SOLERI, Marcello
– Nacque a Cuneo il 28 aprile 1882 da Modesto e da Elvira Peano, secondo di due figli (il primogenito, Elvio, era nato nel 1880).
ll padre era nato nel 1847 a Dronero da una famiglia originaria della Val Maira, la stessa da cui proveniva il nonno materno di Giovanni Giolitti. Diventato ingegnere capo della Provincia di Cuneo, si distinse fra i principali collaboratori di quel Consiglio provinciale, di cui il deputato di Dronero Giolitti era diventato membro nel 1886. La madre era sorella di Camillo Peano, che di Giolitti sarebbe stato capo di gabinetto, poi deputato, ministro, presidente della Corte dei conti. Insomma i Soleri appartenevano alla borghesia delle professioni e dell’impresa della provincia piemontese, alle famiglie principali della quale erano anche stretti da vincoli di parentela. Modesto Soleri era stato compagno di scuola di Edmondo De Amicis, vissuto a Cuneo dal 1848 al 1861: ne seguì da lontano la parabola politica, da un liberalismo di sinistra in linea con quello presente tradizionalmente a Cuneo al socialismo umanitario, per cui ebbe anche qualche guaio durante le repressioni crispine degli anni Novanta. Dopo la sua morte precoce, nel 1898, la moglie e i due figli si trasferirono a Torino, discretamente aiutati da parenti e amici.
Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza, Soleri si laureò nel 1903 con una tesi su I vizi del consenso nel matrimonio, prontamente pubblicata (Cuneo 1903): negli anni successivi collaborò a riviste di rilievo nazionale come l’Archivio giuridico di Filippo Serafini e la torinese Giurisprudenza italiana. Nel periodo universitario aveva iniziato un’attività giornalistica per la cuneese Sentinella delle Alpi, di proprietà di Tancredi Galimberti, allora fedele deputato giolittiano: il suo primo articolo è del novembre 1900.
Come gran parte della sua generazione, anche lui conobbe una giovanile passione per il socialismo e frequentò la sede dell’Associazione generale degli operai in corso Siccardi a Torino. Ma come la maggior parte di quella generazione, proprio intorno al 1905, operò una revisione ideologica che – nel suo caso – sarebbe approdata al liberalismo democratico, in cui poi si riconobbe per il resto della vita.
Nel 1904 Soleri tornò a Cuneo per intraprendere la professione forense: nel 1907 sposò Tisbe Sanguinetti dalla quale ebbe, l’anno successivo, il figlio Modesto.
Durante gli anni torinesi era stato iscritto alla Corda fratres, organizzazione paramassonica degli studenti universitari: questa contiguità dovette essergli utile nella carriera politica che avrebbe intrapreso nella sua città, dove la scena politica era dominata dal deputato Tancredi Galimberti, che era stato fedele collaboratore di Giolitti fino al 1903 per poi divenirne avversario. Alle elezioni del 1909 si presentò come fautore di un’intesa con i cattolici moderati contro ogni apertura ai socialisti, e proprio grazie all’apporto dei voti cattolici venne rieletto. In questo contesto il giovane avvocato divenne il capo delle correnti liberaldemocratiche, sostenute da Giolitti e critiche della politica di Galimberti: per sostenere le proprie idee fondò un nuovo quotidiano, Il corriere subalpino. Il 28 luglio 1912 Soleri vinse le elezioni comunali e, a soli trent’anni d’età, fu eletto sindaco di Cuneo, ma nell’aprile del 1913 dovette già dimettersi perché si era candidato alle elezioni per la Camera. I risultati della sua amministrazione furono comunque notevoli: la convenzione con le Ferrovie per la costruzione della nuova stazione sull’altipiano cuneese resa possibile dal gigantesco viadotto sul fiume Stura e il nuovo piano regolatore cittadino.
Le elezioni dell’ottobre-novembre del 1913 a Cuneo ebbero un rilievo nazionale: Soleri si presentò sostenuto da una coalizione liberaldemocratica di intonazione massonica, mentre Galimberti cercò appoggi nel mondo cattolico, sottoscrivendo il patto Gentiloni. Fu decisivo l’intervento di Giolitti, che chiese e ottenne dal conte Vincenzo Ottorino Gentiloni la disapplicazione del patto proprio nel collegio di Cuneo, ottenendo così l’astensione dei cattolici dalle urne: astensione che favorì Soleri e provocò, dopo vent’anni, l’esclusione di Galimberti dalla Camera. Nel suo primo intervento parlamentare (5 dicembre 1913), in polemica con il socialista Carlo Altobelli, Soleri avrebbe negato l’intervento del presidente del Consiglio nelle elezioni cuneesi e rivendicato il successo alla sua azione personale come sindaco della città e capo politico. Di maggior respiro fu il discorso nella seduta del 12 giugno 1914 in cui difese la piccola proprietà, minacciata – sosteneva – dall’inasprimento dell’addizionale sull’imposta di ricchezza mobile proposta dal nuovo governo Salandra: d’altronde Soleri votò quasi costantemente contro questo ministero ed ebbe uno scontro con lo stesso presidente del Consiglio nel gennaio del 1915, quando insieme ad altri deputati segnalò i gravi ritardi negli aiuti alla zona di Avezzano sconvolta dal terremoto.
Allo scoppio della Grande Guerra chiese subito (il 19 agosto 1914) al ministero della Guerra di essere arruolato nel corpo degli alpini in caso di partecipazione dell’Italia al conflitto. La sua linea nei grandi dibattiti dei mesi successivi fu neutralista, ma senza irrigidimenti polemici: quando Cesare Battisti, grazie al sostegno della loggia massonica Vita Nova di Cuneo, portò la predicazione interventistica nella provincia del neutralista Giolitti (21 febbraio 1915), poté parlare nel teatro cittadino solo grazie all’intervento di Soleri, che placò la contestazione degli avversari. Così egli non fu tra i trecentoventi parlamentari che in segno di solidarietà deposero il loro biglietto da visita nella portineria di casa Giolitti il 12 maggio 1915, anche se poi volle che l’agenzia Stefani rendesse nota la sua visita in grigioverde all’ex presidente del Consiglio prima di partire per il fronte.
Nel giugno del 1915 raggiunse, con il grado di sottotenente, il 2° reggimento alpini: partecipò alle operazioni militari in Carnia e, dal maggio del 1917, sul fronte isontino. Il 17 maggio 1917 rimase gravemente ferito sul monte Vodice; dopo un lungo ricovero, all’indomani di Caporetto (24 ottobre-12 novembre 1917), raggiunse di nuovo il fronte (questa volta sul monte Pasubio) qui venne colto da un grave esaurimento nervoso che lo costrinse a tornare a Cuneo, dove rimase fino alla fine della guerra.
Nel settembre del 1917 gli era stata attribuita la medaglia d’argento al valor militare e la promozione a capitano. Nel 1916 Soleri era stato sfiorato dall’affare Douhet (non assunse la difesa del colonnello di fronte al tribunale di guerra perché l’imputato poteva avere un solo difensore, che fu l’onorevole Orazio Raimondo), tuttavia ne condivise sempre le critiche alla condotta della guerra del generale Luigi Cadorna, proprio a causa delle quali Giulio Douhet era stato sottoposto al processo militare. Su Cadorna Soleri intervenne con grande asprezza alla Camera riunita in comitato segreto il 7 dicembre 1917 (si era all’indomani di Caporetto), e ancora il 28 novembre 1918, dopo la fine della guerra.
Nel primo governo Nitti (23 giugno 1919-21 maggio 1920) Soleri fu sottosegretario alla Marina e nel brevissimo secondo governo Nitti (21 maggio-15 giugno 1920) ebbe l’incarico di sottosegretario all’Industria e al Commercio e di alto commissario agli approvvigionamenti e ai consumi alimentari. In questo ruolo fu confermato durante il quinto governo Giolitti fino al luglio del 1921: fornì così un contributo rilevante nell’iter parlamentare che portò all’abolizione del prezzo politico del pane. Nel successivo governo Bonomi (4 luglio 1921-26 febbraio 1922) a Soleri venne affidato il ministero delle Finanze: il suo compito principale fu l’attenuazione e la mitigazione (in linea tecnica e nell’applicazione) dell’imposta sul patrimonio e sui sovraprofitti di guerra, ovvero dei provvedimenti più radicali presentati dal precedente governo Giolitti.
Mentre la situazione politica e sociale del Paese si andava rapidamente deteriorando a causa dell’ingovernabilità del sistema politico e delle crescenti violenze fasciste, Soleri accettò di entrare nel secondo governo presieduto da Luigi Facta (1 agosto-31 ottobre 1922) come ministro della Guerra (sembra che fosse indicato dai nazionalisti: era amico da sempre di Giuseppe Bevione). Nei dibattiti in seno al governo assunse una posizione mediana fra i più decisamente antifascisti (Paolino Taddei, Giovanni Amendola, Giulio Alessio) e quanti tendevano a una collaborazione con il fascismo (Facta, Vincenzo Riccio, Carlo Schanzer): condividevano la sua posizione i colleghi Teofilo Rossi, Ludovico Fulci e i ministri popolari. Ma quando si profilò la prova di forza fascista alla fine di ottobre, Soleri cercò di intervenire con decisione: aprì un provvedimento disciplinare a carico di Emilio De Bono, che pur essendo un generale ancora in servizio aveva accettato di apparire come comandante generale della nuova Milizia fascista; la sera del 26 ottobre 1922, alla vigilia della marcia su Roma, avvertì tutti i comandi militari di vigilare e di tenersi pronti ad assumere i poteri per il mantenimento dell’ordine pubblico.
Nella ricostruzione che degli avvenimenti avrebbe fatto vent’anni dopo, Soleri sottolineò l’iniziale fermezza del sovrano e la sua richiesta che «Roma avrebbe dovuto essere difesa a qualunque costo»: come molti altri ministri, la interpretò come un avallo all’eventuale adozione dello stato d’assedio. Il più riluttante a questo passo appariva proprio Facta, che da settimane stava trattando con Benito Mussolini tramite Michele Bianchi. Soleri attribuì in gran parte proprio al mancato impegno del presidente del Consiglio il successivo dietro front del sovrano, con quello che ne seguì (Memorie, 1949, p. 152).
La sua attività politica tra il 1922 e le elezioni del 1924 fu piuttosto limitata: in vista di quelle elezioni Mussolini (al quale Soleri era legato da una buona amicizia) lo incaricò di un’ambasciata a Giolitti per indurlo a desistere dal proposito di presentare una lista liberale in Piemonte, permettendo così ai suoi luogotenenti di entrare nel ‘listone’ governativo. La missione ebbe l’insuccesso sperato dallo stesso Soleri, che si presentò nella lista giolittiana ottenendo a Cuneo un ottimo successo. Dopo il delitto Matteotti si oppose alla secessione aventiniana e si adoperò perché i deputati liberali restassero in aula, nella speranza non infondata di uno sfaldamento della maggioranza. Al congresso del Partito liberale italiano (PLI), che si tenne a Livorno (4-6 ottobre 1924), fu tra i maggiori esponenti dell’ala antifascista, che mise in minoranza i fautori del ‘collaborazionismo’ liberale: intervenne alla Camera il 20 novembre illustrando l’opposizione del gruppo giolittiano alla politica interna del governo e poi il successivo 12 dicembre illustrando il carattere incostituzionale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Dopo il discorso mussoliniano del 3 gennaio 1925, tutti i capi liberali (Giolitti, Vittorio Emanuele Orlando, Antonio Salandra) con i loro seguaci erano ormai passati all’opposizione: fra il 1925 e il 1926 Soleri pronunziò una serie di discorsi di dura opposizione sulle leggi riguardanti la dispensa dal servizio dei pubblici funzionari (19 giugno 1925), il regime della stampa (20 giugno 1925), l’epurazione degli albi e sindacati forensi (12 maggio 1926). Di grande significato fu la sua commemorazione di Giovanni Amendola, il 29 aprile 1926, morto a Cannes il 7 aprile precedente dopo essere stato aggredito in Toscana da una squadra fascista il 20 luglio 1925; l’evento provocò la rottura dei suoi residui rapporti con Mussolini. Dopo la decadenza dei centoventitré deputati aventiniani (9 novembre 1926), il gruppetto liberale rimase la sola voce di opposizione in aula, fino alla scadenza della legislatura, alla fine del 1928.
Con la fine del suo mandato, Soleri fece ritorno a Cuneo, confinandosi nella vita professionale: fino al 1940 rimase in contatto con il re, specialmente durante le sue vacanze a Sant’Anna di Valdieri. Così mantenne rapporti anche con il maresciallo Pietro Badoglio, suo vecchio comandante sul monte Vodice.
Nella primavera del 1943, di fronte alla disastrosa situazione del Paese, il re cercò di riprendere contatto con alcuni esponenti dell’opposizione legale: l’8 giugno 1943 Soleri ebbe con lui un colloquio a Roma e gli consigliò la destituzione di Mussolini e la costituzione di un governo non politico per avviare trattative con gli anglo-americani. Il re lo lasciò parlare senza mai reagire, dandogli l’impressione di aver fallito. Fu invece riconvocato a Roma, dove incontrò il 16 luglio il ministro della Real Casa, Pietro Acquarone: ebbe da lui la notizia che il sovrano era ormai orientato verso un governo Badoglio formato da militari e tecnici, mentre i vecchi liberali insistevano ora, dopo l’invasione del Paese, sulla necessità di un governo politico. Soleri si adeguò alla prospettiva Badoglio, consigliando come ministri Leopoldo Piccardi e Leonardo Severi, ma il suo comportamento fu duramente contestato dai senatori liberali presenti nella capitale, che puntavano a una combinazione Badoglio-Bonomi.
La caduta del fascismo, il 25 luglio, lo colse a Cuneo: ai primi d’agosto tornò per alcuni giorni a Roma, dove incontrò Badoglio e alcuni dei nuovi ministri. Se si mantenne estraneo all’azione dell’esecutivo, all’interno dell’ambiente liberale sostenne «l’opportunità di far credito ancora a Badoglio, che certo temporeggia ma è deciso a sganciarsi dai tedeschi» (Bonomi, 1947, p. 61), contro la corrente dei ‘giovani’ che sosteneva la assoluta non collaborazione con il governo. Non accettò la direzione de La Stampa di Torino, sulla cui proprietà si era aperto un contenzioso tra Alfredo Frassati e Giovanni Agnelli, ma consigliò la nomina del giolittiano Filippo Burzio.
Trovatosi in una situazione precaria dopo l’occupazione tedesca di Cuneo, il 6 ottobre partì per Roma, che raggiunse dopo un viaggio avventuroso. Il 12 novembre cercò rifugio nel seminario pontificio di S. Giovanni in Laterano, dove ebbe accoglienza una parte importante della classe dirigente dell’Italia postfascista (Ivanoe Bonomi, Alcide De Gasperi, Meuccio Ruini, Alessandro Casati, Pietro Nenni). Continuò a partecipare alle riunioni del Comitato centrale di liberazione nazionale, ma si acuirono i dissensi con l’intransigenza antidinastica della più giovane generazione liberale. Nel rifugio del Laterano Soleri scrisse le sue Memorie, che contengono pagine di grande rilievo sia per la ricostruzione di alcuni momenti nevralgici della storia italiana recente, sia per le sue valutazioni e riflessioni storico-politiche. Lasciò il seminario il 6 febbraio 1944, affidando il manoscritto al rettore, Roberto Ronca; fino al 4 giugno, quando Roma venne liberata dall’occupazione tedesca, trovò rifugio in casa di parenti e amici, cambiando spesso domicilio.
Dal giugno del 1944 al luglio del 1945 Soleri fu ministro del Tesoro nei due governi Bonomi e nel primo mese del governo Parri. Svolse un’opera assai notevole in vista della ricostruzione, che presupponeva il reperimento di fondi con mezzi ordinari e straordinari. Seppe approfittare dell’aumento delle entrate tributarie dovuto alla ripresa del funzionamento dell’apparato fiscale, ma anche delle minori spese per le forze armate e per le colonie e al fatto che l’inflazione aveva falcidiato gli interessi del vecchio debito pubblico. Inoltre lanciò, nell’aprile del 1945, il ‘prestito della Liberazione’ mediante l’emissione di buoni del tesoro quinquennali al 5% e nel luglio un’analoga emissione per le regioni del Nord: entrambi ebbero un buon successo e contribuirono ad alleggerire la situazione finanziaria dello Stato.
Soleri si presentava ormai come il vero capo del PLI ma una malattia insidiosa, che lo aveva colpito da mesi, il 23 luglio 1945, a Torino, lo portò alla morte.
Opere. La bibliografia di Soleri (mai sistematicamente raccolta) consta di alcuni scritti giuridici giovanili (1903-1906), di una lunga serie di discorsi parlamentari o politici pubblicati al momento e infine di alcuni saggi su temi finanziari comparsi per lo più sulla Nuova antologia (1916, 1922, 1925-1926). Non è ancora stata censita la sua attività giornalistica su varie testate di Cuneo, su La Stampa di Torino negli anni Venti e fra il 25 luglio e l’8 settembre 1943. Decisamente rilevanti sono le Memorie (Torino 1949), con prefazione di L. Einaudi, riedite a cura di P.F. Quaglieni (Ravenna 2013).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Cuneo, Fondo Marcelllo Soleri 1871-1945 (51 buste, con una collezione di opuscoli); Cuneo, Istituto per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, Carte Marcello Soleri 1882-1945 (22 buste); I. Bonomi, Diario di un anno (2 giugno 1943-10 giugno 1944), Milano 1947, pp. 60 s.
L’opera di riferimento per la biografia di Soleri è tuttora il volume di R. Collino Pansa, M. S., Milano 1948, che comprende molti documenti e una scelta dei suoi discorsi (alle pp. 299-391), ma importante è anche M. Brosio, Commemorazione di M. S. tenuta a Roma presso la Banca d’Italia con parole introduttive di Luigi Einaudi, Roma 1946; da ultimo P.F. Quaglieni, S. M., in Dizionario del liberalismo italiano, II, Soveria Mannelli 2015, pp. 1034 s.; per la sua attività politica: A.A. Mola, M. S.: dalla grande guerra alla guerra di liberazione. Riflessioni sulla “questione nazionale”, in Studi piemontesi, V (1976), pp. 284-299; F. Barletta, Per la storia della politica finanziaria in Italia. L’opera di M. S., Napoli 1983; A.A. Mola, Giolitti. Lo statista della nuova Italia, Milano 2003, ad ind.; A.G. Ricci, I liberali al governo (1944-1948), in I liberali italiani dall’antifascismo alla Repubblica, a cura di F. Grassi Orsini - G. Nicolosi, Soveria Mannelli 2008, ad ind.; P.L. Ballini, «Un plebiscito dei risparmiatori per l’Italia risorta»: l’estensione all’Italia del Nord del “prestito Soleri”. La propaganda di Einaudi e De Gasperi, in Quaderni degasperiani per la storia dell’Italia contemporanea, a cura di P.L. Ballini, II, Soveria Mannelli 2010, pp. 31-54; A. Salvadori, M. S. politico, deputato, ministro, 1913-1928, 1944-1945, Firenze 2010; D. Chiapello, Marcia e contromarcia su Roma. M. S. e la resa dello Stato liberale, Roma 2012.