BORGHESE, Marcantonio
Appartenente ad una famiglia tra le più influenti del patriziato senese, nacque a Siena il 22 ott. 1504, da Giacomo e da Margherita Saracini, anche lei di nobile casata senese. Addottoratosi in giurisprudenza, il B., come era tradizione assai radicata nella sua famiglia, si rivolse con fortuna all'insegnamento pubblico del diritto nello Studio senese e all'esercizio dell'avvocatura. Secondo il Luttazi egli avrebbe anche esercitato in patria alcune magistrature, delle quali tuttavia non si hanno maggiori notizie, e gli sarebbero state affidate varie incombenze diplomatiche altrettanto imprecisate.
Pare comunque che sia da identificare con il B. un Antonio Borghesi, del quale il Pastor cita una relazione da Roma del 15 nov. 1545 alla Balia senese, che riferiva le voci allora correnti in Curia su un possibile rinvio dell'inaugurazione, già tante volte procrastinata, del concilio tridentino, a seguito delle ultime vicende della guerra smalcaldica. Questa identificazione è accreditata dal fatto che il B. fu effettivamente a Roma in quell'anno, poiché allora ottenne di essere ascritto al Collegio degli avvocati concistoriali, avendo cominciato effettivamente a esercitare le sue funzioni in concistoro sin dal febbraio precedente. Non è possibile tuttavia stabilire se l'ascrizione del B. al foro concistoriale preludesse già, nelle sue intenzioni, al definitivo trasferimento a Roma, con il quale ebbe origine il ramo romano dell'antica casata senese. Certo è che questo trasferimento fu determinato dalla necessità di "isfuggire i fortunosi avvenimenti, che in quei tempi alla fazziosa patria sovrastavano alle famiglie del Monte de' Nove" (Ugurgieri Azzolini). La data del trasferimento può essere con molta verosimiglianza stabilita nel 1546, al momento, cioè, in cui una fortunata rivolta popolare scacciò da Siena la guarnigione spagnola di Juan de Luna, che era stata sino allora il maggior sostegno della fazione novesca, contro la quale si scatenò, quindi l'antico risentimento degli altri partiti cittadini. Al momento del suo definitivo distacco dalla città natale il B. era già da tempo vedovo di un primo matrimonio celebrato a Siena nel 1531 con una concittadina, anche lei di nobile famiglia, Aurelia di Girolamo Bargagli, dalla quale non avrà avuto figli.
Il successivo matrimonio del B., avvenuto a Roma nel 1548, con Flaminia di Giovanni Battista Astalli (nata nel 1530, morta nel 1575), appartenente alla nobile famiglia romana, mentre è già di per sé indicativo delle intenzioni del B. di radicare definitivamente la sua famiglia a Roma, è pure un chiaro segno - per l'importanza sociale dei nuovi legami parentali stretti da chi, in realtà, era soltanto l'esponente di una piccola, casata provinciale - del ruolo eminente per ricchezza e prestigio che il B. aveva subito acquisito a Roma con la sua attività nel foro concistoriale, una fortuna che in realtà trova in quel tempo pochi termini di paragone. Infatti, sebbene presso gli storici della famiglia il contributo del B. alle fortune romane dei Borghese sia stato spesso oscurato da quello, evidentemente più rilevante, avuto dal figlio Camillo, asceso al pontificato col nome di Paolo V, non c'è dubbio che il prestigio acquistato dal B. in Curia e, soprattutto, le sue notevolissime acquisizioni patrimoniali furono il primo fondamento non soltanto dei successivi progressi della casata, ma della stessa brillantissima carriera ecclesiastica del figlio.
Di ciò dava forse la più adeguata testimonianza Traiano Boccalini, citando il B. come esempio "del raccolto che hanno fatto i letterati delle scienze seminate e coltivate da essi" e in particolare di "quelli che hanno seminato lo studio delle leggi", i quali "ordinariamente hanno avuto così grassa raccolta, che molti ne sono arricchiti". Più precisamente, unendolo nell'elogio al padre di Clemente VIII, il Boccalini ricordava il B. come protagonista di quelle "maggiori cose" che al riguardo "si sono vedute nelle fertilissime campagne della corte di Roma, dove in particolare Silvestro Aldobrandini e Marcantonio Borghese con molti dispendi e con infinite fatiche avendo seminato e co' propri sudori irrigato lo studio delle leggi, hanno empiuto i granari loro di ricchissimi tesori, e i loro virtuosissimi figlioli, che hanno atteso all'agricoltura de' medesimi studi, hanno raccolto principati per la casa loro e dignità divine per loro stessi".
Sebbene il B. non interrompesse del tutto i suoi rapporti con Siena (dove del resto aveva ancora notevoli interessi patrimoniali, come la villa di Bibbiano, presso Buonconvento, che fu alienata soltanto dai suoi figli), sembra che all'origine delle sue rapide fortune romane fosse proprio la sua capacità di sottrarsi tempestivamente e definitivamente alla logica della sua condizione di fuoruscito: piuttosto che meditare sanguinose rivalse, egli preferì infatti mettere a frutto la protezione che gli imperiali conservavano ai Noveschi a vantaggio della sua professione forense, e in effetti già intorno al 1550 egli era tra i legali incaricati di rappresentare a Roma gli interessi di Carlo V, conservando anche dopo l'abdicazione di lui la carica di avvocato cesareo e aggiungendovi quella, concessagli da Filippo II, di avvocato di Sua Maestà Cattolica; più tardi - dopo l'annessione di Siena al ducato di Firenze - anche Cosimo de' Medici si fece rappresentare da lui presso la Curia relativamente ai diritti giurisdizionali della S. Sede sulle chiese senesi.
Non per questo, tuttavia, il B. si estraniò del tutto dalle vicende senesi nell'ultimo, drammatico periodo dell'autonomia della Repubblica. In particolare, al principio del 1555, quando la situazione di Siena, sottoposta all'estenuante assedio ispano-mediceo, si era fatta ormai insostenibile, il B. - di cui l'oratore senese a Roma, Carlo Massaini, sottolineava il credito presso gli Imperiali e presso ilduca di Firenze - fu tra le personalità senesi residenti presso la S. Sede che si prodigarono per risparmiare alla città l'ultima rovina. Poiché a Roma appariva ora chiaramente l'improbabilità di un soccorso francese, nella cui vana attesa la Repubblica toscana insisteva nella sua disperata resistenza, il B., insieme con Alessandro Piccolomini e altri, prese l'iniziativa di indurre Giulio III e gli esponenti francesi presso la Curia a consentire ai Senesi di trattare separatamente un accordo con gli Spagnoli. Questo tentativo del B., che si prolungò nei contatti con l'agente spagnolo Fernando Montesa, fu effettivamente all'origine delle trattative che di lì a poco portarono alla resa di Siena.
All'epoca di questo episodio, che già di per sé conferma il largo prestigio di cui godeva, il B. aveva ormai assunto una parte di grande rilievo nella vita pubblica romana, non solo per gli eminenti uffici forensi che coronò nel 1555 acquistando, alla morte di Antonio Gabrielli, la dignità di decano degli avvocati concistoriali che comportava vistose remunerazioni e fimzioni prestigiose, ma anche per l'importante ufficio di primo conservatore, di massimo esponente legale cioè, del Senato e del popolo romano. In tale veste, il 28 giugno 1554, interveniva in Campidoglio in nome del papa per sottolineare il momento di grave pericolo attraversato dallo Stato ecclesiastico per il passaggio delle soldatesche spagnole dirette dal Regno di Napoli alla guerra di Siena. Rievocando con drammatica eloquenza il funesto ricordo del sacco del 1527, il B. esortava la popolazione romana a contribuire con generosità alle iniziative necessarie per scongiurare il pericolo poiché - avvertiva - "la debile entrata della sede apostolica" non era di per sé sufficiente (Pecchiai, p. 82).
Tra le maggiori vicende giudiziarie, che impegnarono il B. a Roma, vanno sia pur brevemente ricordati i clamorosi processi contro il cardinale Giovanni Morone, durante il pontificato di Paolo IV, e contro i nipoti di questo stesso pontefice, durante il regno del suo successore. Dell'autorevole prelato, fatto imprigionare dal papa in Castel Sant'Angelo nel maggio 1557 sotto gravissime imputazioni di eresia, il B. assunse il patrocinio - insieme con parecchi altri avvocati di minor rilievo - soltanto nel luglio 1559, non appena cioè Paolo IV consentì che si desse inizio a un regolare dibattito presso la speciale commissione cardinalizia alla quale era stato delegato il processo. Fu in realtà piuttosto agevole per il B. individuare i punti deboli di un'accusa capziosa e troppo scopertamente malevola e confutare le più pesanti testimonianze contro il Morone, come quella del gesuita Salmerón, smentita in nome degli ottimi rapporti intercorsi tralo stesso Morone e Ignaziodi Loyola. Ma certamente il Morone non doveva la sua disgrazia né alle sue opinioni teologiche né al peso effettivo delle testimonianze raccolte dagli accusatori: contro la personale animosità del pontefice neanche l'acuta disamina difensiva del B. riuscì ad accelerare la liberazione del cardinale, che dovette attendere dalla morte di Paolo IV la libertà e la riabilitazione.
Nell'ottobre 1560 il B. assunse la difesa dei cardinali Carlo e Alfonso Carafa e del duca di Paliano Giovanni Carafa, insieme con altri sei avvocati, tra i quali il napoletano Felice Scalaleone, che, a quanto pare, ebbe nel processo una parte almeno altrettanto importante di quella del Borghese. Il procedimento contro i Carafa era, in realtà, un processo allo stesso pontificato di Paolo IV, anche se contro i tre erano levate accuse di delitti comuni. Perciò lo zelo e la competenza del B. e degli altri componenti del collegio di difesa non potevano in realtà ottenere in favore degli accusati più di quanto non conseguissero con le loro pressioni su Pio IV non soltanto alcuni eminenti cardinali, ma persino principi come Filippo II e Cosimo de' Medici: il papa era fermamente deciso alla rovina della casata napoletana superbamente innalzata dal suo predecessore e non era certamente personaggio da arrestarsi di fronte alle arti degli avvocati difensori.
Nel 1556 un ricco scultore di origine milanese, Maino Mistorgio, lasciò per testamento il B. erede di tutte le sue sostanze: non è dato sapere le ragioni di questa prodigalità, se non quella negativa che il Mistorgio non aveva eredi diretti; certo è che questa eredità non solo contribuì al già rilevante patrimonio del B., ma gli portò anche un titolo nobiliare ereditario, quello di milite di S. Pietro, al quale erano legate cospicue rendite sulla presidenza di Ripa.
Il B. morì a Roma il 14 giugno 1574. Sembra attendibile l'ipotesi del Mazzuchelli, secondo il quale andrebbe identificato nel B. un contemporaneo senese Antonio o Marcantonio Borghese, del quale sono alle stampe, in F. Contile, Rime divise in tre parti con discorsi ed argomenti di M. Francesco Patrizi e di M. Antonio Borghese, Venezia 1560, pp. 5158, 83-94, gli argomenti della seconda e della terza parte.
Figli del B. furono: Camillo (Paolo V), Orazio, Girolamo (1555-1578), Giovanni Battista, Francesco, Margherita - sposata con un gentiluomo di casa Vittori, morta il 14 sett. 1559 - C. Ortensia, moglie di Francesco Caffarelli e madre di Scipione, cardinal nepote di Paolo V.
Fonti e Bibl.: F. Contile, Il quarto libro delle lettere, II, Venezia 1564, p. 119; G. B. Marchesani, Commissionum ac rescriptorum utriusque Signaturae S.N.D. Papae praxis sive tractatus, I, Romae 1615, p. 3; S. Aldobrandini, Consiliorum liber secundus, Romae 1617, pp. 12-14; A. Bzovius, Paulus Quintus Burghesius, Romae 1624, pp. 2 s.; F. Marzarii, Consilia celeberrimi iureconsulti ac summi practici, Venetiis 1759, p. 92; T. Boccalini, Ragguagli di Parnaso…, a cura di G. Rua, I, Bari 1910, p. 35; Archivio di Stato di Siena,Archivio di Balia, a cura di G. Prunai e S. De' Colli, Roma 1957, p. 169; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi, Pistoia 1649, I, pp. 35, 452; V. Cartari, Advocatorum sacri Consistorii syllabum, Romae 1656, pp. 131-135, 211; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, I, Bologna 1739, p. 103; G. Carafa, De professoribus Gymnasii Romani, II, Romae 1751, pp. 512 s.; A. Zeno, Note alla Bibl. dell'eloquenza italiana di mons. G. Fontanini, I, Venezia 1753, pp. 370, 460; G. Pecci, Mem. storico-critiche della città di Siena, II, Siena 1755, p. 176; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 3, Brescia 1762, pp. 1719 s.; F. Parisi, Istruzioni per la gioventù impiegata nella segreteria, III, Roma 1785, p. 38; F. Renazzi, Storia dell'univ. degli studi di Roma, II, Roma 1804, p. 249; P. Visconti, Città e famiglie nobili e celebri dello Stato pontificio, s.l. né d., pp. 916-921; N. Borghese, Vita di S. Caterina da Siena... aggiuntovi l'elenco degli uomini illustri dell'eccellentissima casa Borghese, a cura di R. Luttazi, Roma s.d. (ma 1869), pp. 92-96; Giunte agli Scrittori d'Italia di G. M. Mazzuchelli, a cura di E. Narducci, Roma 1884, p. 101; L. Grottanelli, Gliultimi anni della Repubblica senese ed il cardinale A. Niccolini, Firenze 1886, pp. 24, 67; R. Ancel, La disgrâce et le procès des Carafa, Meredsous 1909, passim; L.Romier, Les origines politiques des guerres de religion, II, Paris 1913, passim; L. von Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1925, p. 504; VI, ibid. 1927, pp. 510, 655 ss.; VII, ibid. 1928, pp. 112, 117; XII, ibid. 1930, pp. 32 s.; P. Tacchi Venturi, Storia della compagnia di Gesù in Italia, I, 2, Roma 1950, 4, p. 175; II, 2, ibid. 1951, p. 230; P. Pecchiai, Roma nel Cinquecento, Bologna 1948, pp. 82, 205, 242, 256; G. Borghezio, IBorghese, Roma 1954, p. 10; O. Montenovesi, Gens Burghesia, in Capitolium, XXIX(1954), p. 81; R. Cantagalli, La guerra di Siena, Siena 1962, pp. 282, 412, 548.