mappa cognitiva
Rappresentazione mentale elaborata da un organismo in riferimento a un ambiente fisico (lo spazio tridimensionale) o anche simbolico (un insieme di conoscenze), che permette all’organismo stesso di pianificare le proprie azioni in quell’ambiente. Il concetto di m. c. fu introdotto in psicologia sperimentale da Edward C. Tolman nei primi decenni del 20° sec.; negli esperimenti di Tolman, un ratto impara a localizzare la propria posizione in un labirinto in rapporto all’uscita e ad altri indici di orientamento presenti nell’apparato o nell’ambiente in cui questo è posto: così, per es., la via di fuga può essere ritrovata in base a tracce olfattive depositate dall’animale nel corso di precedenti esplorazioni, oppure in base alla posizione di una porzione del labirinto rispetto alla forma della stanza, alla posizione di suppellettili, ecc.
Negli anni Settanta del 20° sec., John O’Keefe e Lynn Nadel rielaborarono il concetto di m. c. associandolo a un sistema cerebrale in grado di acquisire informazioni relative all’ambiente circostante (esplorazione), e di integrare tali informazioni in una rappresentazione neuronale per la costruzione di una mappa mentale costantemente aggiornata. Questa mappa verrebbe utilizzata da persone e animali per calcolare traiettorie per raggiungere luoghi familiari o non familiari in base a punti di riferimento conosciuti (definiti landmark), e potrebbe anche essere usata dall’uomo nel caso di analoghi processi non spaziali, come il ragionamento per sillogismi. Questi autori ritenevano che l’ippocampo (→) fosse la struttura cerebrale responsabile del sistema di mappatura cognitiva. Tale ipotesi si fondava principalmente sull’osservazione, condotta su cavie di laboratorio, che alcuni neuroni di questa regione si attivavano solo quando le cavie visitavano uno spazio determinato, e sugli studi di lesioni selettive ippocampali. L’introduzione del concetto di m. c. ha anche dato impulso a una linea di ricerca di natura più etologica sulla memoria spaziale e sulle strutture neuronali a essa connesse. Il paradigma più comunemente usato in questi casi è la memoria per depositi nascosti di scorte alimentari, un tipo di memoria che mostra grandi differenze interspecifiche nelle cince e nei corvidi, probabilmente in funzione dell’habitat; un minor numero di studi è stato condotto sui mammiferi.
Molti studi si sono concentrati sui meccanismi cognitivi che permettono alle persone l’identificazione e la memorizzazione di percorsi in grandi città. Secondo l’urbanista americano Kevin Lynch, lo spazio urbano viene immagazzinato nella memoria a lungo termine per mezzo di cinque categorie di informazioni: i percorsi codificano quali strade, passaggi, mezzi di trasporto, ecc. gli individui sanno di poter utilizzare per spostarsi; i margini rappresentano i confini e i limiti ben percepiti e non direttamente valicabili come mura, edifici, fiumi, ecc., che vanno aggirati mediante specifici percorsi; i quartieri codificano le porzioni (o sottomappe) relativamente larghe della città dotate di caratteri specifici e di una propria identità affettiva o funzionale per l’individuo, come per es. il centro commerciale o il quartiere degli affari; i nodi contengono le tracce mnestiche sui punti focali della città, ossia le intersezioni tra vie di comunicazione che si possono percorrere tra un quartiere e l’altro; infine, i riferimenti sono costituiti dalle caratteristiche fisiche o dagli oggetti dello spazio identificabili percettivamente, anche a distanza, che funzionano come punto di riferimento e orientamento (concetto, questo, analogo a quello di landmark in etologia). Secondo Lynch, la m. c. non contiene solo le informazioni cognitive ‘fredde’ sull’ambiente: infatti, il concetto di ‘leggibilità’ di un luogo esprime la capacità di un individuo di capire un dato spazio urbano in modo tale da sperimentare emozioni positive ed evitare quelle negative, derivanti dalla mancanza di informazioni. Più recentemente, il concetto di m. c. si è ampliato fino a designare uno schema mentale proprio di un organismo rispetto a qualunque organizzazione complessa di informazioni, per es. quello del bambino nei confronti della scuola e delle sue caratteristiche fisiche e sociali oppure quello di una persona nei confronti della gerarchia del gruppo sociale al quale appartiene. La m. c. è quindi divenuta un modello mentale formatosi in base all’apprendimento che contiene informazioni riguardo alle proprietà di un oggetto o di una situazione, le sue caratteristiche di funzionamento e la sua organizzazione; in tal senso, consente a una persona di memorizzare conoscenze. Si parla perciò di mappe concettuali, ossia modalità gerarchizzate di rappresentazione della conoscenza che si basano – analogamente alle m c. di tipo spaziale – su due elementi: i nodi, che rappresentano i fatti della conoscenza, e le connessioni tra i nodi, che invece rappresentano i modi in cui è logicamente possibile connettere (o navigare tra) più nodi della mappa in sottoinsiemi razionalmente validi. Le mappe concettuali sono un modello di memoria, traducibile in uno strumento grafico, per rappresentare le reti di conoscenze teorizzate da Joseph D. Novack negli anni Settanta del 20° sec., in base ai modelli di reti semantiche della memoria che in quegli anni gli psicologi cognitivisti andavano proponendo. Secondo un approccio cognitivo costruttivista, per cui ogni individuo è autore del proprio percorso conoscitivo all’interno di un contesto, le mappe concettuali servono a costruire e manipolare un apprendimento significativo, cioè la modificazione plastica e in continuo divenire delle strutture cognitive del soggetto, contrapposto all’apprendimento meccanico, che si fonda sull’acquisizione mnemonica di fatti e circostanze. Per questo motivo, attualmente (2010) la mappe concettuali sono uno strumento utilissimo per la didattica nella scuola primaria e secondaria inferiore.