CAPPELLO, Marcantonio
Nacque ad Este attorno alla metà del sec. XVI. Divenuto minore conventuale, si dedicò, finiti gli studi, all'insegnamento di filosofia e teologia nelle scuole del suo Ordine, insegnamento che esercitò in varie sedi e, infine, a Venezia nel convento di S. Maria Gloriosa dei Frari dove riscosse stima per serietà di condotta e di magistero. Al periodo veneziano risalgono la deferente amicizia che lo legò ad Antonio Possevino e la simpatia manifesta per l'operato della Compagnia di Gesù; il Possevino gli ricorderà come avesse "fatto lungamente professione di difendere i giesuiti anco in publico", e come si fosse accostato a lui dottrinalmente al punto da riferire, "con molta sincerità, et zelo", il contenuto dei suoi libri, agli scolari. Scoppiata la contesa dell'interdetto, il C., dopo qualche esitazione iniziale, aderì pubblicamente alle ragioni della Repubblica sì da figurare tra i sette teologi garanti della liceità e dell'ortodossia dei suoi atti.
A detta del Possevino - fonte interessata, ma comunque l'unica in proposito -, il C. era inizialmente ben lontano dalle tesi dei fautori di Venezia; si sarebbe al contrario accinto a confutare la Difesa... dell'otto propositioni, nella quale il prete napoletano Giovanni Marsilio non aveva esitato a polemizzare duramente col cardinal Bellarmino. Ma il doge Leonardo Donà, interessato ad avere dalla sua parte il C. che tutti conoscevano quale frate "di vita intiera et molto fondato teologo", riuscì, con blandizie ed allettamenti, a farlo "complice alla tela da lui ordita". Sì che il C., lusingato dall'attenzione di illustri personaggi, ricompensato con la lettura di metafisica a Padova e inoltre con un vitalizio alla madre ed un impiego pel fratello, abbandonata l'intenzione di ribattere le asserzioni del Marsilio, passò ad appoggiare - non senza, però, intima riluttanza, insiste il Possevino - nella maniera più compromettente la lotta della Repubblica.
Il C. avalla, quale "revisore de' libri", la cattolicità del persuasivo Aviso delle ragioni... di Venetia di Antonio Querini e della pungente Antiparaenesis scritta da Nicolò Crasso contro il cardinal Baronio, e, gesto ancor più qualificante, - sottoscrive, con gli altri "teologi", il sistematico Trattato dell'interdetto steso da Paolo Sarpi. Queste prese di posizione indussero il Possevino a scrivergli, il 17 ott. 1606 da Bologna, una lettera assai risentita. Ove però l'asprezza dei rimbrotti era temperata da una rinnovata professione di affetto e dall'invito a por fine allo "scandalo" ritornando all'obbedienza a Roma. Il C. reagì pubblicando, assieme, la Lettera del P. ... Possevino, e la sua Risposta, del 3 nov. 1606, nella quale con fermezza affermava "non solo di non haver peccato, ma di haver meritato molto appresso Dio" assumendo la "difesa" del suo "prencipe catolico... inocente, et infamato a torto". E motivava ampiamente questa sua convinzione facendo uscire, alla fine del 1606, una diffusa esposizione in sei "parti", Delle controversie tra il… pontefice... et la… republica... Il Parere, nella quale sostiene, come tutti gli autori favorevoli a Venezia, che il "Prencipe è padrone della vita, e... della robba de tutti i sudditi suoi"; che "ogni grado clericale" è a lui soggetto per quanto attiene al "governo politico"; che, laddove il papa pretende di disporre "nelle materie, nelle quali può errare", è "lecito" ai fedeli "giudicare et esseguire il contrario".
Per quanto non privo di punte polemiche, lo scritto era, nell'assieme, pacato, in certi punti addirittura conciliante, e si concludeva colla proclamata disposizione "a mutar opinione", se "persuaso" dell'errore. Ma proprio per questo parve pericoloso: "con la sua molta apparenza di dottrina" - affermava il cardinale Benedetto Giustinian -, turba e svia "gli animi di molti che non sanno più che tanto". E la Congregazione dell'Indice ne giudicherà, il 19 maggio 1607, "unanimementer" eretiche dodici proposizioni.
Virulenta e libellistica è invece la confutazione, che il C. pubblicò all'inizio del 1607 con lo pseudonimo di Fulgentio Tomaselli, di una esacerbata Invettiva antiveneziana fatta uscire dal Possevino, a sua volta coperto dallo pseudonimo di Giovanni Filoteo d'Asti. Frigide esagitazioni verbali che non scoraggiarono il gesuita dal proseguire nell'invio di lettere al C. con sempre più pressanti insistenze per indurlo alla fuga. Tanta tenacia venne premiata: il 25 marzo 1607 poteva annunciare, infatti, esultante l'arrivo a Bologna del C., fuggito da Venezia "travestito" e condotto "con una gondola... senza intoppar in alcuno alle Papozze". Troppo tardi, il 26 marzo, i capi del Consiglio dei dieci avvisavano i podestà di Chioggia e Rovigo dell'improvvisa scomparsa del C., ingiungendo loro di ricercarlo e di farlo tornare. Non restò che la magra consolazione di screditarlo facendo stampare nello stesso anno la Risposta, lasciata incompiuta dal C., al Discorso... sopra i fondamenti,e le ragioni delli SS. Veneziani dell'inquisitore generale di Firenze, il minore conventuale Lelio Medici.
Antitetiche le spiegazioni del voltafaccia, così repentino, del C.: pel Possevino trattasi di un gesto coraggioso a riscatto di una serie di cedimenti, subiti più che voluti; a Venezia lo si attribuì invece ad un moto di dispetto per un mancato compenso - proprio in quei giorni, il 22 marzo, al servita Fulgenzio Micanzio era stata assegnata una pensione di 100 ducati annui -, un accorrere senza dignità verso promesse prebende. Ipotesi, questa seconda, forse più attendibile: una volta a Roma il C. non si periterà dal tentare di arraffare, sotto falso nome, una pensione di 100 scudi dalla parrocchia di S. Pietro in Montagnone nel Padovano.
La defezione, mentre era ancor viva la contesa, rappresentò per la Repubblica uno scacco e per la propaganda avversa un successo di cui menar vanto, un esempio edificante da proporre all'imitazione degli altri teologi della Repubblica, specie al Sarpi. Il C., accolto a Bologna con "molta amorevolezza" dal legato cardinal Giustinian, sottoposto ad esercizi spirituali dal Possevino, ripudiati i suoi scritti, proclamata la totale immunità "omnium rerum sacrarum a potestate principum laicorum", si recava quindi a Roma ove veniva "spedito dal S. Officio et assoluto"; e, il 14 luglio 1607, si recava "a' piedi di Nostro Signore" a ringraziarlo della "protettione" accordatagli.
Ha così inizio la seconda fase dell'esistenza del C., quella romana. Non mancano, all'inizio le amarezze: contro ogni promessa la sua "abiuratione", che doveva rimanere segreta, viene conosciuta a Venezia ed il C. ne rimane umiliato; la benevolenza di Paolo V nei suoi confronti gli suscita contro "l'invidia" dei confratelli; ha delle difficoltà finanziarie, dei momenti di avvilito scoramento. "È in malissimo stato - scrive di lui Sarpi al Groslot de l'Isle il 16 marzo 1610 - per non avere di che vivere, e per il timore che il mal d'altri", quanto cioè stava capitando ad un altro transfuga da Venezia, il minore osservante Fulgenzio Manfredi, "l'insegna aver". Ma, con cautela e furbizia, riuscì a superare i "molti intoppi", cui accennava anche l'ambasciatore veneziano Francesco Contarini in una lettera al Senato del 10 dic. 1608, e ad ottenere una sistemazione soddisfacente.
Paolo V lo volle esaminatore del S. Ufficio e indusse i suoi superiori a conferirgli il titolo di provinciale per l'Oriente. Un ruolo preminente riveste in occasione del capitolo generale dei conventuali del 13 maggio - 19 giugno 1617, come segretario della Congregazione dei nove provinciali incaricata di redigere "constitutiones" valide "pro reformatione Ordinis, et pro introducenda in universa Religione observantia vitae communis". Chiuso il capitolo, inoltre, spettò al C. elaborare, assieme al generale dell'Ordine Giacomo Montanari e a Fausto Garganelli, un testo più breve ed elegante da sottoporre all'esame di due canonisti e, quindi, all'approvazione papale.
Il C. non trascura, nel frattempo, di riscattare la sua penna partecipando, sia pure modestamente, all'imponente coro della pubblicistica controriformista. I suoi scritti posteriori all'abbandono di Venezia si collocano in un periodo caratterizzato da un fervore di ricerche nell'ambito della storia ecclesiastica e dell'esegesi testuale e in questo si sperdono; il C. era troppo preoccupato di ostentare, sulla base della più sorda intransigenza, la sua incondizionata adesione all'interpretazione più estensiva del primato papale, di facilitarsi la carriera intervenendo in tutte le questioni che offrissero il destro di sostenere tesi gradite al pontefice, per pubblicare qualcosa che durasse oltre le contingenti motivazioni, esterne. Va considerato pertanto, al più, un non inabile controversista autore di opere non maggiormente durevoli delle esigenze di propaganda che le avevano ispirate.
Il C. esordisce con un Adversus praetensum primatum ecclesiasticum regis Angliae in quo Iacobi regis,et eius elemosynarii confutantur scripta (Bononiae 1610, riedito a Colonia nel 1611 e in Bibliotheca maxima pontificia, a cura di G. T. di Rocaberti, XVI, Romae 1698, pp. 140-230), ove sostiene, contro Giacomo I e Lancelot Andrews, che il sovrano non ha alcuna autorità d'imporre il giuramento di fedeltà ai cattolici inglesi e che questi non possono, senza colpa, prestarlo. Seguono le Disputationes duae,prior de summo pontificatu B. Petri,posterior de successione episcopi Romani in eundem pontificatum,adversus anonymos duos..., uscite a Colonia, con ritardo di almeno due anni in seguito a smarrimento del manoscritto, nel 1621 (e ristampate in Bibliotheca maxima pontificia, XVI, pp. 1-139), in polemica con due scritti comparsi nel 1617 anonimi, ma dovuti in realtà a Jacques Godefroy e a Marcantonio De Dominis. Col secondo il C. continua a polemizzare nella De appellationibus ecclesiae Africanae ad Romanam sedem dissertatio (Parisiis 1622), che verrà ripubblicata, con qualche modifica al testo introdotta successivamente dal C., altre volte (in Bibliotheca maxima pontificia, XVI, pp. 231-251; con premessa biografica sul C., a cura di G. Bortoni, a Roma nel 1722; con commento e confutazione in C. M. Pfaff, Introductio in historiam theologiae literariam..., III, Tubingae 1726, pp. 40-174).Ma il nome del C. resta legato a quello dell'ex arcivescovo di Spalato, più che per questi scialbi e opportunistici attacchi, per la inedita Lettera ad un religioso suo amico,nella quale lo ragguaglia della causa di M. Antonio De Dominis... condennato dalla Sacra Congregatione de' sopremi inquisitori come ricaduto in heresia l'anno 1624 a' 21 dicembre, di notevole interesse, non già per quanto attiene alla prevedibile difesa d'ufficio del pontefice e alla scontata accusa di malafede scagliata contro il De Dominis, ma per il particolare tipo di eresia imputato dal C. allo sfortunato dalmata. "Il cuor suo non capiva alcuna fede" che "l'adiaforia", afferma, senza alcun dubbio, il C. conferendo al termine l'accezione di colpevole vagheggiamento d'una ritrovata concordia tra cattolici ed eretici d'ogni sorta, sul terreno d'un cristianesimo ridotto al simbolo apostolico e alle definizioni dei primi quattro concili generali.
Non trascurabili, tra gli inediti del C., altri due scritti: il De iure religionis in politia bene et rite instituta ex primis principiis iuris naturalis,et ex veritate praecipuorum articulorum fidei christianae liber, ove, pur nel rifiuto delle tesi del cattolico inglese Roger Widdrington - a parere del quale il clero, come parte della comunità, è soggetto al principe -, traspare una più meditata concezione del potere papale, non illimitato "in temporalibus", ma esplicabile solo "ad eum finem cuius gratia pontificatus explicatus est, qui religionis fidei aeternae salutis limites non excedit"; la Quo iuresit prohibita clericis mercatura. Disputatio duplex, nella quale, a proposito di una causa "inter civitatem Barchinonensem" e i canonici di quella cattedrale, per un panificio gestito da questi ultimi, definisce "turpe et illicitum" il guadagno dei secondi, da condannare del tutto "cum sit aperte contra ius canonicum".
Dopo aver pubblicato un Ragionamento funebre per l'esequie di Lucrezia Tomacelli…(Roma 1623), le Regole di s. Agostino,s. Benedetto e s. Chiara... raccolte... per uso delle monache di Bologna... (Bologna 1623), una Dissertatio de coena Christi suprema... (Parisiis 1625), contro il De anno primitivo...di Girolamo Vecchietti - e non torna certo ad onore del C. l'attacco ad un uomo già condannato alla prigione, per questo suo volume, dall'Inquisizione - il C. morì a Roma il 21 sett. 1625.
Fonti e Bibl.: I tre inediti citati del C. sono conservati nella Bibl. Apost. Vat., Barb. lat. 1309, 1310 e 5317, cc. 84r-139v; un'ampia utilizzazione in italiano delle Disputationes duae, ora stralciate ora riassunte, Ibid., Barb. lat. 832; tre lettere del C., del 1º, 8, 15 luglio 1622 a Girolamo Aleandro, Ibid., Barb. lat. 6457, cc. 112r-113v, 153, 204. Lettere del C. e del Possevino sul C. sonoriportate in P. Pirri, L'interdetto di Venezia del 1606 e i gesuiti, Roma 1959, pp. 309-322 passim. Sulla conoscenza dell'"abiuratione" del C. a Venezia, lettere del cardinal Borghese al nunzio Gessi del 13 ott. 1607, 26 febbr., 29 marzo, 12 apr. 1608 e del Gessi al Borghese del 9 febbraio, 8 marzo, 9 apr. 1608, in Arch. Segreto Vaticano, Nunziatura Venezia, 38, cc. 248r, 265r, 279v, 310v, 311r; 39, cc. 31r, 52v-53r; 60 e 41, c. 292v. Cenni sul C. in lettere del 9 e 12 maggio 1607 di fra' Diodato al servita Antonio da Viterbo e in lettera del cardinal Delfino al nipote Alessandro Contarini del 15 genn. 1607 in Arch di Stato di Venezia, Consultori in iure, rispettivamente filze 453 e 548, e in lettera citata dell'ambasciatore Contarini, Ibid., Senato. Dispacci Roma, filza 60 n. 23; Ibid., Riformatori allo Studio di Padova, 168, Nota de' libri che non devono capitare in Venetia et nel stato; copia delle "censure" al Parere del C.in Venezia, CivicoMuseo Correr, cod. Cicogna 3287/XII; sulla pensione pretesa dal C. sotto falso nome, Ibid., cod. Cicogna 2630/VIII, c. 113r; Calendar of State papers ... relating to English affairs existing in the archives ... of Venice, a cura di H. F. Brown, London 1900-1905, X, p. 499; XII, pp. 46, 125 s.; P. Sarpi, Lettere ai protestanti, a cura di M. D. Busnelli, II, Bari 1931, p. 115; Id., Istoria dell'Interdetto..., a cura di G. Gambarin, Bari 1940, I, p. 205; II, pp. 1, 256 s.; L. E. Dupin, Bibliothèque des auteurs ecclésiastiques du dix-septième siècle, I, Paris 1719, pp. 22-30; I. F. Niceron, Mémoires pour servir à l'histoire des hommes illustres..., XXIII, Paris 1733, pp. 1-8; A. Angelieri, Saggio istorico intorno alla condizione di Este, Venezia 1745, pp. 106-109; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, Padova 1832-1836, I, pp. 222-225; II, pp. 333-334; E. Cornet, Paolo V e la Repubblica veneta. Nuova serie di documenti (1605-1607)…, in Archivio veneto, VI (1873), pp. 111 s.; B. Cecchetti, La Republica di Venezia e la corte di Roma..., II, Venezia 1874, pp. 459, 472, 476, 477; G. Capasso, Fra' Paolo Sarpi e l'interdetto di Venezia, Firenze 1879, pp. 184-186, 207, 215, 245; G. Pietrogrande, Biografie estensi, Padova 1881, pp. 61-70; F. Scaduto, Stato e Chiesa secondo fra' Paolo Sarpi e la coscienza pubblica durante l'interdetto di Venezia del 1606-1607, Firenze 1885, pp. 173-213 passim; Carlo Emanuele I e la contesa fra la Repubblica veneta e Paolo V (1605-1607). Documenti, a cura di C. De Magistris, Venezia 1906, p. 466; E. d'Alencon, M. A. C., in Dictionnaire de théologie catholique, XII, Paris 1910, coll. 1683-1684; F. A. Benoffi, Memorie minoritiche dal 1560 al 1776, in Miscellanea francescana, XXXIII(1933), pp. 101 s.;C. M.Francescon, Chiesa e Stato nei consulti di fra' Paolo Sarpi, Vicenza 1942, p. 68 n. 496; A. van den Wyngaert, M. A. C., in Dictionnaire d'Histoire et de Géographie Ecclésiastiques, XI, Paris 1949, coll. 852 a.; G. Nuvolato, Storia di Este e del suo territorio, Este 1956, pp. 538-540; M. D'Addio, Il pensiero politico di Gaspare Scioppio e il machiavellismo..., Milano1962, p. 655; W. J. Bouwsma, Venice and the defense of republican liberty…, Berkeley-Los Angeles 1968, pp. 380-635 passim; I. Cervelli, Machiavelli e Paruta, Firenze 1970, pp. 53 s.; G. Benzoni, I "teologi" minori dell'Interdetto, in Archivio Veneto, XCI(1970), pp. 48, 88-108; G. Piaia, Aristotelismo,"heresia"e giurisdizionalismo nella polemica del p. A. Possevino contro lo Studio di Padova, in Quaderni per la storia dell'Univers. di Padova, VI (1973), pp. 127 n. 2, 144; P. Mazzatinti, Inv. dei manoscritti delle Bibl. d'Italia, LVI, p. 92.