COLONNA, Marcantonio
Figlio di Camillo di Marcello e di Vittoria Colonna, nacque probabilmente nel 1523. Compì gli studi teologici con la guida, a detta del Litta, di Felice Peretti (il futuro Sisto V) e nel 1549 lo zio Francesco Colonna rinunciò in suo favore all'abbazia di Subiaco, di cui egli prese possesso soltanto nel 1559. Il 7 ag. 1560 fu nominato da Pio IV, su richiesta di Filippo II, arcivescovo di Taranto. Visitò saltuariamente la sua diocesi, ma sembra che vi abbia tenuto un sinodo. Due anni più tardi si recò a Trento per partecipare alle sedute del concilio, ove nell'autunno del 1562 si discettava animatamente sull'elezione dei vescovi, reputata da alcuni de iure divino e opera invece riservata ai pontefici secondo altri. Il C. prese posizione per quest'ultima tesi e la sostenne validamente. Era ancora lì un anno dopo, quando nell'agosto ebbe incarico dai legati di riunire nella sua casa i propri aderenti per rendersi conto dei loro orientamenti a proposito della Riforma.
Era tornato a Roma nel maggio del 1564, quando in casa sua, nel palazzo Colonna di piazza dei SS. Apostoli, si attuava un compromesso fra lui e il vescovo di Tivoli. Quale abate commendatario di Subiaco infatti il C. era venuto in contrasto con il presule, che in effetti con quell'atto otteneva la meglio nel contrasto: tutte le località del territorio venivano poste sotto la giurisdizione spirituale del vescovo, esclusi i monasteri di S. Scolastica e del Sacro Speco; al C., obbligato a pagare 29rubbi annui di grano, venivano riservati alcuni diritti sui benefici vacanti e la cognizione di tutte le cause.
Il 12 marzo 1565 il C. veniva eletto cardinale; egli si sentiva maturo per questa carica, tanto che due anni prima a Trento, diffusasi la notizia di una elezione di cardinali da cui egli era escluso, si era mostrato risentito per questo. L'anno successivo Pio V inserì il C., che aveva assunto nel maggio il titolo dei SS. Apostoli, in una commissione formata al fine di emendare il decreto di Graziano. Il 13 ott. 1568, il C. rinunciò alla sede arcivescovile di Taranto per passare a quella di Salerno. Nel 1569 fu chiamato a far parte della commissione costituita per preparare, secondo il voto del concilio, un'edizione ufficiale della Volgata.
Ricevuto, l'11 genn. 1570, il pallio della chiesa di Salerno, il C., che aveva affidato l'anno prima l'arcidiocesi ad Alessandro Gallicano, nominò per quell'anno suo vicario Lelio Giordano, vescovo di Acerno. Nell'ottobre il C. prescrisse la visita pastorale nella sua diocesi, dove peraltro non si era probabilmente mai recato. Il 5 marzo 1571 Pio V costituì una commissione di sei cardinali, fra cui il C., per esaminare e confutare la confessione augustana e gli attacchi dei centuriatori di Magdeburgo; i lavori della commissione - come del resto quelli per l'edizione della Bibbia - non procedettero e la morte del pontefice sopraggiunse senza che si fosse approdato ad alcun risultato. Soltanto all'inizio del 1573 il C. si recò a Salerno, probabilmente sollecitato dall'autorità ecclesiastica che premeva affinché i presuli risiedessero nella loro sede.
Nei quattro mesi del suo soggiorno nella diocesi espletò una grande attività. Fece costruire presso la cattedrale un locale per il seminario, atto ad accogliere i chierici di tutta l'arcidiocesi. Emanò il 22 maggio gli Ordini da observarsi inviolabilmente, in cui fra l'altro si esortava a inventariare tutte le testimonianze scritte relative a ciascuna istituzione ecclesiastica e a conservarle in modo da costituire un archivio; a tributare gli stessi onori ecclesiastici a persone di ogni condizione; a osservare infine le costituzioni sinodali precedenti. Compì personalmente ai primi di aprile la visita pastorale in alcune chiese. Fece dono di alcuni oggetti d'argento alla cattedrale e soprattutto il 26aprile avrebbe aperto un concilio provinciale. La posizione che il C. assunse nei confronti di un tale Ferrante Madrigali, capitano di Montecorvino, gli creò però notevoli fastidi e complicazioni sia con Filippo Il e il viceré di Napoli sia con la Curia romana. Già nel febbraio aveva infatti scomunicato il capitano, da lui accusato di aver voluto "perturbare e spogliare la Chiesa di Salerno della sua giurisdizione et beni" (Arch. Segr. Vaticano, Nunziatura di Napoli, III, c. 97r). Il viceré, cardinale Granvelle, non mancò di difendere l'operato del Madrigali e di richiedere più volte e sempre più decisamente al presule la revoca dei provvedimenti adottati contro di lui. La Curia romana d'altra parte, che dapprima aveva genericamente confortato l'arcivescovo ad agire in difesa e secondo gli interessi della Chiesa, poi dimostrò di non gradire che l'affare suscitasse tanto rumore. La sua puntigliosa ostinazione a non voler cedere, il contrasto con il sovrano e con il Regio Consiglio, che rendevano poco accetta la sua presenza nel Regno, probabilmente la sensazione di sentirsi esiliato da Roma resero al C. intollerabile il soggiorno a Salerno. Con ogni probabilità se ne allontanò nel maggio, dopo aver avuto ripetute "indisposizioni di urina", che gli fornirono il pretesto per tornare a Roma.
Nel giugno 1574 il C. dovette cedere l'arcivescovato di Salerno a Marcantonio Marsilio Colonna, forse suo parente, con la riserva però di 4.000 ducati annui. Il 24 dicembre, aprì la porta santa nella basilica lateranense per il giubileo.
Conservava intanto il titolo di abate commendatario di Subiaco. Qui nel 1566 aveva riedificato la chiesa di S. Abbondio, dedicandola a S. Andrea; fondò un seminario e un convento di cappuccini in Subiaco e nel 1578 il cenobio delle monache benedettine. Dopo esser passato, il 5 dic. 1580, al titolo di S. Pietro in Vincoli, nel 1585 rinunziò all'abbazia, in favore del nipote Camillo.
Nel medesimo anno il C., che nel 1581 era stato legato della Marca d'Ancona, fu nominato legato della Campagna romana. Esercitando il suo mandato si distinse nell'opera di repressione del banditismo, agendo con grande durezza - fra Anagni e Frosinone fece alzare dodici forche "cariche delle membra dei banditi squartati" - e ottenendo qualche risultato. L'11 maggio del 1587 divenne cardinale vescovo della sede predestina. Da Sisto V, che egli aveva ospitato l'anno precedente a Zagarolo, ottenne di poter riportare a Palestrina nel 1588 le reliquie di s. Agapito. Dal medesimo pontefice fu confermata la Congregazione dell'Indice, di cui il C. faceva parte.
Nei contrasti che opposero Sisto V alla Spagna a proposito della sconfessione papale, richiesta da Filippo II, dei cattolici francesi, il C. sostenne pienamente il pontefice. Fu lui, insieme con il cardinale F. Sforza, a comunicare all'oratore spagnolo la decisione sfavorevole della Congregazione nominata all'uopo dal papa; ed ebbe risposte sgradevoli e sgarbate.
Tuttavia il C. apparteneva al partito spagnolo, anche se nel conclave apertosi alla morte di Sisto V egli non era tra i candidati di Filippo II. Ciononostante tentò di accedere alla tiara, sostenuto da amici che si adoperarono indefessamente. Dovette però presto desistere in mancanza di appoggi determinanti. Alla morte di Urbano VII fu incluso fra i candidati di Filippo II, anche se non era certo uno dei più appoggiati dal partito spagnolo. Sembrò però che la sua candidatura dovesse avere successo e molti furono coloro che si recarono a casa Colonna a porgere le congratulazioni per l'elezione ritenuta sicura, ma il partito avversario si riunì a casa del cardinale Sforza, il più acceso degli oppositori, e qui si organizzò: alcuni lo ritenevano indegno del papato (pare che avesse figli illegittimi), alcuni diffidavano di lui e della famiglia, altri lo giudicavano "non accomodato al bisogno della Sede apostolica".Sotto il papato di Gregorio XIV il C. ottenne notevoli riconoscimenti. All'inizio del 1591 fu nominato membro e presidente di una commissione incaricata di rivedere la Bibbia sistina.
L'anno precedente infatti era finalmente uscita, sotto gli auspici e con l'apporto diretto di Sisto V, l'edizione ufficiale della Volgata; i risultati però non erano soddisfacenti e al nuovo pontefice si presentava l'ingrato compito di una revisione, che pur senza sconfessare Sisto V mettesse rimedio agli errori più gravi. La commissione, formata da sette cardinali e da undici consultori, si riunì la prima volta il 7 febbraio. Ogni lunedì e ogni venerdì, sotto la presidenza del C. e del cardinale G. Allen, si congregavano i consultori. Il segretario aveva il compito di leggere il testo ad alta voce; si discutevano i punti controversi, che il giovedì venivano presentati alla riunione generale, ove si decideva; quando le difficoltà non venivano superate si rimettevano al papa. In quaranta giorni con questo sistema si era rivisto soltanto il libro della Genesi. Si impose quindi un metodo di lavoro più rapido. Fu formata allora una commissione di otto consultori, guidata dal C. e dal cardinale Allen, che si riunirono nella sua villa a Zagarolo e in diciannove giorni compirono e consegnarono il lavoro al pontefice, che tuttavia morì senza che si fosse proceduto alla ristampa; essa uscì il 9 nov. 1592 e mantenne sostanzialmente il testo approntato dalla commissione presieduta dal C., a cui peraltro fu fatto qualche rilievo.
Il 14 febbr. 1591, pochi giorni dopo aver iniziato i lavori di revisione della Bibbia, il C. fu nominato cardinale protettore della Biblioteca Vaticana, succedendo a Cesare Baronio.
Era un momento particolarmente delicato per il grande complesso bibliografico, perché si stava compiendo il trasferimento dalla vecchia alla nuova sede, voluta da Sisto V. Il cambiamento dei locali, l'aumento considerevole dei manoscritti e degli stampati avvenuto. Nell'ultima metà del secolo, l'assunzione della regola di raggruppare i libri secondo materia, il proposito di catalogarli con rigore scientifico furono i motivi che determinarono la decisione di intraprendere la compilazione di nuovi cataloghi. Durante il protettorato del C. essi furono iniziati e portati notevolmente avanti, in special modo da quei Ranaldi - soprattutto Domenico - che furono accusati poi di aver causato nella biblioteca un grave stato di disagio fra gli impiegati e di essersi macchiati di varie colpe, nonostante gli sforzi compiuti dal C. per rimediare a questo stato di cose. Per qualche tempo il C. fu coadiuvato dal parente cardinale Ascanio Colonna, che assunse il titolo e il ruolo di vicebibliotecario. Alla sua morte legò alla biblioteca otto codici greci.
Morto Gregorio XIV, il C. fu di nuovo tra i candidati di Filippo II, benché uno dei più trascurati. In effetti, anche se esplicò una certa attività, egli non aveva assolutamente alcuna possibilità di venire eletto. Nel conclave successivo, che portò al soglio pontificio Clemente VIII, il suo successo, anche se la sua candidatura era ufficialmente sostenuta da Filippo II, non fu neanche ventilato.
Morì a Zagarolo il 14 marzo 1597.
Fu seppellito nella chiesa di S. Maria dei Francescani di quella cittadina. Pare che il C., circondato da fama di teologo valente, abbia svolto opera di mecenatismo. Fu in relazione con Aldo Manuzio il Giovane e fu amico di Giuseppe Calasanzio. Vincenzo Robardo scrisse nel De gestis quinquennalibus Sixti V un epigramma in suo onore. Sembra che nel 1569 facesse dono all'imperatore di un busto di Socrate e di uno di Antonino.
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