Marca Anconitana (Marchia Anconitana)
La Marchia Anconitana, con cui s'indicava un territorio grosso modo coincidente con le attuali Marche (Brunetto Latini Tresor I CXXIII 7 parla della " marche d'Anquone, ou est la cités de Esqule [Ascoli] et Orbins et XI autres eveschiés "), fa parte per D. della metà di ‛ sinistra ' dell'Italia linguistica, tra Apulia (in parte) e Romagna (VE I X 7; al § 8 gli Anconitani sono posti tra i Calabri - cioè gli ‛ Apuli ' orientali [cfr. anche XII 7] - e i Romagnoli). Il dialetto della zona è giudicato da D. (VE I XI 3) tra i più brutti della penisola: Post hos [i Romani] incolas anconitanae marchiae decerpamus [" strappiamo via "], qui ‛ Ghignamente scate, sciate ' locuntur.
La lezione del Marigo per l'esempio dialettale non è però difendibile: dai codici sono offerti, rispettivamente, state (tutti e tre) e siate (essendo sciate lezione isolata di T.). Appare comunque arduo ricavare dalla testimonianza manoscritta una lezione e un senso interamente plausibili, e nessuna delle molte proposte fin qui avanzate risulta davvero soddisfacente (cfr. quella di A. Pézard, " La rotta gonna ", II, Firenze 1969, 14-15). Accettando prudenzialmente il testo suggerito dalla tradizione manoscritta, senza intervenire, si delineerebbe tuttavia una frase apparentabile a quelle, di tipo elementare (‛ che dici? ', ‛ che fai? '), degli esempi romanesco e friulano dello stesso capitolo, e come tratto dialettale caratterizzante resterebbe il solo avverbio chignamente (" come "). Per questa forma soccorrono, entro un ampio quadro romanzo di tipi similari (provenzale antico e moderno quenh, quinh, quenhamen, quinhemen, guasc. quegn, quign, vall. quen, quin, ecc.), molti riscontri non propriamente marchigiani, ma dell'Italia mediana: antico aretino quigno, antico umbro quegno, quegnamente, quegnunque, -che, abruzzese moderno chign(e), chigna e forme ridotte da queste (cfr. specialmente B. Maler, Synonymes romans de l'interrogatif qualis, Stoccolma 1949, in particolare 82-84; F. Ageno, nell'ediz. delle Laudi di Iacopone, glossario; G. Rohlfs, in " Zeit. Romanische Philol. " XLII [1922] 724; id, Grammatica §§ 488, 509, 945; F. Agostini, in " Studi Filol. It. " XXVI [1968] 112, 150, 168-169), e v. ROMA per le forme affini chinto, ecc.: per l'etimo, fra le varie ipotesi (compresa quella del Maler, che suggerisce quid genus), convince maggiormente la proposta di P. Meyer (" Romania " XX [1891] 321) ripresa e perfezionata dall'Agostini: *QUĪNEUS/ QUĬ-.
Subito di seguito D. aggiunge che a beffa (improperium) di Romani, Marchigiani e Spoletini erano state composte cantiones quamplures, e testimonia di averne vista una recte atque perfecte ligatam, quam quidam Florentinus nomine Castra posuerat, dove questo verbo significherà, in accezione tecnica frequente nel Medioevo, " comporre artisticamente ", e non " buttar giù " come traduce il Marigo (non può esser ‛ buttata giù ' per D. una canzone che egli dichiara " organizzata tecnicamente a perfezione "). Di essa viene citato l'incipit: Una fermana scopai da Casciòli, / cita cita sen gìa 'n grande aina (" Incontrai una fermana presso Casciòli, se ne andava svelta svelta, in gran fretta ").
Dunque D. ricorda, ammirandone la bontà dell'esecuzione formale, uno dei prodotti più tipici e brillanti dell'antico genere della parodia poetica dei vernacoli. La canzone ci è stata conservata dal solo codice Vaticano 3793 (affine del manoscritto che sta alla base delle citazioni dantesche di poesia ‛ siciliana '), con lezioni un po' diverse da quelle del De vulg. Eloq., in particolare iscoppai e cetto cetto (ma nell'indice dello stesso Vaticano si hanno scoppai e citto), ed è quivi attribuita a un " Messer Osmano ": il quale, come aveva già visto il D'Ovidio, non sarà però altri che un abitante di Osimo, un Osimano, protagonista della vicenda rappresentata nella poesia, passato poi erroneamente a usurpare il ruolo di autore, che spetterà invece, come dall'indicazione dantesca, a un Castra fiorentino.
Nell'abile componimento è svolto, entro lo schema collaudato della pastorella-contrasto, il tema dell'avventura amorosa tra un ‛ Osmano ' evidentemente di rango sociale superiore e una contadina o serva della zona di Fermo: la caratterizzazione linguistica, come richiesto dal livello della storia e dei due personaggi, è icastica, nei modi di una vivace mimesi parodistica (l'improperium di cui parla D.) della parlata marchigiana; e in generale va ricordato che lo schema della pastorella-contrasto era precisamente uno di quelli in cui più volentieri s'incanalava la tendenza alla parodia vernacolare, come mostra lo stesso Contrasto di Cielo d'Alcamo, pure citato nel De vulg. Eloq. (v. GIULLARESCA, POESIA).
I due versi riportati da D. non mancano di tratti dialettali caratteristici. Cit(t)o, -u, cetto, " presto ", ecc. è avverbio ben documentato nell'Italia centrale, con ampie attestazioni antiche, anche marchigiane: Ritmo su s. Alessio, 93, 101; Elegia giudeo-italiana 109; Iacopone, passim (cfr. il glossario dell'ediz. Ageno); Liber Ystoriarum Romanorum, passim (v. G. Ernst, in " Studi Ling. Ital. " VI [1966] 166); Oratio vulgaris abruzzese, 6 (ediz. F.A. Ugolini, Testi volgari abruzzesi del Duecento, Torino 1959); Buccio di Ranallo Cron. aquilana, ediz. De Bartholomeis, 113 v. 25, ecc.; e per i residui nei dialetti moderni del Lazio cfr. Ageno, op. cit., e Rohlfs, Grammatica § 933. Pure di area centrale (anche toscana) a(g)iva " fretta ", e il relativo verbo a(g)inare, -arsi, per cui anche si dispone di larga documentazione sia antica che moderna (cfr. ora l'inquadramento e i dati di J. Gerighausen, ‛ a g ì n a - a g i n ā r e ' im Romanischen, in [Romanischen Etymologien, 1] Vermischte Beiträge I, Heidelberg 1968, 39 ss. e specialmente 41-42; un esempio particolarmente vicino nello spazio e nel tempo al nostro è l'" adgina " della Giostra delle Virtù e dei Vizi, v. 463 ediz. Contini, in Poeti II 342). Infine per scoppare è noto solo un riscontro spoletino indicato dal Rajna sulla base di un lavoro poi non pubblicato di N. Angeletti.
Per quanto riguarda la fortuna di D. in questa regione si veda la voce MARCHE.
Bibl. - F. D'Ovidio, Sul trattato De vulg. Eloq. di D.A., in Versificazione romanza. Poetica e poesia medievale, II (Opere di F.D'O., IX Il), Napoli 1932, 304-305; D.A., Il trattato De vulg. Eloq., a c. di P. Rajna, Firenze 1896 (rist. anast. Milano 1965), 58-60; Marigo, De vulg. Eloq. 84, 90-93; A. Schiaffini, Interpretazione del ‛ De vulg. Eloq. ' di D., Roma 1963, 83-84; G. Contini, La poesia rusticale come caso di bilinguismo, in La poesia rusticale nel Rinascimento, ibid. 1969, 51-52. In particolare per la canzone del Castra v. almeno: G. CROCIONI, Una canzone marchigiana ricordata da D., in " Giorn. stor. ", suppl. 19-21, Torino 1921, 265-362; G. Vitaletti, La Canzone del Castra [sec. XIII] (con postille di G. Bertoni), in " Arch. Romanicum " V (1921) 55-70; A. Camilli, La canzone marchigiana del De vulg. Eloq., in " Studi Filol. It. " VII (1944) 79-96, che riprende vari contributi precedenti dello stesso studioso; Contini, Poeti I 913 ss., II 859.