DE ROSSI, Marc'Antonio
Figlio di Mattia, nacque nel Bergamasco nel 1607; la sua carriera di architetto si svolse tutta a Roma. L. Pascoli (1730) lo cita con la qualifica di "non mediocre" nella biografia dei figli Matthia e Domenico, anch'essi architetti. Lo chiama "romano", certo perché il D. lasciò il luogo d'origine molto presto, prendendo parte al progetto della fortificazione esterna di Castel Sant'Angelo, in corso dal 1626 al 1640 (Heimbürger, 1971, p. 29).
Questa partecipazione è indicativa della sua specializzazione come architetto militare, per quanto la sua attività globale sia tutt'altro che relegata a questo campo. I lavori intorno a Castel Sant'Angelo furono prontamente seguiti dal progetto di fortificazione di Urbano VIII che, nel 1643, per proteggere la zona di Trastevere, in gran fretta fece erigere una cortina muraria che dalla porta Cavalleggeri, attraverso tutto il Gianicolo, raggiungeva il Tevere presso il porto di Ripa Grande.
Secondo il Gigli l'opera coinvolgeva "molte migliaia di persone", e anche il D., responsabile, tra l'altro, della progettazione della porta S.Pancrazio, sostituita nel 1854 dall'attuale costruzione di Virgilio Vespignani, e dell'ancora esistente porta Portese. Tutte e due consistenti di una sola apertura ad arco, ma altrimenti di concetto completamente differente, sono tramandate come opere sicuramente sue dal Bonanni (11, 1706, p. 585; Brauer-Wittkower, 1931, p. 32 n. 3); le porte compaiono nel loro contesto originale nel Vasi (1747).
La porta S. Pancrazio era di notevole eleganza, con al centro una ben proporzionata sopraelevazione in forma di attico, recante il campo per l'iscrizione; aveva il fornice fiancheggiato da due lesene a bugnato liscio (la raffigurazione del Vasi mostra leggere varianti rispetto al disegno del cod. Vat. lat. 11257 f. 37, pubblicato da M. Heimbürger, 1971, tav. XXXII, 2). La parte superiore che si restringe verso il centro, ad angolo retto, e culmina in una lanterna o padiglione con cupola, come quelle che il D. disegnerà più tardi su un prospetto per le torri campanarie della chiesa medievale di San Martino al Cimino, mostra già un elemento ricorrente che il D. aveva assorbito dal Borromini (cfr. l'ingresso al Castel Sant'Angelo del Borromini in Heimbürger, 1971, tav. XXVII, 1): il parapetto che, tramite una serie di perforazioni, imita in forma molto semplice una balaustra. Il D. caratterizza così anche la porta Portese, la quale però, salvo questo particolare e la forma rettilinea, con il motivo delle colonne, qui incassate, che racchiudono nicchie ad arco, evoca piuttosto la porta S. Spirito di Antonio da Sangallo il Giovane.
Il lavoro più riguardevole a cui è connesso il nome del D. è l'adattamento e trasformazione del complesso di San Martino al Cimino (concesso da Innocenzo X a sua cognata donna Olimpia Maidalchini nel 1645), consistente allora di una quasi deserta abazia medievale, con i suoi soliti annessi, e di una piccola borgata. Si voleva farne un decoroso principato delineato mediante l'impiego dei principi propri di una "città ideale".
Urbanisticamente, la difficoltà consisteva nel congiungimento della zona abaziale, in posizione sopraelevata, col villaggio che si era sviluppato lungo un asse diagonale rispetto alla facciata della chiesa.
Soprintendente generale dall'inizio alla fine dei lavori, nel 1654, fu Virgilio Spada, mentre il D., secondo gli accertamenti della Heimbürger-Ravalli (1971; 1977, pp. 266 s.), è documentato come architetto, e abitante stabilmente a San Martino dal gennaio 1651 al settembre 1652. Durante il periodo dal 1646 al 1652 ebbe luogo la sistemazione come palazzo baronale dell'edificio maggiore, sulla sinistra della chiesa, con l'aggiunta di una scala a chiocciola esterna, sulla facciata posteriore, ideata da Virgilio Spada stesso (Heinbürger-Ravalli, 1977, p. 268). Al D. spettò la progettazione dell'adattamento della vecchia chiesa abaziale sia all'interno sia, in modo particolare, all'esterno, dove la facciata, distinta da una grande finestra a strombatura, fu corredata, forse con un certo riferimento ai prototipi forniti dal Serlio (cfr., per e s., libro V, p. 218), da due torri campanarie. Il D. aveva elaborato due progetti principali (Heimbürger, 1971, tavv. VI e VII): salvo alcune modifiche fu eseguito quello medioevalizzante con bifore e tetti piramidali che congiunge le torri in maniera congeniale con la facciata preesistente (Bentivoglio-Valticri, 1973, p. 31 tav. 33). Il disegno alternativo prevedeva invece celle campanarie in forma di tempietti con balaustre o cupole, reminiscenti in certo modo del "tempietto" della porta S. Pancrazio già menzionata. Del progetto alternativo fu adottato per l'esecuzione soltanto il motivo degli orologi nei riquadri sotto le aperture. Rimane aperta la questione se la scelta si debba a Virgilio Spada il sovrintendente, o all'ideatore stesso, il D. (una variante della soluzione adottata, in Heimbürger, 1971, tav. VIII).
Attribuibile al D. è anche la serie dei disegni per la sistemazione dell'accesso alla chiesa (Heimbürger, 1971, tavv. X e XI), fra i quali notevoli quello che prevede la scala su pianta esagonale e l'altro nel quale due rampe si fronteggiano a forma di semicerchi. Per l'esecuzione (1651-1654) fu invece preferito di dare enfasi a un poderoso podio antistante la facciata della chiesa a cui si accede lateralmente, attraverso una rampa.
Non può ancora essere risolta la questione più importante: fino a che punto il D. fosse responsabile, come ideatore, della sistemazione urbanistica del complesso edilizio che circonda l'abside della chiesa: un vasto semicerchio assecondato da edifici a schiera, che fiancheggiano anche la salita e le mura laterali sulla parte sinistra della "nuova" città. Il progetto urbanistico fu infatti attuato soltanto dopo l'autorizzazione data da Innocenzo X nel 1653, quando, secondo gli accertamenti della Heimbürger-Ravalli (1977, pp. 266 ss.), il nome del D. non compare più, essendo egli stato sostituito come architetto della fabbrica da Virgilio Spada. Rimane però più che probabile che la sistemazione urbanistica, sviluppatasi fin dall'inizio in maniera molto coerente (Bentivoglio-Valtieri, 1973, pp. 103-118), fosse più o meno predisposta quando nel 1653 il D. dovette lasciare l'incarico perché, come ipotizza la Heimbürger-Ravalli (1977, p. 269), la sua amministrazione dei materiali da costruzione lasciava a desiderare.
Il motivo del grande semicerchio, che nel corso della progettazione fu ancora notevolmente allargato e divenne definitivo, si trova, infatti, già sulla pianta Vat. lat. 11247, f. 42, che precede la progettazione dei campanili della chiesa, eretti fra il 1651 e il 1654, e quindi senza dubbio risale al periodo in cui il D. era architetto stabile della fabbrica di San Martino al Cimino. Oltre l'idea dell'esedra, questa pianta mostra pure, disegnati a matita, tutti i particolari essenziali alla fortificazione e urbanizzazione della città come furono realizzati più tardi (questi particolari sono meglio visibili nella riproduzione in Bentivoglio-Valtieri, 1973, tav. 46). La soluzione della questione attributiva appare quindi dipendere più che altro dall'identificazione dell'autore delle disposizioni indicate a matita (cfr. Marconi, 1970, pp. 118 s.; Bentivoglio-Valtieri, pp. 31, 103 s.).
Non è da escludere che le aggiunte a matita appartengano al periodo in cui il D. era ancora architetto della fabbrica a San Martiiio e, con la progettazione di fortificazioni, si trovava proprio nel suo campo di specializzazione come architetto militare. La planimetria del cod. Vat. lat. 11257, f. 41 (Bentivoglio-Valtieri, tav. 47; per gli studi sulla attribuzione della planimetria, cfr. Heimbürger, 1971, p. 23, e Id., 1977, p. 324), allarga fino alla misura attuale l'esedra dietro la basilica, usufruendo del motivo essenziale ereditato fuori dubbio dal periodo dell'incarico del De Rossi. Quindi, pur considerando che la progettazione ed esecuzione dei lavori a San Martino al Cimino ebbe luogo con la partecipazione di diversi architetti, fra cui il Borromini, il Bernini, il Maruscelli, ecc. (Heimbürger-Ravalli, 1977, p. 268), non si deve sottovalutare il ruolo importante e probabilmente decisivo, per il risultato finale, del De Rossi. Come architetto responsabile della sistemazione della facciata gli può anche spettare il merito di aver usufruito del potenziale scenografico offerto dalla posizione della fronte dell'abbazia. L'ignoto autore delle Prospettive della Terra di S. Martino nell'Archivio Doria Pamphilj non mancò di mettere in rilievo questa qualità Bentivoglio-Valtieri, tav. 79), che del resto è ancora oggi facilmente verificabile.
Di particolare importanza è il fenomeno della progettazione ed esecuzione di case secondo modelli prestabiliti che, come il disegno della città stessa, ricorda l'esempio della "Fuggerei" della fine del Cinquecento ad Augusta benché di carattere strettamente sociale. Che il D. avesse una parte nel concepimento delle "case a schiera" è di nuovo più che probabile, sebbene i disegni esistenti siano almeno in parte di mano diversa, e l'esecuzione abbia avuto luogo in un periodo successivo a quello della sua direzione dei lavori.
Circa una partecipazione del D. nel progetto assai affine di Virgilio Spada, del 1651, di eliminare la spina di Borgo, per creare un accesso più decoroso alla basilica vaticana rendendola visibile da lontano, il problema non sussiste più da quando M. Heimbürger-Ravalli tolse l'attribuzione del disegno Vat. lat. 11257 al D. (1971, p.28, tav. XXXVI), per darlo, con buone argomentazioni, a Francesco Righi (1977, pp. 221, 323). Che il D. possedesse un forte senso per gli effetti scenografici nell'architettura rimane confermato da un'opera come la porta S.Pancrazio, purtroppo non più esistente, come pure dalla struttura della fontana dell'Acqua Acetosa, la cui invenzione è stata attribuita al D. dalla Heimbürger (1971, pp. 30 s., tav. XLVII).
L'esecuzione ebbe luogo nel 1661-62 e quindi terminò dopo la morte di lui. La parte convessa della "mostra" dell'acqua, che racchiude l'accesso alla sorgente, a cui si discende sulla parte destra, è ornata, per la vista da una certa distanza, da un frontone che, ovviamente, deriva da quello della porta del Popolo del Bernini.
Al Bernini il D. affidò, per la formazione come architetto, il proprio figlio Matthia, che diverrà poi il più stretto collaboratore del maestro.
Il D. morì nel 1661 (fu sepolto il 20 marzo: Roma, Archivio storico del Vicariato, S. Spirito in Saxia, Liber Mortuorum, 1660-1681), a soli 54 anni. La sua opera è quindi assai limitata, e in più gli ultimi anni della sua vita li spese nella Fabbrica di S. Pietro, di cui fu soprastante dal 1º marzo 1657 al 19 marzo 1661 (Arch. d. Rev. Fabbr. di S. Pietro, Primo Piano, Serie armadi, vol. 305, f. 204), come misuratore della Camera apostolica e nel servizio di S. Agnese in piazza Navona (Eimer, 1970-71, pp. 212, 324, 673, 710).
Una valutazione appropriata della figura del D. è resa difficile dalla ristrettezza della sua produzione e dal fatto di aver lavorato, a San Martino al Cimino, alle dipendenze di Virgilio Spada, fatto che rende press'a poco impossibile una netta distinzione del suo contributo in questa località. Quello che si può constatare è che ebbe il talento di mettere in rilievo effetti scenografici, e che mostrò un non consueto tatto per quanto concerne l'integrità estetica di una struttura di epoca ben differente. Quindi, quale che sia l'estensione del suo contributo nella realizzazione del progetto di San Martino al Cimino, gli elementi a nostra disposizione sono più che sufficienti per confermare il giudizio di L. Pascoli (1730, I, p. 322) che con notevole rispetto lo chiamò "non mediocre architetto".
Fonti e Bibl.: G. Gigli, Diario romano (1608-1670), a cura di G. Ricciotti, Roma 1958, p. 225; F. Bonanni, Numismata Pontificum Romanorum, II, Romae 1706, p. 585; L. Pascoli, Vite de'pittori, scultori ed architetti moderni, I, Roma 1730, pp. 322 s.; G. Vasi, Delle Magnificenze di Roma, I, Roma 1747, pp.LXVII, LXXV, tavv.12 s.; F. Ehrle, Dalle carte e dai disegni di V. Spada, in Mem. della Pontif. Accad. rom. di archeologia, s. 3, II (1928), pp. 28-44, 74 s.; H. Brauer-R. Wittkower, Die Zeichnungen des Gian-Lorenzo Bernini, Berlin 1931, p. 32 e passim; M. Piccione, Documenti storici: San Martino al Cimino. in Urbanistica, IV (1950), pp. 63-66; C. D'Onofrio, Le fontane di Roma, Roma 1962, p. 76 n. 30; P. Marconi, La abbazia di San Martino al Monte Cimino, in L'Architettura, IX (1963), pp. 262-73; Id., Le fabbriche pamphiliane di Borromini, in Studi sul Borromini, Atti del convegno promosso dall'Accad. naz. di S. Luca, Roma 1970, pp. 118 s.; G. Spagnesi, G.A.D. …, Roma 1964, pp. 43, 47 n. 46, 119; G. Eimer, La Fabbrica di S. Agnese in Navona, Stockhohn 1970-71, pp. 126, 154, 202, 212, 324, 623, 673, 708, 710; M. Heimbürger, L'architetto militare M. D. e alcune sue opere in Roma e nel Lazio, Roma 1971; C. D'Onofrio, Castel Sant'Angelo, Roma 1971, pp. 235, 261 s.; E. Bentivoglio-S. Valtieri, San Martino al Cimino, L'Abbazia - Il Paese e una ipotesi per il futuro, Viterbo 1973, pp. 31, 42 nn., 60, s., 102-105, 112 n. 17, 131 n. 37, 132 n. 51; M. Heimbürger-Ravalli, Architettura, scultura e arti minori nel barocco italiano, Firenze 1977, pp. 214, 261, 266-270, 323 s., 328, 330; C. D'Onofrio, Castel Sant'Angelo, Roma 1978, pp. 298 s., 322 ss.; P. Portoghesi, Roma barocca, Roma-Bari 1978, p. 343; H. Hager, in Macmillan Encicl. of architects, I, London 1982, pp. 560 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXIX, p. 67 (s. voce Rossi, Marcantonio de); Diz. Encicl. di archit. e Urbanist., II, p. 160.