MARCHETTI, Marco, detto Marco da Faenza
Nacque a Faenza da Andrea di Giacomo. La sua data di nascita viene generalmente collocata tra il secondo e il terzo decennio del Cinquecento, comunque prima del 23 giugno 1528, quando è citato nel testamento della matrigna Bartolomea de Catolis, il più antico documento rinvenuto che lo riguardi (Valgimigli, pp. 94 s., n. 1).
Mancano notizie che possano permettere una precisa ricostruzione della sua formazione. Lo stesso G. Vasari, del quale il M. fu stretto collaboratore, pur menzionandolo nella biografia di F. Primaticcio (Le vite, VII, p. 422), non risulta chiarificatore in tal senso; comunque il suo testo rimane fondamentale nel delineare il profilo del M. come il più geniale ideatore di grottesche della sua generazione, primato ulteriormente sancito da Baglione, che gli dedicò un'intera biografia.
Coerentemente con il linguaggio figurativo esemplato nelle opere conosciute del M., è ragionevole supporre che il suo tirocinio sia avvenuto in un primo momento a Faenza, probabilmente nell'ambito di quel gruppo di artisti emiliano-romagnoli specializzati in grottesche e attivi a Roma negli anni Quaranta del Cinquecento.
Questi ultimi potrebbero essere stati anche il tramite per un ipotetico precoce soggiorno del M. a Roma, da collocarsi nella seconda metà degli anni Quaranta. Figure di spicco in quel contesto furono il faentino Giacomo Bertucci, citato dalle fonti come maestro a Roma di Taddeo Zuccari nel 1551 e forse già operante nei cantieri decorativi di Castel Sant'Angelo dal 1545 (Cecchi, 1977, p. 29; Grandini, p. 435) o anche l'imolese Pietro Mongardini, attivo nei palazzi Vaticani dal 1541, poi collaboratore di Perin del Vaga (Piero Buonaccorsi; Cecchi, 1977, p. 31). Di tutt'altra idea Benati (p. 135), che non sembra propendere per un giovanile soggiorno romano del M., non riconoscendo inoltre nella sua maniera elementi di chiara derivazione da Bertucci.
La prima testimonianza certa riguardante l'attività del M. a Roma risale a un documento del 13 maggio 1553 - in cui è ricordato con altri artisti, fra i quali "Maestro Marco Francese" e Geronimo da Faenza - relativo alla realizzazione del fregio con Storie di Ulisse in una delle stanze del palazzo del cardinale Giovanni Ricci a via Giulia (Hewett).
Dalla primavera del 1555 il M. è documentato a Firenze, dove collaborò alla decorazione degli appartamenti ducali di Palazzo Vecchio sotto la direzione di Vasari, che lo ricorda nelle Vite (VII, p. 422) come autore de "la maggior parte degli ornamenti di venti diverse stanze".
È probabile che Vasari lo avesse chiamato dopo averlo già impiegato in altri cantieri di cui era stato responsabile a Roma, come villa Giulia e la loggia del distrutto palazzo Altoviti, datata 1553-54 (Cecchi, 1994, pp. 90 s.). Tale ipotesi risulterebbe avvalorata dal fatto che in margine a un pagamento nei registri medicei del 1° giugno furono annotati anche i rimborsi delle spese sostenute dal M. per il viaggio intrapreso proprio da Roma (Id., 1977, p. 34).
I lavori fiorentini furono avviati dal cosiddetto quartiere degli Elementi il 28 marzo del 1555, dove furono completati entro il 1557.
Pur nell'imperfetta conoscenza delle modalità operative della bottega vasariana, si suppone che il maestro delegasse ai collaboratori, capeggiati da Cristofano Gherardi detto il Doceno, la rielaborazione dei propri disegni per l'esecuzione della maggior parte degli affreschi, lasciando ampia libertà a chi si occupava delle invenzioni decorative. Il M. è citato nei pagamenti solo dal 20 maggio, data dalla quale gli furono regolarmente corrisposte le cifre più cospicue dopo quelle spettanti al Doceno, alla cui morte, avvenuta il 4 apr. 1556, subentrò nel ruolo di capobottega. Nell'ambito dei diversi ambienti del quartiere degli Elementi, la critica è infatti concorde nel riconoscere al M. un ruolo dominante nella realizzazione dei fregi e delle partizioni ornamentali in stucco e affresco, fatta eccezione per il terrazzo di Giunone e per quello di Saturno (Cecchi, 1991, p. 88). In particolare sono da considerarsi tra i suoi migliori interventi le volte del ricetto, che dal terrazzo di Saturno immette nella sala di Ercole, e quelle della scala grande, che collega il quartiere degli Elementi con quello sottostante di Leone X (ibid., pp. 90-95). Il M. prese parte anche alla preparazione dei cartoni per gli arazzi che dovevano arredare le sale nelle occasioni più importanti, nonché delle partizioni decorative a grottesche delle vetrate, la cui unica superstite è quella ancora in opera nello scrittoio di Calliope, compiuta dal fiammingo Gualtieri d'Anversa (ibid., p. 49).
Nel quartiere di Leone X (aprile 1556 - maggio 1558) la presenza del M. si fece ancora più determinante.
Vasari infatti si servì di lui anche come pittore di storie nelle camere di Lorenzo il Magnifico e Cosimo il Vecchio, con esiti però meno felici (ibid., pp. 122-136). Nei nuovi ambienti il M. si adattò alle differenti esigenze decorative. Al piano superiore i soffitti erano infatti sobriamente decorati con fondi dai colori chiari, come quelli delle pareti destinate a ospitare arazzi. Le nuove stanze si presentavano, allora come oggi, sontuosamente rivestite da ornamentazioni in stucco e oro, dagli accostamenti cromatici contrastanti, che inquadravano sulla volta grandi scene di storia. Le pareti erano invece invase da capricciose ed eleganti grottesche disposte simmetricamente.
Tale partitura fu riproposta anche nella cappella di Leone X, considerata il capolavoro del M. in Palazzo Vecchio (Barocchi, pp. 44 s.).
Nonostante il giudizio vasariano nelle Vite, il M. fu un pittore di grottesche sostanzialmente convenzionale dal punto di vista dell'inventiva, ma fu in grado di eccellere in "prestezza" e qualità della fattura (Morel, p. 28). Nelle raffigurazioni in Palazzo Vecchio il M. si caratterizza soprattutto per la forte espressività, prediligendo spesso forzature formali e distinguendosi così dal dettato più razionalizzante e accademico dei contemporanei fiorentini. I referenti figurativi del M. sono da ricercarsi piuttosto nelle grottesche di Perin del Vaga in Castel Sant'Angelo, contraddistinte da un vibrante dinamismo e da una scioltezza esecutiva tipici anche della maniera romano-emiliana (Cecchi, 1977, p. 37).
Dall'11 luglio al 10 sett. 1558 il M. è documentato all'opera con Girolamo Macchietti in una stanza non identificata di palazzo Pitti, dove i due eseguirono un fregio (ibid., p. 18). Successivamente si trasferì di nuovo a Roma, come conferma un'epistola di Vasari a Vincenzo Borghini datata 27 sett. 1560, nella quale il primo accenna alla raccomandazione fatta al M. per il giovane pittore Giovan Battista Naldini in arrivo a Roma (Frey).
Non sono stati trovati documenti che permettano di chiarire l'attività del M. durante tale soggiorno, benché siano state ipotizzate varie attribuzioni in particolare presso il cantiere decorativo della casina di Pio IV (Cecchi, 1994, pp. 91 s.).
Nel 1563 il M. fu richiamato a Firenze da Vasari per sovrintendere alla realizzazione dei fregi a grottesca del soffitto ligneo del salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio (Le vite, VII, p. 422; Cecchi, 1977, pp. 18 s.). Il 10 apr. 1564 fece testamento a Faenza e tre giorni dopo nominò un procuratore (Valgimigli, p. 94). Nell'ambito dei festeggiamenti per le nozze di Francesco de' Medici e Giovanna d'Austria, celebrate a Firenze il 15 dic. 1565, il M. partecipò alla realizzazione dell'apparato d'ingresso e alla decorazione delle volte del primo cortile di Palazzo Vecchio, con grottesche inquadranti vedute di città imperiali (Ginori Conti; Cecchi, 1977, p. 24 n. 35). Al 30 ott. 1566 risale il pagamento per gli affreschi del voltone della Molinella nel Palazzo del Municipio a Faenza, decorato a fiorami con nel mezzo gli stemmi del pontefice Pio V e del cardinal nipote Michele Bonelli, ormai fortemente deteriorato (Valgimigli, pp. 95 s.). A quegli anni la critica farebbe risalire le prime prove conosciute del M. nell'ambito della pittura da cavalletto a soggetto devozionale.
Tali opere, scarsamente documentate, sono conservate in gran parte a Faenza e in altre località romagnole, e costituiscono indizio di una sua costante presenza e del legame con la città di origine. Tra il 1560 e il 1565 si ritiene possa avere eseguito il S. Giovanni Battista, s. Damiano e devoto (Benati, p. 137), la Madonna con Bambino, angeli e i ss. Elisabetta, Giovannino e Caterina d'Alessandria firmata e forse commissionata dalla nobile famiglia faentina Rondinini (Valgimigli, pp. 100 s.), nonché il Cristo morto che forse ornava una delle pareti delle "stanze della residenza del Gonfaloniere di Faenza" (Grandini, p. 438), ora presso la Pinacoteca comunale di tale città. In questi dipinti, stilisticamente omogenei, il M. unisce a una composizione equilibrata, propria del linguaggio raffaellesco, un insistito plasticismo che presenta punti di contatto con la maniera di Livio Agresti e un cromatismo dissonante che richiama quello di Amico Aspertini (ibid.).
Il 30 dic. 1566 il M. ricevette la commissione da Gerolamo de' Rossi per un'Adorazione dei pastori destinata alla chiesa di S. Maria dell'Angelo a Faenza, da terminare entro la Pasqua dell'anno successivo e unanimemente identificata con la tela di analogo soggetto conservata presso la Pinacoteca comunale (Valgimigli, p. 96).
Nel settembre del 1567 per il dipinto ricevette un pagamento di 64 lire in monete e una quantità di grano (Grandini, p. 439).
In tale opera emergono elementi desunti dalla pittura fiamminga, soprattutto nella resa antiprospettica dello spazio e nella spiccata espressività, riscontrabili anche nell'Annunciazione della collezione della Cassa di risparmio di Cesena (Benati, pp. 131 s.) e nella firmata Cena in casa del fariseo proveniente dal distrutto oratorio dei Ss. Matteo e Mattia di Faenza (Faenza, Pinacoteca comunale), da riferire al M. sempre entro il 1570 (Grandini, p. 441 n. 22).
Il 29 nov. 1568 il M. fu pagato per un affresco nella cappella di S. Antonio presso la chiesa parrocchiale della Ganga, ora perduto (Valgimigli, p. 97). Due anni dopo eseguì la decorazione del fregio e del soffitto ligneo con le Gesta di Scipione l'Africano nella sala Nobile di palazzo Marcheselli a Rimini. L'opera è andata in gran parte distrutta durante la seconda guerra mondiale, e si conservano solo alcuni frammenti di sette delle undici tavole istoriate del soffitto presso il Museo della Città di Rimini (Pasini).
Al soggiorno riminese del M. sono state riferite anche la Caduta di s. Paolo nella chiesa dei Servi (Marcheselli, p. 254) e la Salita al Calvario della chiesa del Suffragio (Colombi Ferretti, p. 77), ulteriori testimonianze del suo progressivo avvicinamento ai nuovi modi espressivi propri della maniera tosco-romana, in particolare dei fratelli Zuccari (Benati, p. 137).
Il 15 ott. 1574 fece nuovamente testamento a Faenza (Valgimigli, p. 99). Secondo Baglione, alla morte di Lorenzo Sabatini il M. proseguì alcuni dei cantieri decorativi da questo intrapresi nell'ambito degli appartamenti di papa Gregorio XIII nei palazzi apostolici Vaticani, eseguendo i fregi delle due sale cosiddette dei Paramenti e assumendo la direzione delle parti ornamentali del tratto centrale delle logge al secondo piano, compiute entro il 1577 (Baglione, pp. 22, 218 s.).
Baglione riferisce al M. anche le prime sei Storie di s. Francesco di Paola nelle lunette del lato ovest del chiostro della chiesa della Trinità de' Monti a Roma, tuttora esistenti, tranne la seconda, ma in cattive condizioni. Per la datazione di tali affreschi si propende per gli anni 1579-80 (ibid., p. 220; Balsamo, pp. 31-33).
Nel 1580 il M. è nuovamente documentato a Faenza, anche per un pagamento in relazione all'insegna da lui dipinta nella residenza del cardinale legato di Romagna Alessandro Sforza (Valgimigli, p. 99). Nel 1585 insieme con Giulio Tonducci e Niccolò Paganelli eseguì il ciclo con Storie di s. Francesco d'Assisi nelle lunette del chiostro di S. Gerolamo presso la chiesa dell'Osservanza di Faenza.
Al M. sono da riferire Il Crocifisso parla al santo nella chiesa di S. Damiano e la Rinunzia dei beni paterni, entrambi perduti con la distruzione del complesso nel 1944 (Corbara, 1939).
Il 20 ott. 1586 ricevette un mandato di 15 scudi per l'esecuzione delle armi del cardinale legato Domenico Pinelli nella sala Magna del suo palazzo del Municipio a Faenza (Valgimigli, p. 100).
Il M. morì a Faenza il 13 ag. 1588 (ibid., p. 102).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, Firenze 1906, VII, p. 422; VIII, pp. 619, 621; G. Baglione, Le vite de' pittori, scultori et architetti… (1642), a cura di J. Hess - H. Roettgen, I, Città del Vaticano 1995, pp. 22 s., 217-222; C.F. Marcheselli, Pitture delle chiese di Rimini (1754), a cura di P.G. Pasini, Bologna 1972, pp. 9, 64, 79 s., 253 s.; G.M. Valgimigli, Dei pittori e degli artisti faentini dei secoli XV e XVI, Faenza 1871, pp. 94-102; Il carteggio di Giorgio Vasari, a cura di K. Frey, I, München 1923, pp. 583 s.; E.A. Hewett, La décoration du palais Sacchetti par Maître Ponce et Marc le Français, in Gazette des Beaux Arts, s. 5, XVII (1928), p. 221; J. Hess, Le logge di Gregorio XIII nel palazzo del Vaticano: i pittori, in Illustrazione vaticana, VII (1936), 4, pp. 161 s., 165 s.; P. Ginori Conti, L'apparato per le nozze di Francesco de' Medici e di Giovanna d'Austria, Firenze 1936, pp. 36, 39, 58-60, 142 s.; A. Corbara, Aspetti del tardo manierismo faentino (1939), in Gli artisti. La città. Gli studi sull'arte faentina di A. Corbara, Bologna 1986, pp. 210-221; P. Barocchi, Vasari pittore, Milano 1964, pp. 40 s., 43 n. 1, 44 s., 61, 79, 135 s., 146; A. Cecchi, Pratica, fierezza e terribilità nelle grottesche di M. da Faenza in palazzo Vecchio a Firenze, in Paragone, XXVIII (1977), 327, pp. 24-54; II, ibid., 329, pp. 6-26; Dipinti d'altare in età della Controriforma in Romagna (catal., Forlì), a cura di A. Colombi Ferretti, Bologna 1982, pp. 1 s., 5, 15 s., 18, 77; P.G. Pasini, La Pinacoteca di Rimini, Cinisello Balsamo 1983, pp. 112-115; U. Muccini - A. Cecchi, Le stanze del principe in palazzo Vecchio, Firenze 1991, ad ind.; I. Balsamo, La Trinité-des-Monts à Rome: les décors du cloître (1580-1620), in Histoire de l'art, VIII (1989), pp. 31-33; D. Benati, Per Antonio Corbara: tre temi romagnoli dal '500 al '700, in Convegno di studio in onore dello storico e critico d'arte dott. Antonio Corbara nel X° anniversario della morte, Faenza 1994, pp. 129-139; A. Cecchi, Per la ricostruzione dell'attività romana di M. da Faenza, in Paragone, XLV (1994), 529-533, pp. 89-93; P. Morel, Les grotesques. Les figures de l'imaginaire dans la peinture italienne de la fin de la Renaissance, Paris 1997, pp. 28 s.; D. Grandini, La pittura devozionale di M. M., artista faentino del Cinquecento, in Studi romagnoli, LIII (2002), pp. 433-446; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 66.