BASSETTI, Marcantonio
Nacque a Verona nel 1586. Secondo Carlo Ridolfi, principale fonte d'informazione, fu allievo di Felice Brusasorci e completò la sua educazione a Venezia.
"Vi si trattenne per qualche tempo copiando le pitture più eccellenti del Tintoretto, né vi fu giovine per avventura nel tempo suo, che più accuratamente le riportasse in disegni quali toccar soleva di biacca e nero a oglio sopra la carta. Di questa maniera molti ancora se ne veggono di sua inventione... De' quali ancora far sol eva vendita a coloro che si dilettavano di far studio et in particolare agli Oltramontani che transitavano per Verona -". Sempre secondo Ridolfi, il B. avrebbe avuto uno speciale dono per il disegno, riuscendo "molto spiritoso".
Forse in compagnia di Pasquale Ottino e di Alessandro Turchi detto l'Orbetto, il B. si recò in seguito a Roma. Tutti e tre formarono il cosiddetto "trio dei veronesi", che strinse poi legami col veneziano Carlo Saraceni.
Il 16 maggio 1616 il B. indirizzò a Palma il giovane una lettera (Bottari, IV, p. 382), dove gli comunicava di aver dato principio a una Accademia alla veneziana, "disegnando le attitudini con li pennelli e colori" e mostrando "che. quando si disegna si dipinge ancora". Sempre nella stessa lettera il B., confessava di non trovare di suo genio l'ambiente artistico romano e dichiarava "che se non fosse la guerra sarebbe tornato in patria a godere di quella maniera di dipingere con tanta bravura...".
La sua costante fedeltà alla tradizione pittorica veneziana venne sottolineata anche dal Ridolfi: "Soleva pure dire che occorrendo ad alcuno il fare qualche opera di considerazione doveva andare a Venetia". Caravaggio era già morto. Il B. si era accostato ai naturalisti venetizzanti, specie a Orazio Borgianni, che trasformava il caravaggismo in una grassa pittura di tocco. Giunse così a risultati paralleli a quelli di G. Serodine e di D. Fetti, cioè agli impasti grumosi, alle colate, agli spruzzi, alle spumosità. Ma la sua pennellata è più ruvida e il tocco più greve.
Verso il 1616 lavorò accanto al Saraceni per S. Maria dell'Anima, ma purtroppo le due pale che fece per questa chiesa della comunità tedesca (secondo il Baglione, Natività e Circoncisione) non sono più reperibili.
In quel medesimo periodo prese parte, ancora col Saraceni, e anche col Turchi e l'Ottino, alla decorazione della Sala Regia nel Quirinale, ove sono di sua mano alcuni chiaroscuri, riconosciuti dal Longhi (1959), stilisticamente affini a quelli che usava fare a pennello su carta. Rappresentano soggetti biblici.
Nel 1619 inviò a Verona una pala con Cinque santi vescovi veronesi, considerata tra le sue opere nùgliori, che venne posta nella cappella degli Innocenti a S. Stefano. Per la stessa cappella, la cui decorazione pittorica costituisce oggi l'episodio caravaggesco più interessante nel Veneto, due pale dipinsero il Turchi e l'Ottino.
Verso il 1620, quando la fortuna del caravaggismo cominciava già a declinare e si facevano strada, a Roma, le nuove tendenze classiciste, il B. tornò, a Verona (nel 1625 è registrato nell'anagrafe di S. Giacomo alla Pigna, cit. in Viana). Dalla sua città spedì al convento degli agostiniani a Monaco la pala, custodita oggi nella galleria di Schleissheim, raffigurante il Martirio di s. Vito e firmata "Bassettus Veron. Faciebat".
Nella Madonna e santi (1628) e nell'Incredulità di s. Tommaso (1627), dipinte per la chiesa di S. Tommaso a Verona e oggi al Museo di Castelvecchio, il suo naturalismo sembra scadere in una cifra provinciale. In questo periodo le sue opere migliori sono i ritratti, nei quali palesa una particolare attenzione per Iacopo Bassano. Il Vecchio con libro del Museo di Castelvecchio a Verona è giudicato dal Longhi (1959) di una dignità rembrandtiana.
Di recente il Longhi (1959) ha pubblicato un Ritratto di chierico musicista di una raccolta privata a New York, opera forse giovanile, e il Ritratto d'un vecchio col cane che chiama "uno dei gran ritratti del secolo", osservando come "nei tocchi, scremati sul viso, nella umana penetrazione, Bassetti mostri per che via (inevitabilmente caravaggesca) un italiano intomo al 1630 potesse misurarsi con un Rembrandt, un Hals, un Velázquez". Altre opere del B. sono S. Antonio che studia del Museo di Castelvecchio, l'Annunciazione della chiesa di S. Fermo di Verona, una Sacra Famiglia nella coll. Jackson Higgs di New York, L'espolio di Cristo già in una collezione privata di Milano, una Deposizione alla Galleria Borghese e la lunetta con l'Incoronazione della Vergine nella chiesa di S. Anastasia a Verona. Come l'Ottino e il Turchi, usava anche dipingere, in piccolo, su pietra di Verona. Ne sono esempi il S. Pietro in Vincoli del Museo di Castelvecchio e la Flagellazione della col. Weitzner a Londra.
Si conoscono del B. numerosi chiaroscuri a olio e pennello: i ventitré di Windsor Castle; uno, raffigurante il Paradiso, trovato dal Voss al Museo di Lipsia e ritenuto del periodo giovanile. Del periodo tardo è invece il Martirio di s. Vito del Louvre, schizzo per l'omonima pala degli agostiniani a Monaco (verso 1620); altri tre monocromil la Creazione di Adamo, la Cacciata dal Paradiso e le SS. Pudenziana e Prassede, sono stati segnalati in collezioni private dal Longhi (1926), che vi scorge "una sensibilità ghiotta di forme grassotte e di pennellate a sprizzi densi di bianco". Non è da escludersi sia del B. l'Assunta, attribuita al Saraceni, nel Codice Ambrosiano di Padre Resta (cfr. L. Grassi, Il disegno ital., p. 150).
Il B. morì di peste, a Verona, nel 1630. Il Ridolfi ci informa "ch'egli soleva dipiggere poco, dicendo che la pittura non ricercava l'applicazione degli operari, che si affaticano a giornata, ma la quiete e l'animo tranquillo, dovendo il pittore essere indotto a dipingere da suavissimo diletto e che all'ora partoriva cose eccellenti".
Gli autori neoclassicì sembrano preferire il Turchi al Bassetti. La rivalutazione del B. è dovuta a Longhi: "Fra i tre veronesi soltanto il Bassetti, come i caravaggeschi di razza, ebbe la forza di liberarsi dalla sapienza ormai inutile del Rinascimento e ritornare rozzo e poderosamente territoriale" (1926).
Arslan colloca il B. accanto al Fetti come "pittore venuto da Roma con viatico di Saraceni e Borgianni", ma riscontra, nelle sue composiziol:ii più vaste, residui degli schemi manieristici cinquecenteschi.
Fonti e Bibl.: C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte, II, Venezia 1648, pp. 247 ss.; G. Baglione, Le vite de' pittori scultori et architetti..., Roma 1642, p. 386; B. Dal Pozzo, Le vite de' pittori, degli scultori ed architetti veronesi, Verona 1718, p. 158; G. Bottari, Raccolta di lettere, IV, 2, Roma 1757, P382; D. Zannandreis, Le vite dei pittori scultori ed architetti veronesi, Verona 1891, p. 243; A. Bertolotti, Artisti veneti in Roma..., Venezia 1884, pp. 59, 62; G. Biadego, Postille inedite di G. B. Cignaroli alle opere di B. Dal Pozzo, in Misc. d. monumenti d. R. Deput. veneta di St. Patria, XI (1895), pp. 19-62; L. Simeoni, Verona, guida storico-artistica, Verona 1910, pp. 62, 251, 287; R. Longhi, Il trio dei Veronesi, in Vita artistica, I (1926), p. 123; G. Delogu, Pittori ital. al castello di Schleissheim, in Emporium, LXIX (1929), pp. 82 s.; D. Viana, M. B., ritrattista, in Bollett. d. Soc. letteraria di Verona, X (1934), pp. 52-55 (con altra bibliogr.); R. Longhi, Ultimi studi su Caravaggio, in Proporzioni, I (1943), pp. 30, 52; E. Arslan, Il concetto del luminismo e la pittura veneta barocca, Milano 1946, pp. 5, 14, 16 s., 22 ss., 45; F. Zeri, Due opere di M. B., in Paragone, VI (1955), n. 63, pp. 38-40; L. Grassi, Il disegno ital. Roma 1956, p. 139, figg. 150-51; A. Blunt-E. Croft, Murray, Venetian drawings of the XVII and XVIII centuries, London 1957, p. 27; R. Longhi, Presenze alla Sala Regia, in Paragone, X (1959), n. 117, p. 37; P. Zampetti, Pittura del Seicento a Venezia (catal.), Venezia 1959, pp. 29, 162; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, III, p. 12; Encicl. Ital., VI, pp. 342 s.