INGEGNERI, Marc'Antonio
Nacque a Verona nel 1536 da Innocenzo e da Giulia Foscari; la data di nascita e la composizione della famiglia si ricavano dal censimento per la contrada di S. Vitale del 9 maggio 1541 in cui è riportata l'età di anni 5.
Il documento, già noto dal 1935 (Sandri, p. 97), è stato ignorato da molti repertori e studi anche recenti che hanno continuato a ipotizzare la nascita tra il 1545 e il 1550 sulla base della presunta stampa delle prime sue raccolte madrigalistiche - Il primo libro de madrigali a cinque voci, perduto, e Il primo libro de madrigali a quattro voci, noto dalla ristampa del 1578 - avvenute forse negli anni 1566-70. In un successivo censimento del 1555, l'I. non compare più come membro della famiglia, ed è verosimile che avesse già iniziato, e forse in parte compiuto, il suo apprendistato presso la scuola accolitale del duomo, periodo che egli stesso ricorderà nella prefazione al suo Liber primus missarum (1573) dedicato con riconoscenza ai canonici della cattedrale.
La tradizione storiografica lo indica come allievo di Vincenzo Ruffo, che guidò la cappella veronese dal 1551 al 1563, ma in ragione della sua età è molto più probabile che il primo maestro dell'I. sia stato il predecessore Jachet de Berchem, nella stessa carica dal 16 sett. 1546; questi, insieme con Giacomo Brevio, maestro di canto fermo durante lo stesso periodo, fu quindi l'artefice della sua formazione musicale. Sull'attività del giovane I. non si hanno testimonianze certe; ma anche se il suo nome non risulta registrato nella documentazione delle varie cappelle e dell'Accademia filarmonica, molti testi poetici dei suoi primi madrigali sono gli stessi che furono musicati da vari autori, tra i quali Ruffo, Ippolito Camaterò, Marc'Antonio Pordenon, e potrebbero dimostrare una certa familiarità con gli indirizzi stilistici di quello stimolante ambiente. Nel 1557, anno della morte del padre, una breve parentesi come violinista nelle processioni della Scuola Grande di S. Marco a Venezia è tutto quello che si conosce circa la sua attività in questi anni.
Più forti connessioni emergerebbero però con la corte di Parma e con i musicisti che vi operavano - Cipriano de Rore in primis - dichiarate poi dallo stesso I. in apertura de Il primo libro de madrigali a sei voci (1586), dedicato al duca Ottavio Farnese, e accennate in una lettera del 20 apr. 1580 indirizzata allo stesso (Paget, M.A. I.: new biographical information, p. 10). Tre madrigali - Spess'in parte del ciel, Chi vuol veder tutta raccolt'insieme e Non mi toglia il ben mio - stampati nel sopra citato libro del 1578, comparvero anche ascritti a Rore nella miscellanea postuma Le vive fiamme (1565) curata da Giulio Bonagiunta: al di là delle questioni attributive, per vari motivi a favore dell'I., nonostante la complessità della tradizione manoscritta e a stampa, tale circostanza rafforzerebbe lo stretto rapporto con il magistero del Rore, maturato durante un quasi certo soggiorno a Parma nei primi anni '60.
Con il trasferimento dell'I. a Cremona, avvenuto intorno alla metà del decennio e documentato la prima volta il 16 sett. 1566 con la concessione di una prebenda di 25 scudi annui presso la prepositura di S. Abbondio, iniziò, sotto la protezione del prevosto Giovanni Gadio, un periodo di intensa attività che gli permetterà di accrescere quella fama poi elogiata nel 1572 dal poeta locale Alessandro Lami. La stampa de Il secondo libro de madrigali a cinque voci che apparve con dedica a Massimiliano II, datata appunto da Cremona il 20 ag. 1572, rappresentò forse una tardiva aspirazione a un incarico alla corte imperiale che non ebbe seguito. La definitiva sistemazione nella città lombarda non significò l'allentamento dei rapporti con i molti mecenati al di fuori della cerchia cittadina che durarono tutta la vita, come è dimostrato dalle dediche di suoi libri profani a personaggi di spicco a Milano, Parma e Verona e dall'inserimento di madrigali isolati in antologie compilate a Venezia, Verona, Brescia, Milano, Ferrara e Roma. Dopo la stampa della prima raccolta di musica sacra nel 1573 si intensificarono gli impegni professionali in ambito liturgico. Benché la qualifica di praefectus musicae della cattedrale compaia sul frontespizio delle Sacrarum cantionum cum quinque vocibus (1576), è solo con gli attestati di pagamento datati dal gennaio 1578 che si ha la reale dimensione del ruolo organizzativo che l'I. svolse come "cantore" a capo di un gruppo di "soci", in favore dei quali egli percepiva ulteriori compensi "ob diversos concentus", da intendersi probabilmente come esecuzioni polifoniche con organici misti vocali-strumentali di grande novità e richiamo per le liturgie cremonesi di questo periodo e che si potevano avvalere della partecipazione di valenti strumentisti, tra i quali il celebrato cornettista Ariodante Regaini. Il gradimento per questi "concerti" accese nel 1582 una disputa sull'opportunità di abbassare addirittura il corista dell'organo per poterlo adattare a quello degli strumenti.
Raggiunta la stabilità economica l'I. si unì in matrimonio nel 1581 con la cantante Margherita Soresina; dalla loro unione non risultano essere nati dei figli. La prestigiosa carica istituzionale - in un documento del 14 genn. 1580 l'I. è indicato "maestro di cappella" - non impedì al maturo maestro di pubblicare ben cinque libri di madrigali dal 1579 al 1587, a dimostrazione della vitalità dell'ambiente culturale della città in cui svolgeva un ruolo primario l'Accademia degli Animosi. In coincidenza con la chiusura di quest'ultima nel 1586 è significativo che l'I. si sia dedicato solo allora alla regolare pubblicazione di repertorio sacro, raccogliendo sistematicamente i frutti del proprio servizio liturgico in due libri di mottetti a 6 voci (1586 e 1591), un secondo libro di messe (1587), un libro di responsori e di lamentazioni (1588) e una raccolta di composizioni policorali (1589). La ragione più stringente di un siffatto indirizzo è però il riflesso dell'opera riformatrice che il vescovo Niccolò Sfondrati (nel 1591 eletto papa con il nome di Gregorio XIII) volle attuare, soprattutto nell'ambito della liturgia, seguendo i dettami del concilio Tridentino: orientamenti che l'I. seguì con convinzione stringendo con lui forti legami di amicizia e dedicandogli altri tre dei suoi cinque ultimi libri di musica sacra.
L'I. morì il 1° luglio 1592 a Cremona, solo due mesi dopo la morte della moglie, e fu sepolto in S. Bartolomeo nella tomba della famiglia Martinengo.
Il ruolo didattico, o di semplice influenza artistica, dell'I. è stato sempre limitato al caso pur eclatante di C. Monteverdi, ma la sua ristabilita età accrescerebbe in fatto di autorità ed esperienza la sua già preminente posizione di massima autorità musicale a Cremona per più di due decenni. Il rapporto con più giovani allievi, nel caso di Monteverdi eccezionalmente suggellato dalla celebre attestazione - giustificata anche dalla minor età - "discepolo del signor Ingegneri" sui frontespizi delle sue prime cinque stampe, è estensibile con tutta probabilità anche a musicisti di una generazione precedente, come ad es. Tiburzio Massaino e Lucrezio Quinzani. Allo stato attuale delle ricerche è Benedetto Pallavicino l'autore che mostra segni evidenti di un possibile rapporto con il magistero dell'I., soprattutto leggibili nella costruzione melodica e negli aspetti armonico-strutturali di molti madrigali dei primi due libri e che nelle rispettive composizioni sull'ottava ariostesca Vaghi boschetti (Orlando furioso, VI, 21) mostrano tutti quei caratteristici elementi di un'emulatio non occasionale.
Il patrimonio artistico tramandato dall'I. affonda le sue radici nello stile di C. de Rore. La diretta influenza di quest'ultimo è avvertibile in buona parte de Il primo libro… a quattro voci, che si rivela quindi fondamentale per la maturazione dello stile dell'Ingegneri. I vari testi poetici scelti dimostrano nella loro veste musicale tratti caratteristici della scrittura di Rore: il contrasto tra sezioni omoritmiche e sezioni contrappuntistiche, la ricerca di percorsi modali inconsueti, l'attento impianto metrico delle frasi, l'uso della pausa sospensiva in tutte le voci, la tessitura e l'ordito polifonico delle voci richiamano apertamente il modello. Ma uno degli aspetti più importanti che l'I. mutuò dalla poetica roriana, e che caratterizzerà anche le sue creazioni future, è la capacità di cogliere l'essenza espressiva di tutto il componimento con un'intelligibile rappresentazione del testo, piuttosto che con la sottolineatura di singole parole o concetti (Paget, 1992, p. 92). Prerogativa, questa, che ne attesta la modernità e lo pone non a caso a fianco di Rore tra i maestri della "seconda prattica" teorizzata da Monteverdi.
Nelle successive raccolte profane l'I. dette prova di una costante attenzione verso la scrittura madrigalistica praticata in centri come Ferrara e Mantova, ora con l'adozione dello stylus luxurians ne Il terzo libro… a cinque voci (quello che Newcomb [1980] ha definito uno dei libri più avanzati pubblicati intorno agli anni '80 per la presenza soprattutto di numerose ornamentazioni virtuosistiche scritte e il ricorso al raggruppamento vocale di due voci acute sostenute da una parte più grave), ora con il composito Il primo libro… a sei voci, forse la più emblematica tra le ultime fatiche madrigalistiche. In esso si compendiano da un lato realizzazioni polivocali con un minimo uso di passi diminuiti che si rifanno alla tipologia del madrigale arioso, improntate a una piena fusione tra il ritmo testuale e quello musicale, e che potrebbero risalire anche a un periodo precedente, dall'altro floride suggestioni timbriche dei più noti "concerti delle donne", assunte a cifra distintiva in quei madrigali realizzati probabilmente alla corte farnesiana, che rimandano al moderno stile di L. Luzzaschi e che dimostrerebbero, tra l'altro, la padronanza di tecniche compositive anche molto diverse e quindi l'ampia scelta di linguaggi madrigalistici trasmessa ai discepoli.
Per un corretto inquadramento storico della produzione sacra è fondamentale considerare la figura del vescovo Sfondrati, che esercitò una notevole influenza sulle scelte compiute dall'I. come musicista al servizio della Chiesa. La conseguenza più evidente fu il rallentamento dell'attività madrigalistica, poi soppiantata da una dedizione esclusiva al repertorio liturgico, ma l'adesione alle istanze di rinnovamento promulgate in ambito diocesano si riverbera ancor più nell'I. nella "scelta via via più attenta dei testi musicati" che "abbandona pressoché del tutto il ricorso a testi devozionali o comunque non direttamente liturgici per concentrarsi prevalentemente su antifone e responsori accolti nel Breviario Romano" (Sabaino, 1993-94, I, p. 12). Tanto rigore sulla provenienza dei testi latini non coincise sul versante musicale con l'impiego di modelli caratterizzati da un pervasivo quanto rigido andamento accordale-omoritmico che avrebbe dovuto favorire una maggiore comprensione del significato testuale (come ad es. si verificò eccezionalmente a Milano con Vincenzo Ruffo): nei decreti sinodali cremonesi non sono infatti mai enunciate disposizioni pertinenti gli aspetti musicali. È allora una naturale conseguenza "che i modi compositivi dell'I. continuino ad applicare una condotta polifonica tutto sommato tradizionale" (ibid., p. 20). La scrittura per il repertorio sacro, soprattutto mottettistico, attua quindi una polivocalità motivica fatta di brevi incisi che si alternano in varie possibilità imitative e sovrapponendo le frasi generalmente senza interruzione tale da individuare uno stile compositivo idealmente prossimo ai maestri oltremontani e raggiungendo nella struttura canonica del mottetto Noe, noe (Sacrarum cantionum… quatuor vocibus, Liber primus, 1586) uno dei vertici degli artifici contrappuntistici, lodato e descritto anche da Cerone (pp. 1086 s.).
Anche nelle due raccolte di messe si rinvengono caratteri stilistici analoghi; già la scelta dei modelli (tra i quali un mottetto e la chanson spirituale Susanne un jour di Orlando di Lasso) prelude gli esiti compositivi delle quattro messe del primo libro (1573), dove la tecnica parodistica adottata privilegia l'uso di singoli incisi motivici, più che intere frasi, allo scopo di favorirne un uso intensivo e maggiori possibilità combinatorie per arrivare a quella densità di ordito polifonico distintiva dell'I. e richiamante ancora Berchem e Rore. Il tipo di scrittura rimane sostanzialmente immutato anche nel secondo libro (1587), benché le cinque messe utilizzino la tecnica della parafrasi del cantus prius factus e si assista a una generale semplificazione della struttura melodica delle voci, fondamentalmente sillabica senza mai arrivare a un'omoritmia accordale. Tale mezzo, contestualmente all'uso di opportune dissonanze, è invece impiegato diffusamente nei Responsoria a 4 voci del 1588 (e nelle complementari Lamentationes) per fare "lacrimosa la composizione" (Ponzio) e quindi rendere più efficace l'espressività dei testi per la settimana santa, nell'intonazione dei quali l'I. realizza per i versetti una polifonia più mossa riducendo l'organico a sole tre voci.
Differenti esigenze costruttive, infine, impone la raccolta policorale del 1589, dedicata al vescovo Sfondrati in occasione del conferimento della porpora cardinalizia: qui le architetture antifonali, a confronto con le esperienze veneziane, non sfigurano per magnificenza sonora e per l'originalità costruttiva generale, e le singole voci non si dispongono in gruppi compatti ma tendono a mantenere una certa indipendenza ritmica.
Per il catalogo delle composizioni a stampa e manoscritte si rimanda rispettivamente ai contributi di M.T. Rosa Barezzani e di G. Bonomo. La pubblicazione delle opere complete dell'I. è in corso dal 1994: M.A. Ingegneri, Opera omnia, a cura di M. Caraci Vela et al., Lucca; fino a oggi sono usciti: Il terzo libro dei madrigali a cinque voci, a cura di M. Mangani, 1994; Liber primus missarum, a cura di R. Tibaldi, 1994; Sacrae cantiones senis vocibus, a cura di D. Sabaino, 1994; Il secondo libro dei madrigali a quattro voci, a cura di M.T. Rosa Barezzani, 1999; Liber secundus hymnorum, a cura di M. Toffetti, 2002.
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