CANAL, Marc'antonio
Nacque a Venezia nel 1484, da Francesco. I primi anni dell'attività politica e militare non costituirono per il C. un bilancio positivo: nel 1501, infatti, per essersi ritirato presso capo Malio, di fronte all'assalto di sette fuste turche, in qualità di sopracomito, venne privato per cinque anni della galera dal comandante generale Pesaro. Bisognerà attendere il 10 febbr. 1516, con la sua nomina a provveditore di Veglia e mille ducati di paga, per ritrovarlo nella vita politica di Venezia con un tratto ben definito di capace amministratore. Ma iniziò l'attività di provveditore solo il 6 settembre; in precedenza, fra il marzo e l'aprile dello stesso anno, compare fra sette gentiluomini "stati a le porte di Padoa zorni 42".
Nelle linee della politica amministrativa seguita dal C. si rintraccia il profilo di un uomo attento sì al denaro pubblico, ma pure sempre pronto, qualora l'occasione lo permetta, al proprio personale utile. Innanzitutto, con mano ferma, attua una completa modificazione del personale amministrativo scegliendo persone di sua fiducia; ed è sulla base di questo tessuto di fidati collaboratori che svolge il suo mandato. Si tratta di una attività intensa: informa dettagliatamente la Signoria delle novità politiche e militari della Dalmazia, come il 17 giugno 1518 quando avverte "aver nova il ban di Croatia esser andato con zente, persone 20 mila, a tuor un castello di turchi" (Sanuto, Diarii, XXV, col. 463); trasmette le lettere del Consiglio dei dieci all'oratore in Buda Alvise Bon (agosto 1517); piuttosto crudamente amministra la giustizia, ma, soprattutto, attua una oculata amministrazione che lo porterà, il 15 febbr. 1519, ad inviare all'Arsenale veneziano la cospicua somma di ottocentoquaranta ducati che permise la copertura delle notevoli spese effettuate negli anni precedenti. In quel momento storico quando ancora non erano spenti gli echi della grave "crisi" di Agnadello, uomini come il C., pratici e spregiudicati, erano quanto mai preziosi alla Repubblica. E l'ammirazione verso di lui è il motivo dominante delle lettere di Agostino da Mula, capitano di Zara, del settembre 1517: andato a Veglia non aveva potuto non ammirare il "bon portamento" del C., l'eliminazione di molte spese superflue e la possibilità, nel tempo futuro, di poter raccogliere considerevoli entrate: da molti anni Venezia, si dirà nel febbraio 1519, "non ha auto danari tanti di quella ixola".
Lasciata Veglia nell'agosto 1519, l'anno seguente, nel novembre, succede a Francesco Celsi quale conte e capitano di Spalato, nel momento di una acuta pressione turca nei possedimenti veneziani, in particolare proprio nella zona di Spalato, ove arrecano gran "danno". Energica, tuttavia, fu l'azione del C. volta, nel vivo delle scorrerie turche, a porre rimedio ad una pesante situazione militare ed amministrativa: "la terra molto mal in ordine", scriveva il 26 ott. 1520; "le mure intorno da due bande rote; il borgo nel qual è da anime 400 aperto", mentre il castello, ormai "vechio", risulta inutile per cui sarebbe necessario "ruinarlo". Le stesse munizioni, pur in quantità notevole, "nulla valeno"; la "Camera", a sua volta, è assai indebitata e nei castelli della terra risultano in tutto "soldati 24 vechi e puti" (Sanuto, Diarii, XXIX, coll. 454-455). La riorganizzazione procede veloce; ed a distanza di un anno, il 15 ag. 1521, è in grado di rintuzzare una scorreria turca nel territorio, recuperare anzi le "anime" predate, oltre a far prigionieri "13 turchi... li quali li vol castigarli et brusarli vivi". "Li tempi contrarij e fortunevoli" di Spalato sembrano momentaneamente essere terminati e la "terra" ricondotta ad una maggiore sicurezza.
Come a Veglia, anche la giustizia è amministrata duramente: su indicazione del C. il castellano della fortezza Luca Gritti che con "poco respecto" aveva "contractato et venduto" le artiglierie viene perseguito. Nel contempo il tessuto di informazioni che invia periodicamente risulta quanto mai prezioso: spostamenti navali, o terrestri, dei Turchi; fuste che prendono il largo in occasione delle fiere per predare; echi di preparativi militari a Costantinopoli (il 10 febbr. 1521 riferisce, infatti, "siché risona la gran adunantia si fa a Costantinopoli di zente").
L'elogio del doge quale gli venne tributato al ritorno a Venezia il 24 ott. 1523 rispecchiava una stima ormai riacquistata (la Relatio di Agostino Valier del novembre 1527 porterà ad esempio ancora il suo "regimento" di Veglia). Sull'onda di essa, il 19 luglio 1526, il C. è nominato capitano di Famagosta. Ma questa volta l'interesse personale prenderà decisamente il sopravvento: accettandolo solo per danaro, e sul metro del guadagno impostando tutta la sua azione (in effetti, verrà osservato, "ha vadagnato assai"), i rancori e le inimicizie lo caratterizzeranno.
Se il 20 apr. 1530 il C. era di nuovo di ritorno a Venezia a riferire, terminato il mandato, delle "fabriche" di Famagosta, il 15 giugno un avvenimento gettava, indirettamente, luce su questo "regimento". Alcuni giorni prima, infatti, a Venezia era morto assassinato un cipriota, da poco giunto da Famagosta a "dolersi" del C. contro il quale, da parte di Zuan Alvise Navagero, ormai morto, era stato "formato processo". Morte misteriosa questa del cipriota. Si sospettò subito il C. negli ambienti dei ciprioti, per cui si ritenne opportuno rivolgersi al doge. Un amico dell'ucciso, il 15 giugno, mentre il doge si recava a S. Vio, gli si gettò davanti in ginocchio implorando giustizia ed accusando pubblicamente il Canal. Ma accusare dei "zentilhomeni" da parte di "tristi", come sottolineò Vital Vitturi presente alla scena, arrecava solo danno e suscitava omertà. Tutto, infatti, si chiuse con questo amaro episodio senza alcun strascico giudiziario: l'uomo che col danaro raccolto a Veglia aveva salvato l'Arsenale, aveva pure fatto dimenticare la "fuga" del 1503 ed era divenuto un "difensore" della Repubblica.
Morì nel 1538, lasciando un figlio, Gianfrancesco, ammirato "magnus philosophus" da Agostino Valier.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei dieci, Lettere di Rettori, bb. 281, 282, 291; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, ms. It., cl. VII, 925 (= 8594): M. Barbaro, Geneal. di fam. patrizie venete, II, c. 204v; M. Sanuto, Diarii, XXII-LIII, Venezia 1887-1899, ad Indices; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni veneziane, VI, Venezia 1853, p. 608; Commissiones et relationes venetae, a cura di L. Ljubić, I, Zagabriae 1876, pp. 95, 141; II, ibid. 1877, pp. 20, 36.