Roma 1936, in Fonti per la storia d'Italia, LXXVII, documenti: 282 p. 346; 284 p. 349; 289 p. 365; 292 p. 368; 300 p. 378; 301-3 pp. 380-3; II, ibid. 1938, LXXVIII, documenti: 1 p. 3; 3 p. 9; 4 p. 12; C. Imperiale di Sant'Angelo, Caffaro e i suoi tempi, Torino-Roma 1894, pp.293 s., 312; F. Poggi, Sopra alcune recenti pubblicazioni estere riguardanti il commercio di Genova nel Medioevo, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LII (1924), p. 393; Id., Le guerre civili di Genova in relazione con un doc. economico-finanziario dell'anno 1576, ibid., LIV (1926), p. 14; M. Moresco, Parentele e guerre civili in Genova nel secolo XII, in Scritti giuridici in onore di S. Romani, IV, Padova 1940, pp. 426 s.; A. R. Scarsella, Il Comune dei consoli, in Storia di Genova dalle origini al tempo nostro, III, Milano 1942, p. 172 (cfr. recens. di R. Ciasca, in Riv. stor. l'tal., LX [1948], p. 282); I. Peri, Ordinamento del Comune consolare, in Atti dell'Acc. di scienze lettere ed arti di Palermo, II, Lettere, s. 4, XI (1952), pp.). 107, 119, 162, 175; E. Bach, La cité de Génes au XIIe siècle, Kobenhavn 1955, ad Indicem; G. L. Barni, Le classi dominanti nella Riviera orientale e l'espansione del Comune di Genova, in Atti del Convegno di studi sui ceti dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova, II, Genova 1982, p. 51.