Marca Genovese (Marchia Januensis)
Lingua. - In VE I X 7 la Januensis Marchia chiude, facendo seguito alla Toscana, l'elenco delle regioni della parte ‛ destra ' d'Italia, e la collocazione è ribadita al § 8 dello stesso capitolo, dove si dice che, nel lato destro della penisola, la lingua dei ‛ Genovesi ' si diversifica rispettivamente da quella dei Toscani e dei Sardi (anche in Brunetto Latini Tresor I CCXXIII 10, all' " archiveschié de Jene " tien dietro l' " ile de Sardaigne " con la Corsica). Pertanto la menzione critica del dialetto genovese si colloca in conclusione del capitolo in cui D. ha esaminato i vari dialetti toscani (Ve I XIII 5), e prima di passare all'esame di quelli alla ‛ sinistra ' dell'Appennino. Se qualcuno - dice D. - pensa che non si debba affermare anche dei Genovesi quanto si asserisce dei Toscani (che i loro dialetti municipali sono lontani dal volgare ‛ illustre '), pensi solo a questo, quod si per oblivionem Ianuenses ammicterent z licteram, vel mutire totaliter eos, vel novam reparare oporteret loquelam. Est enim z maxima pars eorum locutionis; quae quidem lictera non sine multa rigiditate profertur.
" La condanna - osserva il Marigo - è rapida, sommaria, beffarda: c'è lo spirito del motteggiatore toscano, che sente sui vicini la propria superiorità di buon parlatore, pronto, caustico e vivace, in quell'immaginare il comico imbarazzo degli smemorati Genovesi, costretti a rifarsi, perduta la zeta, un'altra favella per non rimanere muti ". Il rilievo sulla sgradevolezza della zeta si lega certamente a quanto D. accennerà in seguito (VE II VII 5-6) sull'asprezza di questa consonante, da cui rifuggono i vocaboli pexa (cfr. vocaboli, teoria dei), e risponde forse anche, inversamente, all'osservazione appena formulata sul pisano che, contrapponendo il tipo Fiorensa al normale Fiorenza, possiede troppo poche zeta. Ora l'abbondanza delle z era senza dubbio, da un punto di vista toscano, un tratto strutturalmente rilevante del genovese e ligure, che rispondeva appunto con l'affricata dentale sorda e sonora a c e g palatali toscane, in posizione non intervocalica (cfr. già ad es. zò, " ciò ", e zà, " già ", nel Contrasto di Rambaldo di Vaqueiras), mentre tale suono è completamente assente nel genovese moderno, in cui ogni z è passata a s; ma non era un tratto specifico di quella parlata, poiché tale situazione era di massima comune a tutta l'area dialettale settentrionale nella fase antica, con cospicui residui moderni.
È difficile ammettere una spiegazione tipo quella del Parodi: " basterebbe supporre che lo z genovese fosse più sibilante, più aguzzo, per così dire, più vicino insomma allo z toscano; quello di altri dialetti invece più simile a s... ". La spiegazione del giudizio dantesco non starà in una particolare natura della zeta ligure, ma piuttosto nel fatto che quell'elemento, in sé comune agli altri dialetti settentrionali, veniva particolarmente evidenziato nel caso di Genova dal fatto di ricorrere continuamente nelle parole Zena, zeneis: probabile che D. si sia ancora una volta rifatto a un modello già affermato di parodia vernacolare, o a un blasone. E non mancano documenti successivi, certo indipendenti dal testo dantesco, di un'analoga caratterizzazione del ligure. Sullo stesso elemento posto in ridicolo da D. sembra infatti far leva il Sacchetti, che in due novelle mette in bocca a personaggi liguri cuzì, cozzì, per " così " (Trecentonovelle 144 e 177, ediz. Pernicone, 323, 441). E chiarissima è la testimonianza dell'umanista Paolo Pompilio, che nel suo trattato De Accentibus (1488), passando in rassegna i vitia pronuntiandi di varie parlate d'Italia e d'Europa, osserva: " Qui vero maritimam Ligurum incolunt, zetacizant. Nam pro gente zentem dicunt, et carmen hoc ita enuntiant: ‛ Irin de zelo misit Saturnia Zuno ' " (pur notando subito sopra ad altro proposito un zela per " cella " proprio dei Veneti e di " plurimi ex Cisalpinis ").
Per quanto riguarda la fortuna di D. e la storia di questo territorio si veda alle voci GENOVA; LIGURIA.
Bibl. - E.G. Parodi, D. e il dialetto genovese, in D. e la Liguria, Milano 1925 (poi in Lingua II 285-300); Marigo, De vulg. Eloq. 83-84, 86, 115 (e rec. di G. Contini, in " Giorn. stor. " CXI [1939] 292); G. Vidossi, L'Italia dialettale fino a D., in Le Origini. Testi latini, italiani, provenzali e franco-italiani, Milano-Napoli 1956, L; A. Stussi, Il dialetto veneziano al tempo di D., in D. e la cultura veneta, Firenze 1966, 113; C. Dionisotti, Gli umanisti e il volgare fra Quattro e Cinquecento, ibid. 1968, 35; G.B. Borgogno, Saggio sulle consonanti sibilanti in antichi testi dell'Italia settentrionale, Mantova 1968 (estr. da " Atti e Mem. Accademia Virgiliana Mantova " n.s., XXXVI) 53.