CINUZZI, Marcantonio
Figlio di Mariano, erede di una famiglia della nobiltà (iscritta al "monte" dei gentiluomini) che stava allora trasformandosi in famiglia borghese impiegando i propri membri in diverse branche dell'amministrazione repubblicana, nacque a Siena nel 1503 oppure nel 1508.
Non sappiamo quasi nulla della sua formazione intellettuale e non siamo in grado di ricostruire uno schema della sua preparazione culturale, che cadde in un periodo particolarmente difficile della vita sociale senese, verso la fine degli anni Venti. Tenuto conto delle sue successive affermazioni, si può tuttavia agevolmente supporre che abbia ricevuto un'istruzione strettamente umanistica. Entrato giovanissimo nell'Accadernia degli Intronati (forse ancora durante la mitica fase detta dell'"Accademia grande") con il nome di Scacciato, cominciò la sua attività letteraria tra, ducendo dal greco in italiano e producendo poesia in lingua latina assieme ai suoi coetanei C. Falconetti e M. S. Pecci. Era, quello, d'altra parte, proprio il momento nel quale A. Paleario cercava di mettere a punto (e sperimentava) un rigido sistema d'istruzione per la gioventù senese che ricollocasse al primo posto le umane lettere, ormai detronizzate dalla tendenza a privilegiare il volgare in ogni forma di comunicazione. Ma quel che è certo (e ce lo conferma un'annotazione autobiografica: cfr. la dedica delle Odi spirituali) è che il C. passò molto presto all'uso esclusivo del "toscano sahese" nella sua produzione poetica. Egli cominciò da "quel genere che si chiama lirico", secondo il modello petrarchesco adottato dagli Intronati, prendendo la "materia" dai "vari accidenti d'amore". Successivatriente, nel mutamento dei "pensieri" e delle "voglie", passò dal soggetto "lieve et amoroso" al soggetto "grave e morale" e prese la "materia" dalle varie "occasioni" della vita, trasformandosi progressivamente in un poeta che, invece di cantare l'amore, biasima i "vizii" e loda le "virtù".
È del tutto azzardato, nella fase attuale della ricerca, compiJare un elenco completo della produzione poetica giovanile del C., dato che lo spoglio sistematico delle miscellanee a stampa del sec. XVI non è ancora stato fatto e che il lavoro delle attribuzioni delle canzoni, stanze, sonetti e odi conservate manoscritte soprattutto nei codici senesi e fiorentini è ancora fermo a quanto hanno detto quegli eruditi toscani come U. Benvoglienti e S. Bichi Borghesi (ai quali è ancor necessario rimandare per una prima informazione su quanto è stato pubblicato nelle classiche raccolte cinquecentesche e su quanto si trova manoscritto). Qui basterà segnalare che accanto alle traduzioni - tra le quali ha una notevole importanza Il rapimento di Proserpina per le numerose edizioni veneziane e senesi che ha avuto tra il 1608 e il 1614e per l'intervento critico del Benvoglienti - bisogna collocare anche la composizione del poema Adone risalente al 1536(il testo è ancora inedito). Va detto infine che il codice fondamentale per dare inizio alla ricerca e alia sistemazione della produzione poetica giovanile del C. resta il manoscritto C.VI.9 della Bibl. com. di Siena (da p. 127 a p. 217) da integrare con i codd. C.IV.5, H.XI.17, H.X.4, Una informazione da valutare attentamente, nel quadro della storia delle tecniche letterarie italiane degli anni Cinquanta, è l'affermazione del C. di essere stato, se non il. primo, almeno il secondo a far uso in Italia del "verso" di Orazio Flacco. Sembra infatti attendibile che, prima del C., solo Bernardo Tasso abbia avuto presente tale riferimento classico.
La vita del C. è strettamente intrecciata alla storia della Riforma a Siena e, in particolare, è connessa al problema dell'origine e della dispersione del gruppo creticale dei Sozzini. È possibile scandirla in quattro parti: la prima fase copre gli anni 1544-52 ed è caratterizzata da un'intensa attività culturale che lo portò anche fuori del territorio senese; la seconda comprende il periodo che va dal 1552 al 1560 e vede esprimere il suo più alto livello d'impegno politico e religioso; la terza racchiude il lungo arco di tempo 1561-1578 e contrassegna il riflusso "nicodemitico" seguente la repressione inquisitoriale dell'eresia in Italia; la quarta fase comincia con una carcerazione che indaga sul suo passato religioso e termina con la morte suggellata formalmente dal ritorno in seno alla santa "madre" Chiesa.
Verso la fine del 1544, attraverso un clamoroso episodio di contestazione ecclesiale gestito da B. Guerrieri (il maggior esponente del calvinismo senese) e attuato dall'artigiano Pietro Antonio nella Confraternita della Santa Trinità, si era risaliti all'esistenza di un gruppo di sette nobili i quali diffondevano negli ambienti intellettuali e tra gli artigiani della città l'ideologia della Riforma protestante. Alla loro testa si trovava L. Sozzini che, appena cominciata l'inchiesta dell'Inquisizione vescovile, aveva fatto ritorno a Padova (8 genn. 1545). Dall'epistolario del Pecci risulta che era proprio il C., assieme al Falconetti a mantenere i contatti diretti e continui tra il Sozzini e gli amici senesi. Non sappiamo se possa essere datata a questo periodo (1544-45) la sua adesione completa alla dottrina religiosa della Riforma. Quello che possiamo dire è che il C., dopo quanto era avvenuto, non poteva non essere al corrente delle idee dei suoi compagni implicati nella vicenda del disiénso religioso organizzato. Il fatto di continuare a frequentare il Sozzini (anche solo per lettera) nel suo soggiorno padovano e a fargli da tramite con Siena segnala un dato che non può essere passato sotto silenzio. Per quanto riguarda la definizione di questo periodo è poi opportuno ricordare che il giro frequentato dal C. va allargato alle persone di A. e M. Piccolomini, di C. Tolomei e A. F. Doni. B. Buoninsegni e C. Sozzini. Non siamo invece in grado di poter affermare con qualche margine di sicurezza se la familiarità con gli ambienti fiorentini stesse già a significare una precisa scelta di campo mediceo sul terreno politico. Il rapporto con i Piccolomini (due intellettuali filomedicei che allora stavano a Padova e che quando faranno ritorno nella loro città svolgeranno un ruolo di primo piano nell'organizzazione del consenso culturale intorno alla nuova forma dello Stato di Cosimo) suggerirebbe infatti una risposta positiva. Il fatto invece che nel 1549 il C. sia uno dei sette cittadini senesi a firmare il memoriale scritto e portato personalmente da L. Pecci, a Carlo V per convincerlo a non edificare la fortezza progettata dall'Albornoz per le truppe imperiali farebbe presupporre una risposta nettamente negativa.
L. Sozzini fece ritorno a Siena, direttamente dalla Svizzera dove si trovava fin dal 1547, dopo la ribellione della Repubblica alla dominazione spagnola e organizzò la sua predicazione per avviare la città alla Riforma durante o subito dopo la "recuperatione" dell'indipendenza politica. Il C., in un "ricordo" contenuto in una composizione poetica, colloca in questo periodo l'evento della sua definitiva "conversione" alla parola evangelica. Egli infatti, in'un'ode spirituale, ringrazierà il Signore di essere stato "tratto fore" da "ogni mondano errore" all'età di cinquant'anni. Per essere certi di questa concomitanza (persistendo l'indecisione sulla data di nascita) bisognerebbe controllare quando effettivamente avvenne la seconda svolta nella poetica del, Cinuzzi. Occorrerebbe cioè sapere fino a quando continuò la sua produzione morale. Dal momento della conversione infatti il C. abbandonò definitivamente la pratica della poesia profana e testimonierà pubblicamente del proprio rinnovamento, dedicando il suo fare letterario solo alle idee religiose che aveva abbracciato: "Invaghito di questi nuovi concetti, con quel diletto naturale che io tengo per la poesia, me gl'ò presi per soggetto et l'ho distesi in rime con imitare, in luogo del Petrarca e d'Horatio, il gran profeta Davide" (cfr. la dedica, cit.).
Nel 1557, passata ormai definitivamente la Repubblica senese sotto il dominio mediceo, i Sotzini si trasferirono da Bologna a Siena. Trascorso all'incirca un anno dal loro insediamento, cominciarono ad arrivare alle autorità i primi "avvisi" sull'attività crescente di "certe settarelle di heretici". Il capitano di Giustizia della città, N. Camaiani, che era stato sollecitato dai gesuiti a manifestare la situazione al duca, preparò una lista dei sospetti e un rapporto di polizia sulla loro attività (1558). Tra i nobili del gruppo eversivo, che verrà sottoposto ad una inchiesta terminata solo nel 1560-61, spicca il nome del C., che però era personalmente legato al governatore A. Nicolini e veniva unanimemente considerato come un "antico" e "fedele" servitore dei Medici. Benché fosse stato l'ultimo segretario della libera Balia senese prima della conquista (un, fatto da non enfatizzare dato che si trattava solo di un impiego nell'amministrazione dello Stato e non di una funzione con la quale identificarsi politicamente), egli era stato utilizzato - fin dal 1557 - come informatore delle azioni di resistenza della Repubblica "ritirata" in Montalcino e dei movimenti militari francesi nella zona, assieme a suo firatello Iacopo che, con il cugino Imperiale, era uno dei maggiori esperti senesi di arte bellica. Per tutto il 1559 e per gran parte del 1560, accanto agli altri tre "politici" del gruppo ereticale sozziniano (F. Buoninsegni, L. Pecci, N. Spannocchi), i quali si erano resi conto del vantaggio che la posizione di potere raggiunta nel quadro delle istituzioni medicee aveva portato alla loro effettiva libertà religiosa, il C. occupò le cariche di capitano del Popolo e (varie volte) gonfaloniere. Ma, soprattutto, svolse la sua missione - anche assumendo incarichi strettamente confidenziali - in vari comuni dell'antica Repubblica con il grado di commissario governativo. Il suo lavoro faceva dunque parte integrante della politica cosimiana di progressiva assimilazione di tutto il dominio senese al nuovo Stato toscano egemonizzato dai Fiorentini e agiva a livello di omogeneizzazione delle istanze locali al potere centrale. Deve essere stato proprio in relazione a questa appartenenza all'entourage mediceo senese gestito dal Nicolini che, allorquando nel settembre del 1560 si scatenò l'azione repressiva dell'Inquisizione che voleva liquidare in modo definitivo il gruppo sozziniano, il C. non venne incriminato. 1 così come 'non vennero sottoposti ad alcun procedimento gli altri politici aderenti (o sospettati di aderire) alla Riforma. Eppure, dalla analisi anche solo sommaria dei suoi componimenti poetici di contenuto religioso può emergere che probabilmente egli era stato l'autore di quei sonetti. contro la Chiesa romana che, abbandonati di notte per le strade, circolarono a Siena nel settembre del 1558, alla fine di un'azione che aveva visto l'alleanza tra le autorità medicee e il dissenso organizzato contro la pretesa gesuita di ingerirsi negli affari interni dello Stato toscano col pretesto della uniformità di religione. Basterebbe vedere come i temi che vengono considerati centrali nella propaganda del gruppo (stando al rapporto del Camaiani) sono affrontati e ristrutturati nel lavoro poetico del Cinuzzi. Ci si riferisce qui ai seguenti passaggi: la denuncia della proibizione romana della lettura personale dei testo evangelico sostituito dai "commenta" dei padroni della paroia di Dio; la definizione della liturgia cattolica come residuato di un feticismo che ha bisogno di oggetti reali per rappresentarsi la divinità; l'esibizione del rapporto di tipo mercantile che esiste nella ideologia della giustificazione per mezzo delle opere; la condanna radicale della violenza di cui fa uso sistematico il Papato per il mantenimento e il rafforzamento della sua "verità".
Che il C., durante tutta l'azione repressiva del gruppo ereticale dei Sozzini e nel periodo immediatamente seguente (quello in cui Camillo si era rifugiato in Svizzera, Cornelio ora detenuto nelle carceri romane dell'Inquisizione, Fausto aveva abbandonato Siena per Lione), si ritenesse personalmente abbastanza sicuro, emerge dal fatto che, avendo portato a termine cinquanta odi spirituali, egli le invia al duca Cosimo: le Odi spirituali rappresentano infatti il migliore prodotto della poesia protestante in Italia e vengono dedicate al Medici sulla base del fatto che un uomo d'animo così "religioso" le avrebbe gradite "almen nel soggetto".
La prima notizia di questo libretto riguarda la data del suo ordinamento definitivo e risale al gennaio del 1561. Se si accetta la tesi che il C. sia nato nel 1508 anziché nel 1503, la conversione del poeta sarebbe avvenuta intorno al 1558, cioè in concomitanza con l'arrivo dei Sozzini a Siena e con la conseguente formazione del gruppo ereticale: il libretto sarpbbe allora rappresentativo della svolta religiosa dell'autore e potrebbe essere addirittura la traduzione in versi dell'intera ideologia del gruppo dalla sua origine (1558) alla sua dispersione (1560). In questo caso acquisterebbe un'importanza di tale rilievo da condizionare ogni altra ricerca sulla storia della Riforma a Siena e dovrebbe essere analizzato con una strumentazione che sia in grado di trovare i singoli referenti di ogni allusione.
Questa ècomunque la storia del libretto. Il C. consegna, nei primi giorni di febbraio dell'anno 1561, un testo che porta il titolo Cinquanta odi spirituali ad un influente membro dell'Accademia degli Intronati: P. G. Salvestri. Questi avrebbe dovuto presentarlo personalmente a Cosimo in occasione della sua "fermata" a Siena facendo ritorno dal viaggio romano. E così effettivamente avvenne, tanto è vero che il duca annotò di sua mano il seguente commento al testo: "Le habbiamo ricevute molto voluntieri come cose molto belle e leggiadre, e in forma di nuova 1 poesia a presso di noi. Per haverne poche, e de le migliori no, e per nostro amore, ce le godremo" (commento sulla cui base dovrebbe essere stata scritta la risposta della Cancelleria medicea al Cinuzzi). Il 16 ottobre il C. scrive a Cosimo una lettera nella quale chiede "buona licentia alla pubblicazione: il libretto era venuto a notitia di molti" e i più l'avevano "persuaso e astretto" a darlo alle stampe. La richiesta a Cosimo era motivata dal fatto che, effettivamente, le Odi erano state donate al duca, come testimonia la dedica del mese di febbraio. In calce alla lettera autografa del C. il duca dettò lo schema della risposta: "L'haremo molto caro per esser molto belle". La licenza cosimiana è da considerarsi come qualcosa di straordinario, se si pensa che l'anno precedente, "stante le prohibitioni di Sua Santità in questa materia de' libri", aveva fatto in modo che B. Tasso non gli chiedesse il privilegio di stampare le sue Odi (che presentano gli stessi problemi ideologici di quelle del C.) nello Stato toscano. Intanto il libretto contenente le Odi circolava in forma manoscritta, come attesta una lettera di G. Bargagli a G. Franchi (Siena, 8 nov. 1561). Una lettera dalla quale si viene a sapere che non solo il testo veniva considerato dai "Senesi" di grande importanza e degno di diffusione, ma anche che "tra breve" sarebbe stato disponibile a stampa (come attesta lo scambio epistolare tra l'autore e Cosimo). Inoltre - ed è questa la cosa di maggiore importanza - il libro era atteso da Fausto Sozzini che si trovava a Lione. Attraverso Genova, dove abitava il Franchi incaricato di trasmetterlo in Francia, il testo raggiunse dunque anche l'ambiente degli "eretici" italiani all'estero. E, in particolare, si trovò nella casa del mecenate Matteo Balbani, nella quale convenivano gli intellettuali riformati lucchesi.
Eppure, nonostante fi privilegio cosimiano, le Odispirituali non vennero pubblicate: né allora, né poi. Tra i regesti del tabulato mediceo non si trova alcuna traccia di un ulteriore proseguimento della questione. Non siamo dunque in grado - su questa base - di ricostruire i meccanismi attraverso i quali venne bloccata la stampa. Possiamo tuttavia dire che un controllo appena supefficiale effettuato da un qualsiasi teologo preposto al nihil obstat avrebbe immediatamente rivelato che il "referente" (anche solo linguistico) dell'opera si collocava interamente, nonostante l'apparenza, al di fuori della cosiddetta "spiritualità" della Controriforma. E, a questo proposito, basterebbe fare una comparazione con le composizioni religiose controriformistiche contenute nelle Opere toscane di L. Battiferri, uscite in quel tempo a Firenze e vivamente applaudite da F. Sozzini in una lettera di omaggio scritta dal Bargagli a B. Ammannati. L'opera principale del C. rimase così manoscritta e sepolta tra le carte granducali fino a che, nel sec. XVIII, attraverso una procedura della quale non siamo in grado di dare alcuna informazione. l'originale venne fatto sparire dall'archivio (certamente da una persona che sapeva leggere il suo contenuto non ortodosso) e due copie coeve vennero vendute rispottivamente a H. Puckering e ad A. Marmi dai quali - in, seguito - pervennero alla Trinity College Library di Cambridge (cod. 625. 1°) e alla Biblioteca nazionale di Firenze (Fondo Magliabechiano, cl. VII, cod. CXLV).
Dopo la dispersione dei gruppo ereticale senese il C., come gli altri membri politici dell'organizzazione religiosa, i quali Si rinchiusero nelle loro professioni, ritornò a quel lavoro che gli garantiva un salario decente: le "podesterie" (dal capitano di Giustizia in seguito promosso governatore veniva considerato "persona di buono spirito e belle lettere" ma "poco accorto nel governare il suo patrimonio" e tuttavia meritevole di essere utilizzato dall'amministrazione per l'esperienza che aveva accumulato e per l'impegno che mostrava). Questo vuol dire che il C. accettò di tornare a svolgere la funzione di commissario governativo o podestà di alcune Comunità del "dominio nuovo". Ricordiamo che nel 1563 ebbe il capitanato di Montalcino e nel 1567 quello di Massa Marittima. Ricoprì inoltre le cariche di deputato al Monte dei paschi nel 1572 e membro della Balia nel 1571 e nel 1576. È probabilmente in seguito a questa lunga emarginazione dalla vita cittadina degli anni Sessanta che il C. non venne preso nella rete repressiva del 1567-68 (anche se è vero che essa, per quanto riguarda H territorio senese, investi dei gruppi religiosi - come quello di A. Benvoglienti e F. Cioni - che non avevano avuto rapporti con i sozzmiani per via della loro precocità). Il suo caso venne invece alla luce dieci anni più tardi, quando ormai il C. si era ritirato a vita privata (le candidature alla carica di capitano di Giustizia per Grosseto e la richiesta di un capitanato qualsiasi presentate nel 1575 e nel 1576 non erano state prese in considerazione nonostante il parere positivo del governatore). Il primo infatti a cadere nell'ultima azione organizzata dall'inquisitore senese per controllare la salute spirituale della città, eliminando anche i residui del passato indipendentemente da ogni valutazione sulla situazione attuale, fu proprio il C., che - dopo la partenza definitiva di tutti i Sozzini dalla Toscana - era ormai l'ultimo e unico crede del gruppo sozziniano (gli altri, salve, il Pecci, erano tutti morti).
L'azione presenta il seguente andamento. Il 17 ott. 1578 il cardinale G. Savelli scrive al granduca. di Toscana di "dar ordine" che, ad istanza del Santo Uffizio romano dell'Inquisizione, venga incarcerato il Cinuzzi. Francesco I fa approntare due lettere che portano la data del 21 ottobre. La prima è indirizzata a F. Montaguti e dà incarico di provvedere all'arresto dell'indiziato. La seconda viene spedita al Savelli per assicurare le autorità romane che la loro richiesta aveva trovato immediato accoglimento. Ambedue le missive rendono testimonianza del fatto (Spiegando anche il rigetto delle domande d'impiego del 1575-76) che si era ormai perduta ogni memoria dei "servigi" politici resi dal C. alla formazione dello Stato cosimiano. Nonostante il suo cognome giungesse a Siena leggermente storpiato confondendolo con quello di un'altra, ben, più potente, casata (i Ghinucci, che rischiarono di trovarsi coinvolti in una vicenda alla quale erano del tutto estranei), non fu difficile per il capitano di Giustizia identificare nel vecchio "poeta" l'uomo che il Santo Uffizio voleva a Roma. Il C. venne arrestato il 2 di novembre e, una volta presi gli accordi necessari per la sua consegna agli emissari dello Stato pontificio, fu a disposizione del Santo Uffizio (la pratica venne conclusa il giorno 23). L'inquisitore di Siena, P. Urbani, che si muoveva con molta autonomia, volle tuttavia interrogarlo e ricevette la confessione delle "molte imperfetioni sue". Tenuto conto dell'età avanzata dell'imputato e delle sue assai precarie condizioni di salute, l'Urbani gli assegnò la pena del domicilio coatto invece di inviarlo direttamente a Roma. Verso la metà di gennaio però, nonostante gli fosse stato garantito che la causa sarebbe stata istruita a Siena, il C. venne informato che entro il giorno 15 del mese successivo avrebbe dovuto presentarsi personalmente úavanti al tribunale del Santo Uffizio romano. Il C. decise allora di ricordare al granduca il debito che la casa medicea aveva nei suoi confronti e scrisse una lunga, patetica lettera a Francesco I, insistendo anche sul fatto che le ormai disagiate condizioni ecoriomiche della famiglia non gli avrebbero permesso di sopportare le spese del viaggio e della detenzione romana. Ma se Cosimo, a. suo tempo, aveva perfino pensato di far avvisare i Sozzini direttamente dal governatore perché si allontanassero dalla città nel caso'in cui l'Inquisizione avesse voluto metter loro "le mani addosso", il granduca Francesco si limitò a consigliare un pronto adeguamento all'ordine ricevuto. E al C. non restò allora che obbedire. Venne incamminato alla volta di Roma dove fu rinchiuso in carcere in attesa dello svolgimento del processo: un lungo lavoro che durò fino al 1583.
Quando venne liberato (non sappiamo se dopo un'abiura) e tornò nella sua città, riprese ancora, per l'ultima volta, il suo vecchio mestiere di poeta e scrisse un inno consolatorio a s. Caterina: testimonianza definitiva della violenza con la quale si era ottenuta la sua ortodossia in cinque anni di carcerazione.
Non si possono determinare i motivi specifici dell'accusa e neppure quelli generici: nelle fonti disponibili manca infatti qualsiasi riferimento a questioni dottrinali (secondo il costume ormai invalso nei rapporti epistolari tra lo Stato toscano e la Chiesa romana dopo gli anni Settanta). Non si andrà tuttavia lontani dal vero se si afferma che l'inchiesta doveva avere qualche riferimento alla sua precedente attività creticale nel gruppo sozziniano (e ce lo conferma Panalisi dell'elenco degli altri imputati in quel periodo tutti chiamati a Roma per rendere conto dei loro trascorsi e non perché attualmente impegnati nella propaganda riformata). Il quadro di riferimento più pertinente è il processo celebrato contro il contumace Camillo Sozzini che viveva in Svizzera ed era divenuto uno dei più attivi agitatori del radicalismo religioso (la sentenza romana di scomunica e condanna è del 1580 e a Siena venne resa esecutiva dall'Urbani). Ma, a parte questo quadro generale (in cui veniva collocata anche la partenza di Fausto Sozzini per Basilea: un gesto inatteso che riproponeva il problema del gruppo senese che gli aveva fatto da supporto), si può fare anche un'ipotesi più particolare. Durante il pontificato di Pio V era stato scritto un violento poema anticlericale che portava il titolo De la Papeide. Esso rappresenta un atto d'accusa nei confronti del pontificato romano che può essere agevoImente collocato accanto alla più famosa Actio in Pontifices Romanos di Aonio Paleario. Ha il vantaggio però, nei confrontii di quest'ultima, di essere scritto in lingua italiana e in endecasillabi di straordinaria scorrevolezza. I due libri che lo compongono si presentano come un "manifesto" disperato dei protestanti italiani sottoposti alla violenza del padrone della Chiesa cattolica ("E s'altri contra dice ei ben lo prova / Argomentando con bargelli e boi / Prigion, catene, e ferro, e fuoco, et onde") e abbandonati perfino dai loro legittimi sovrani che avrebbero dovuto difenderli in nome della giurisdizione ("... A un sol suo cenno / Vede tremanti i principi ubidirli. / ... / E darli in preda i fidi lor vassalli"). Non abbiamo notizie sulla circolazione cinquecentesca di questo pamphlet anonimo e inoltre non si è mai trovata alcuna traccia della sua presenza nelle biblioteche e negli archivi d'Italia. Ma il codice di Cambridge che contiene le Odi spirituali riesce a dare un nome all'autore dei poema: e si tratta del Cinuzzi. Nella seconda parte del libretto consegnato dal Puckering (da p. 77 a p. 931, dopo la canzone spirituale "Perché ti credi lingua esser creata", trova posto il poema nella sua interezza. È alla Papeide che dunque può riferirsi la così tarda carcerazione romana e il lungo processo.
Non conosciamo la data di morte del C., che però dovrebbe essere di poco posteriore al 1591 (l'ultimo documento pubblico senese che lo ricorda in vita è del 1585; h dedicatoria del Rapimento di Proserpina è del 1592).
Fonti e Bibl.: Siena. Bibl. com., Z. I. 6-8: U. Benvoglienti, Scrittori senesi, cc. 46, 699, 1230; Ibid., p. IV. 7: G. A. Pecci, Indice degli scrittori di nazione sanese, c. 67; Ibid., p. IV. 10-11: [S. Bichi Borglesi] Bibliogr. degli scrittori senese, advocem., L. De Agelis, Biografie degli scrittori senesi, Siena 1824, pp. 243-245; L. Ilari, La Biblioteca pubblica di Siena, Siena 1844-48, ad Indicem; [L. Grottanelli], Canzone a s. Caterina da Siena, Siena 1866, Introduzione;V. Marchetti, Notiziesulla giovinezza di F. Sozzini da un copialetteredi G. Bargagli, in Bibliathéque d'Humanisme etRenaissance, XXXI(1969), pp. 81-85; Id., Sull'origine e la dispers. del gruppo ereticale dei Sozzini a Siena (1557-1560), in Riv. stor. ital., LXXXI (1969), pp. 138 s., 141-143; Id., Ultime fasi dellarepressione dell'eresia a Siena nel tardo Cinquecento, in Rassegna degliArchivi di Stato, XXX(1970), pp. 62-65; Id., Gruppi ereticali senesi del Cinquecento, Firenze 1975, pp. 62, 64, 131, 145, 150-153, 162, 169 s., 210, 244; P. O. Kristeller, Iter Italicum, II, p. 511.