maraviglia
Conformemente al neutro plurale latino mirabilia, donde deriva, indica in generale " cosa mirabile, eccezionale, inattesa " che desta in chi la guarda o la ode un senso di stupore, sconfinante a volte nell'incredulità (v. la definizione di ‛ stupore ', in Cv IV XXV 5): Maraviglia udirai, se mi secondi (Pg XVI 33), Saria tenuta allor tal maraviglia / una Cianghella, un Lapo Salterello, / qual or saria Cincinnato e Corniglia (Pd XV 127).
Con tale significato dà luogo a sintagmi sul tipo di ‛ esser m. ', ‛ parer m. ', ‛ sembrar m. ' seguiti da proposizioni subordinate, di solito ipotetiche (modulo comune al francese e al provenzale, ma presente anche in Rinaldo d'Aquino, Cino e altri italiani), oppure interrogative indirette, o soggettive, implicite ed esplicite: Se tu se' or, lettore, a creder lento / ciò ch'io dirò, non sarà maraviglia, ché io che 'l vidi, a pena il mi consento (If XXV 47); Maraviglia sarebbe in te se, privo / d'impedimento, giù ti fossi assiso (Pd I 139); a me medesimo pare maraviglia, come cotale produzione si può pur conchiudere e con lo intelletto vedere (Cv IV XXI 6).
Si vedano i luoghi seguenti, tutti segnati, come i precedenti, di una particolare concitazione intellettuale ed emotiva: Cv II XV 9, IV V 1, VII 4 (non minore maraviglia mi sembra reducere a ragione [colui in cui è la luce di ragione] del tutto spenta, che reducere in vita colui che quattro dì è stato nel sepulcro), Pg XXVIII 115, Pd X 47, XXVIII 59, Fiore XLVIII 6.
A un accentuato moto sentimentale del soggetto, turbato dalla realtà o dalla prospettiva di un'esperienza straordinaria, si debbono la forma esclamativa di Rime CVI 24 O Deo, qual maraviglia / voler cadere in servo di signore, / o ver di vita in morte!, dove la m, si sprigiona dall'attrito con lo spettacolo della virtù offesa e della verità tradita, quella di If XV 24 Qual maraviglia!, strappata a B. Latini dall'apparire di D.; l'altra di Pg I 134 Oh maraviglia, dinanzi al prodigio del giunco subito rinato là donde Virgilio l'aveva divelto, e infine la più elaborata frase di If XXXIV 37, sulla mostruosità di Lucifero tricipite.
Dall'indicazione del sentimento m. passa naturalmente a denotare i segni esterni che lo manifestano: se cosa n'apparisce nova, / non de' addur maraviglia al tuo volto (If XIV 129); Di maraviglia, credo, mi dipinsi (Pg II 82).
Per un'ulteriore intensificazione del valore concettuale il vocabolo s'innalza al livello di " prodigio " o meglio " miracolo ", sul solco di un vasto uso scritturale, i cui esempi vanno da Iob 37, 14 " considera mirabilia Dei ", a Ps. 9, 2 " narrabo omnia mirabilia tua "; 76, 15 " Tu es Deus qui facis mirabilia "; 88, 6 " Confitebuntur caeli mirabilia tua, Domine ", a Matt. 21, 15 " Videntes autem principes sacerdotum et scribae mirabilia quae fecit ", a Luc. 5, 26 " Et stupor apprehendit omnes et magnificabant Deum et repleti sunt timore dicentes: Quia vidimus mirabilia hodie ".
Sebbene questo grado semantico non si trovi applicato da D. ad argomenti specificamente religiosi, esso predomina nella tematica dell'amore per Beatrice che ha continue implicazioni col sovrannaturale. Altri stilnovisti adornano di m. gli atti, le bellezze, l'essenza stessa della donna amata; è il caso di Lapo Gianni che probabilmente scrive col modello dantesco davanti agli occhi: " S'io fosse sofficiente / di raccontar sua maraviglia nova / diria come Natura l'ha 'dornata " (Questa rosa novella 5-7), " e 'serverai meraviglia sovrana " (Poi che ti compuose Amore 41), " ed ogni su' atterello è meraviglia " (Dolc'è 'l pensier che mi notrica 'l core 9). Ma la natura del vocabolo, nelle situazioni alle quali si rifà Lapo Gianni, appare già depotenziata, assai vicina alle misure di una consueta metafora.
D. vi richiama un'urgenza quasi liturgica e una trepidazione adorante, in concordia con la visione dell'amore che delinea per la prima volta nella Vita Nuova, oltrepassando i confini dello stilnovismo in una direzione personale. La teorica più esplicita di tale interiore orientamento è nelle parole dell'angelo a Dio, Sire, nel mondo si vede / maraviglia ne l'atto che procede / d'un'anima che 'nfin qua su risplende (Vn XIX 7 17), non a caso appartenenti alla canzone Donne ch'avete intelletto d'amore con la quale s'inaugura il corso nuovo della lirica dantesca. Il pensare e l'agire di Beatrice, il complesso delle sue virtù effettive (ne l'atto) ricevono dall'autorità del parlante un crisma tutto particolare, e superfluo potrebbe sembrare il rimando a luoghi notissimi in cui la donna è novo miracolo e gentile (XXI 4 14), cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare (XXVI 6 8).
L'equazione miracolo-m. riverbera la sua luce in certe espressioni apparentemente patinate di colorito letterario restituendole a un più preciso valore: noi potremmo stare a vedere la maraviglia di questa donna (Vn XIV 6); colui che era stato genitore di tanta maraviglia quanto si vedea ch'era questa nobilissima Beatrice (XXII 1); Io vidi monna Vanna e monna Bice / venire inver lo loco là 'v'io era, / l'una appresso de l'altra maraviglia (XXIV 8 11), dove Giovanna è equiparata a Beatrice in quanto sua prodigiosa anticipazione, al modo in cui quello Giovanni... precedette la verace luce, dicendo " Ego vox clamantis in deserto: parate viam Domini " (XXIV 4). Altrove invece quell'equazione sollecita direttamente una pronuncia intonata al timbro più caratteristico del ‛ libello ' e memore delle leggende agiografiche come delle devotiones medievali: E altri diceano: " Questa è una maraviglia; che benedetto sia lo Segnore, che sì mirabilmente sae adoperare! " (Vn XXVI 2).
Che non si tratti di parola attinta con l'indifferenza della consuetudine al linguaggio corrente, discende per attestazione indubbia da Cv II XV 11 di questo vocabulo, cioè ‛ maraviglia ', nel seguente trattato più pienamente si parlerà. E nulla toglie alla sua peculiare pregnanza l'avvenuta trasposizione del termine da Beatrice alla Donna gentile, anch'essa come Beatrice, anzi, nel momento della palinodia, più di Beatrice miracolo presente in terra nelle vesti della Filosofia: quando dice: tu vedrai Di sì alti miracoli adornezza, annunzia che per lei si vedranno li adornamenti de li miracoli: e vero dice, ché li adornamenti de le maraviglie è vedere le cagioni di quelle (§ 11).
La promessa trattazione della m. non avviene nel III trattato del Convivio in modi espliciti. Potremo indicare come possibili riferimenti: VI 12 con ciò sia cosa che in costei si veggiano, quanto è da la parte del corpo, maravigliose cose... manifesto è che la sua forma, cioè la sua anima, che lo conduce sì come cagione propria, riceva miracolosamente la graziosa bontade di Dio; VII 16 con ciò sia cosa che... questa donna sia una cosa visibilmente miraculosa... manifesto è che questa donna, col suo mirabile aspetto, la nostra fede aiuta; soprattutto XIV 14, che commenta III Amor che ne la mente 52 'l suo aspetto giova / a consentir ciò che par maraviglia: Onde, sì come per lei molto di quello si vede per ragione, e per conseguente essere per ragione, che sanza lei pare maraviglia, così per lei si crede [ch']ogni miracolo in più alto intelletto puote avere ragione.
Il vocabolo non partecipa alla recuperata signoria di Beatrice sull'anima dantesca, quale si celebra nella Commedia, dove più che altro, nella forma avverbiale ‛ per m. ' unita a verbi come ‛ guardare ', ‛ riguardare ', esprime lo stupore delle anime alla vista del viaggiatore, aprendo inserti carichi di aspettazione: s'arrestaron nel fosso a riguardarmi / per maraviglia (If XXVIII 54); Un altro... / ristato a riguardar per maraviglia (v. 67); vidile guardar per maraviglia / pur me, pur me, e 'l lume ch'era rotto (Pg V 8); una volta è in funzione del sentimento dantesco, commosso e rapito dall'apparizione di Matelda: e là m'apparve, sì com'elli appare / subitamente cosa che disvia / per maraviglia tutt'altro pensare, / una donna soletta (Pg XXVIII 39).
A parte il modulo ‛ far m. ' (Pd XXVII 139) e la locuzione avverbiale ‛ a m. ' equivalente a " meravigliosamente ", " straordinariamente " (XI 90 e XIX 84), occorre infine citare un luogo del Paradiso (XI 77) oggetto di discussioni filologiche ed esegetiche: La lor concordia e i lor lieti sembianti, / amore e maraviglia e dolce sguardo / facieno esser cagion di pensier santi. Sembra da scartare, sotto il profilo testuale, la lezione amore a maraviglia proposta da alcuni commentatori (fra i moderni Porena e Chimenz) contro la documentazione dei codici, lezione che richiamerebbe la già ricordata occorrenza del v. 90 e darebbe il senso di " amore meraviglioso ". M. si colloca qui nella serie dei sostantivi che con tutta probabilità fanno da soggetto a facien esser cagione (cfr. Vandelli, nel commento scartazziniano; Petrocchi, Introduzione 186, e ad l.) e allude o all'ammirazione reciproca dell'uno amante per la virtù dell'altro (Landino, Vellutello) o, meno bene (si noti l'eguaglianza dei membri in lor concordia e in tutte le altre qualificazioni), a quella che Francesco mostrava per la sposa sua (Tommaseo).