STANGA, Marchesino
– Figlio di Cristoforo e di Barbara Trecchi, nacque a Cremona, probabilmente al principio del settimo decennio del XV secolo.
Ambedue i genitori erano legati allo stretto entourage sforzesco. Antonio Trecchi, avo di Stanga, fu tesoriere di Bianca Maria Visconti, di cui Cremona era appannaggio; gli Stanga, ricchi possidenti a Soresina, ottennero esenzioni fiscali (1467). Per l’abile Cristoforo, famiglio ducale dal 1471, non fu difficile avviare per il meglio i destini dei figli (diversificandone le carriere) e delle figlie, uscendo dai circuiti della piccola nobiltà cremonese e tentando il salto di qualità verso un inserimento nella nobiltà del ducato. Antonio, il maggiore, fu avviato alla carriera ecclesiastica e giuridica; Laura sposò un Visconti (1490) e Sara un Landi (1496), mentre Gaspare (m. 1518) – che sposò il 27 febbraio 1491 (dote di 6000 ducati) Bianca Lucia Mandelli di Caorso (virago celebrata dai poeti della quale si invaghì Cesare Borgia) – e Marchesino, ai quali giovò anche l’educazione umanistica ricevuta sotto la guida di Niccolò Lucari, furono collocati a corte.
Stanga fu in effetti al servizio di Ludovico il Moro, come suo cameriere, sin dall’adolescenza (forse dai primi anni Ottanta se non prima), come si dichiara il 10 gennaio 1492 assegnandogli uno stipendio di 400 ducati. La sua presenza è documentata nel castello di Milano tra la fine del 1485 e gli inizi del 1486, quando risulta ancora cittadino di Cremona, ma la sua carriera fece un salto di qualità dopo la malattia di Ludovico il Moro e le congiure contro di lui (1488-89) che – vere o presunte – permisero di liquidare alcuni esponenti del partito ghibellino legati al cardinale Ascanio Maria Sforza (Filippo Eustachi, castellano di porta Giovia, e Ludovico Terzaghi) e promuovere un gruppo ristretto di favoriti ‘uomini nuovi’. Tra questi vi fu appunto Stanga che si occupò (con Bergonzio Botta e Aloisio Cagnola) di incassare la taglia imposta agli ebrei durante il processo del marzo 1488 e di sollecitare le conclusioni della procedura contro Terzaghi. Si impegnò inoltre nell’esazione dei proventi delle confische criminali e iniziò a lavorare nell’ufficio delle biade, carica che mantenne fino alla fine della dominazione sforzesca e che gli valse l’altisonante titolo di prefectus Annone.
Da allora la carriera del «secretarius noster predilectus» (così in molti documenti) non ebbe ostacoli: più volte procuratore speciale del duca per affari importanti, specie in relazione alla movimentazione di grosse somme di denaro in accordo con i banchieri genovesi; deputato del denaro e ambasciatore presso corti italiane e straniere. Detenne con Bartolomeo Calco i sigilli ducali, e fu sempre presente, pur se ufficialmente non ne faceva parte (a differenza del fratello Antonio, dal 1494, e dello zio Giacomo Trecchi, dal 1496), alle riunioni del Consiglio segreto ducale, che si svolgevano nel castello. I principali cronisti contemporanei (Ambrogio da Paullo, Marin Sanuto ecc.) lo ricordano nei ristretti elenchi dei favoriti del Moro che maneggiavano denaro e governavano, odiati, la Milano di fine Quattrocento.
Nel giugno del 1491 il Moro combinò per Stanga un matrimonio destinato a inserirlo nei ranghi della più elevata (pur se non della più antica) nobiltà milanese: la sua unione con Giustina Borromeo (25 novembre 1471-3 luglio 1509), figlia del conte Giovanni, dotata per 4000 ducati, era anche funzionale a obiettivi politici. I Borromeo erano potenti, ma in malcelato contrasto con il Moro, e forse le nozze di Stanga nascosero un qualche tentativo di riannodare, attraverso il matrimonio di un favorito, i rapporti con la casata. In effetti Stanga fu chiamato a mediare, quando il cognato Filippo si ribellò al Moro (1495) e le fortezze dei Borromeo furono occupate dagli sforzeschi.
Dall’unione con Giustina nacquero: Ludovico (sposo della celebre Ludovica Torelli di Guastalla), Massimiliano (sposo di Polissena Rangoni), Giovanni (nato postumo e soprannominato Marchesino), Beatrice (sposata a Federico Gambara) e Barbara (sposata a Paolo Camillo Trivulzio); mentre lo storico di famiglia, Idelfonso Stanga (a volte sommario), attribuiva a Marchesino altri figli naturali tra i quali un Giulio, unico con discendenza.
Agli inizi del 1498 (febbraio-maggio), mentre la situazione politica si faceva sempre più pericolosa per gli Sforza, Stanga svolse una lunga e delicata missione diplomatica, che lo portò a Roma e a Napoli. In quei mesi salì al trono di Francia Luigi XII, e Stanga tornò di nuovo a Napoli, per poi risalire a Urbino, Siena, Firenze e Bologna. Nel novembre del 1498 fu inviato in ambasceria segreta al marchese di Mantova, ormai unico alleato del Moro. L’anno successivo (maggio 1499) fu a Innsbruck, presso l’imperatore, per tentare un’estrema richiesta di aiuto; sulla via del ritorno tracciò una fosca relazione, consapevole dello scarso sostegno che l’effimera autorità di Massimiliano di qua delle Alpi poteva prestare allo Sforza.
Allo stringersi dell’alleanza franco-veneta contro Milano, il 2 settembre 1499, Stanga accompagnò il Moro nella sua fuga verso Innsbruck, in incognito e con pochi uomini armati, ma con il tesoro sforzesco al seguito, sostando a Bellagio (terra di Stanga) e schivando un attacco nell’alto Lario. Appena giunto Oltralpe e ottenuto un primo contingente di armati, il Moro si portò a Bolzano, mentre Stanga si dirigeva verso i territori veneziani. A Brescia fu prelevato dal cognato Giberto Borromeo che lo scortò a Milano, per ordine di Gian Giacomo Trivulzio, governatore per conto di Luigi XII.
Anche se i suoi beni non furono formalmente confiscati, Stanga fu obbligato a una sorta di amministrazione controllata del proprio patrimonio e congiunta con il generale francese Louis de Luxembourg de Ligny. Protestò in Senato per questo vincolo, ma fece atto di dedizione al re di Francia e nel contempo sedeva alla tavola di Trivulzio.
L’ambiguo doppio gioco continuò nei mesi successivi. Proprio mentre Ascanio e Ludovico Sforza mettevano insieme un esercito per rioccupare il Milanese, con la scusa di un soggiorno in campagna Stanga lasciò Milano con la moglie e i figli (gennaio 1500) e si ritirò a Cassano d’Adda in una tenuta di famiglia vicina a quella dei cognati, prossima al confine orientale del ducato. Contemporaneamente operò (coinvolgendo anche i Borromeo) per preparare il ritorno degli sforzeschi in Milano sfruttando le antipatie che Trivulzio si attirò e lo scontento per l’operato francese. Ma la restaurazione sforzesca fu effimera, e il 10 aprile 1500 Stanga fu preso prigioniero insieme con Ludovico il Moro alle porte di Novara. Il cognato Antonio Maria Pallavicini lo pretese come proprio ostaggio per fargli scampare il carcere; Stanga fu posto agli arresti domiciliari presso i Borromeo mentre tutti i suoi beni furono confiscati e il suo palazzo milanese (donato a Ligny) divenne sede del Senato.
Nel contempo il fratello Gaspare si era trasferito a Venezia cercando di riassettare gli interessi di famiglia nel Cremonese passato sotto il dominio della Serenissima. Il 9 giugno Stanga fu inviato in Francia insieme con Francesco Bernardino Visconti, leader dei ghibellini milanesi; dopo due mesi (fine luglio), a Lione, i due furono presentati al re di Francia «ligati [...] a cavallo, ma non pareano ligati» (Sanuto, 1879-1902, III, col. 451).
Verosimilmente per la sua cattiva salute, anziché essere trattenuto in Francia Stanga fu rinviato a Milano. Il 20 agosto 1500 testò nel palazzo dei Borromeo e morì il giorno 26. Fu inumato nella cappella di S. Ludovico in S. Maria delle Grazie assecondando il progetto del Moro che lo avrebbe voluto accanto nella sepoltura sforzesca della tribuna bramantesca.
Di Stanga scrissero, o gli dedicarono componimenti poetici, Bernardo Bellincioni, Donato Bramante, Galeotto del Carretto, Lancino Curzio, Antonio Perotto e Gaspare Ambrogio Visconti. Il suo precettore Niccolò Lucari nell’edizione Cremona 1492 del De remediis utriusque fortunae di Francesco Petrarca gli indirizzò un lusinghiero raffronto: «tantus enim apud Ludovicum principem sapientissimum evasti, quantus apud Augustum Maeceanas».
In effetti, anche dal punto di vista delle committenze artistiche, Stanga fu l’intermediario di gran parte delle iniziative del Moro negli anni 1490-99. Con un celebre memoriale del 29 giugno 1497 il duca ricordò a Stanga tra l’altro di seguire il progresso della sepoltura di Beatrice scolpita da Cristoforo Solari, sollecitare Leonardo da Vinci (già in contatto con lui da almeno un decennio) a completare il Cenacolo di S. Maria delle Grazie e dipingere l’altra testata del refettorio dei domenicani, far completare due ali della canonica bramantesca di S. Ambrogio, indire un concorso per la nuova facciata delle Grazie.
Per il Moro, Stanga seguì i lavori del Castello sforzesco e della piazza antistante, dei palazzi di Galeazzo Sanseverino e di Cecilia Gallerani, dei sontuosi e costosi apparati per le stanze milanesi di Beatrice d’Este; nonché la realizzazione dell’ancona sforzesca per S. Ambrogio ad Nemus (attuale Pala sforzesca di Brera, Reg. Cron. 451). Oltre che con Bramante, Leonardo e Solari, Stanga trattò praticamente con tutti gli artisti attivi sulla piazza milanese. Per sé, curò la ricostruzione, l’ampliamento e la decorazione del palazzo posto accanto al castello (donatogli dal duca nel 1492 e usato anche per scopi di rappresentanza): vi lavorarono lo scultore Gian Cristoforo Romano e forse il pittore Bartolomeo Suardi, detto Bramantino, che vi affrescò storie romane (ma il passo di Giorgio Vasari è oscuro). In questa impressionante domus urbana (paragonata dopo la sua morte al veneziano Fondaco dei turchi) Stanga mise insieme un vero e proprio museo antiquario parzialmente registrato da Andrea Alciati. Ebbe anche un casino di delizie sul Naviglio grande e una villa (1489) costruita sul dosso di Bellagio (ora Rockefeller Foundation) dove la tradizione collocava la domus Tragedia di Plinio il Giovane. Infine, con il padre promosse la ristrutturazione del palazzo di Cremona, in San Luca (il cui portale è ora al Louvre di Parigi, accanto ai Prigioni di Michelangelo).
Dalle partite d’estimo dei figli (1524), si deduce che Stanga fu l’uomo più ricco di Milano (130.000 ducati). Alle grandi proprietà terriere di famiglia tra Cremona e Soresina, aggiunse possessioni nel Lodigiano e nel Milanese, i feudi di Castelnuovo Bocca d’Adda (1° gennaio 1492), già di Filippo Eustachi, e quello della Pieve d’Incino con la Valassina, le squadre di Mauro e Nibbiono, le terre di Mandello, Bellano, Varenna, Dervio e Correno (4 aprile 1499), già del conte Pietro Dal Verme.
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