CALEFATI, Marcantonio
Di nobile e antica famiglia pisana, di cui un ramo è attestato anche in Sicilia, nacque a Pisa il 1ºmaggio 1545 da Giovanni Girolamo e da Lisabetta di Francesco Buzzaglia. Il 12 marzo 1568, dopo che già aveva partecipato alla guerra di Malta (1565) e a quella di Ungheria (1566) contro i Turchi, prese a Pisa l'abito di cavaliere dell'Ordine di S. Stefano.
L'attività del C., che già nel marzo 1571 aveva compiuto due viaggi di corsa e i prescritti mesi di navigazione prendendo parte a varie imprese, tra le quali la battaglia di Lepanto, s'inserisce nell'ambito della politica mediterranea dei granduchi di Firenze. I documenti infatti segnalano, nell'arco della carriera del C., tutta una serie di imprese di corsa sia contro i Turchi di Levante sia contro i potenti e pericolosi pirati di Algeri, il cui scopo era espansionistico non meno che difensivo.
Nominato capitano di galea il 1ºgenn. 1578, troviamo il C., l'anno seguente, all'impresa di Colle in Barberia, fortezza che egli occupò traendone grande preda, e quindi a quella di Capo Buono. Il 28 maggio 1582 il granduca Francesco I lo nominò viceammiraglio della flotta toscana. Dopo vari scontri con i Turchi a Cipro e a Biserta, dai quali traeva ricco bottino a vantaggio delle casse granducali, il C. incrociava nell'ottobre 1583 nell'arcipelago toscano minacciato dalle ricorrenti scorrerie delle navi di Algeri.
Fu in questa occasione che la nave del C., sorpresa da una tempesta, fece naufragio alle Formiche; trovato riparo nell'isola di Montecristo, dopo avere atteso invano soccorsi, il C. fu costretto da una rivolta dei suoi uomini a consegnarsi ai Turchi. Condotto in Barberia prima, a Costantinopoli poi, rimase prigioniero dei Turchi fino al 1589, se ancora a questa data il gran maestro di Alalta e l'ambasciatore cesareo a Costantinopoli si affannano a ottenerne la liberazione. Ritornato in patria - mancano notizie sia cronologiche sia sul modo in cui la vicenda si concluse - il C. riprese servizio sotto l'ammiraglio Francesco di Montauto.
Nell'aprile 1595 fu fatto luogotenente generale delle galee; ma i rapporti tra il nuovo luogotenente e l'Ordine di S. Stefano non dovevano essere molto cordiali se, come si ricava da un memoriale che risale all'anno 1597, il C. fu costretto a discolparsi presso il granduca Ferdinando I delle accuse che l'Ordine gli muoveva (oltre che di immoralità e di appropriazioni indebite, lo si accusava di abusare del suo potere sulle galee e lo si riteneva responsabile del naufragio della sua nave nel 1583); a questi dissidi con i cavalieri di S. Stefano si deve evidentemente se egli da questo anno s'imbarca sempre meno frequentemente e se chiede al granduca licenza di rimanere a terra. Nel 1598 accompagna in Spagna don Giovanni de' Medici. All'anno 1599 risale rimpresa più ambiziosa della politica di Ferdinando I di espansione sul Mediterraneo: lo sfortunato sbarco a Scio.
L'impresa, per la quale furono impiegate cinque galee sotto il comando del gran conestabile don Virginio Orsini, mentre Bartolomeo di Monteauto guidava la fanteria, mal preparata e mal condotta, si risolse in un disastro completo. Il Monteauto vi moriva, mentre il C. non ne trasse diminuzione del proprio prestigio se in questo stesso anno fu nominato generale ammiraglio.
Nel settembre 1600 le galee della flotta toscana furono occupate in servizio della corte granducale per il matrimonio di Maria de' Medici con Enrico IV di Francia: il C. accompagnò la sposa in Francia con la nave ammiraglia. Nonostante l'alto grado ricoperto non sembra che il C. fosse soddisfatto dei vantaggi che ne traeva, se si lamenta, in più lettere (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo)al granduca Ferdinando, per ottenere più sostanziosi appannaggi. Nel 1601 l'armata cattolica, sotto la guida del genovese Gian Andrea Doria, si riunì a Trapani in un estremo tentativo di stroncare la potenza navale di Algeri; l'impresa, cui il C. aveva partecipato con la flotta granducale, fallì. Fu questa l'ultima impresa di un qualche rilievo alla quale il C. prese parte; l'anno seguente, 1602, infatti moriva a Livorno, il 10 novembre, in seguito a delle ferite che aveva riportato nel corso di una lite.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo, f.2077, c. 609 (rapporto originale del C. sul suo naufragio); f.261, c. 181; f. 266, c. 91; f. 276, cc. 20, 90, 118; f.2081, cc. 21-23, 138, 150-155, 271-273; Arch. di Stato di Pisa, Stefaniano, Provanze, f.2, p. 1; Libro Prede; Libro di apprensione d'abito, f. 1786, c. 27; F. Fontana, I pregi della Toscana nelle imprese più segnalate dei Cavalieri di S. Stefano, Firenze 1701, pp. 8991; M. Battistini, L'ammiraglio I. Inghirami e le imprese dei cavalieri dell'Ordine di S. Stefano contro i Turchi nel 1600, Volterra 1912, p. 14; Id., L'ammiraglio M. C. dell'Ordine di S. Stefano, Pisa 1915; N. Giorgetti, Le armi toscane e le occupazioni straniere in Toscana. 1537-1860, Città di Castello 1916, I, pp. 343, 346, 349; G. G. Fontana, Cavalieri di S. Stefano, Pisa 1928, p. 324; Ph. P. Argenti, The expedition of the Florentines to Chios (1599), Oxford 1934, pp. XVIII, XXI, 21, 31 s., 197, 211, 215; A. Valori, Condottieri e generali del Seicento, Roma 1943, p. 64.