MANTEGAZZA
Famiglia di artisti milanesi prevalentemente attestati nella seconda metà del Quattrocento a Pavia e Milano. Il gruppo familiare meglio noto dai documenti è quello composto da quattro fratelli, figli di un certo Galeazzo, gli scultori Cristoforo e Antonio e gli orafi Giovanni e Giorgio.
La matricola degli orafi milanesi registra Giovanni e Giorgio nel 1460 (il secondo anche nel 1479) ma resta ancora del tutto ignota la loro attività. Piuttosto cospicua è invece la documentazione su Cristoforo e Antonio, veri protagonisti nel panorama artistico lombardo di secondo Quattrocento, dimenticati dalle fonti letterarie e riscoperti solo dopo la metà del XIX secolo in seguito a ricerche d'archivio (Calvi), che hanno dimostrato anche la loro intensa attività per la certosa di Pavia e il favore di cui godevano presso la corte ducale di Milano.
Cristoforo, il maggiore, nacque intorno al 1429: nell'atto di morte del 1479 è registrato come cinquantenne (Morscheck, Antonio M.). Le sue prime attestazioni note lo ricordano attivo come tagliapietra presso il duomo di Milano tra la fine del 1448 e il 1451 (Shell, 1993, p. 200 n. 38; Morscheck, Antonio M.).
Antonio compare, invece, per la prima volta, già come "magister", in un atto notarile milanese del 1457; mentre negli anni 1458, 1461 e 1466 è documentato in relazione all'acquisto di materiali per il duomo di Milano, dove tuttavia non risulta abbia mai operato (Shell, 1993, p. 200 n. 39). Nel 1470 fu chiamato a testimoniare in una vertenza a Milano in cui era coinvolto Guiniforte Solari sul costo di alcune forniture di pietre (Biscaro, 1912).
Tra il 1462 e il 1475 i libri della Fabbrica della cattedrale milanese annotano diverse consegne di marmi a Cristoforo, per uso proprio e per i lavori del castello di Porta Giovia, l'attuale Castello Sforzesco (Annali…, 1877; Shell, 1993, p. 200 n. 38; Morscheck, Antonio M.).
La lunga operosità dei due fratelli presso la certosa di Pavia è attestata a partire dal 1463, inizialmente nei due chiostri, cui si riferiscono alcuni pagamenti che per lo più chiamano in causa il solo Cristoforo, ma talvolta riportano abbinati i nomi di ambedue (Albertini Ottolenghi, 1996, p. 604). Sono registrate consegne per diverse opere lapidee, quali colonnette e capitelli pensili figurati per entrambi i chiostri. È tuttavia nel chiostro grande che dovette concentrarsi maggiormente l'operato dei M., principalmente di Cristoforo, tanto nei manufatti in pietra, quanto in quelli dell'estesa decorazione in terracotta, sia nella realizzazione materiale delle opere sia nella fornitura di modelli. Cristoforo è registrato fino al 1466 nella parziale documentazione del chiostro grande, i cui lavori continuarono almeno fino al 1472 (Bernstein).
La molteplicità di tecniche scultoree praticate nella bottega dei due fratelli è testimoniata anche dai contratti con cui, tra il 1469 e il 1476, Cristoforo assunse sette apprendisti (tre dei quali anche a nome del fratello Antonio), impegnandosi a formarli nella scultura lapidea, di figura o di ornamento, ma in alcuni casi anche nell'intaglio ligneo, nella modellazione in terracotta e nel disegno (Shell, 1996, pp. 296, 304 n. 18; Morscheck, Antonio M.).
La serrata sequenza di tali contratti di apprendistato, gli unici oggi conosciuti a carico dei M., può essere spiegata con l'ampia attività della bottega svolta lungo gli anni Settanta e per buona parte condotta in un rapporto di rivalità col giovane astro nascente, Giovanni Antonio Amadeo, legato alla cerchia concorrente dei Solari. Già nel novembre 1469 Cristoforo si era impegnato, anche a nome del fratello Antonio, a spartire col collega Martino Benzoni i lavori, con relativi profitti e spese, per il monumento funebre di Bartolomeo Colleoni a Bergamo, qualora uno di loro ne avesse ricevuto la commissione, che in breve tempo fu invece affidata ad Amadeo (Shell, 1992).
A sua volta, nel settembre 1473, Amadeo aveva stipulato un analogo accordo preventivo di spartizione in vista dell'appalto per il rivestimento marmoreo della facciata della certosa di Pavia, associandosi a Lazzaro Palazzi, Giovanni Antonio Piatti, Gian Giacomo Dolcebuono e Angelo da Lecco (Schofield - Shell - Sironi, pp. 99 s. doc. 13).
Ma tale impresa, grazie alle ripetute raccomandazioni del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, venne assegnata nell'ottobre 1473 ai due M., che nei mesi precedenti avevano continuato a operare intensamente nel cantiere certosino, come risulta da una nota di credito di 800 lire del febbraio 1473 (Morscheck, 1978, p. 274 doc. 31).
Un mese dopo l'assegnazione dell'appalto della facciata, l'ingegnere ducale Bartolomeo Gadio riferì in una lettera di avere interpellato "magistro Christoforo et fratelli di Mantegazi orevexi" circa la loro disponibilità a eseguire un monumento equestre in bronzo a Francesco Sforza, opera fortemente desiderata dal duca, per la quale non si riuscivano a trovare in Lombardia maestri capaci nelle tecniche di fusione in scala monumentale. Cristoforo si era offerto di realizzarla in oricalco; ma l'opera non venne forse nemmeno iniziata, finché non fu affidata molti anni dopo a Leonardo da Vinci.
Intanto, i due M. si dedicavano intensamente ai lavori per la facciata e altre parti della certosa; e nel maggio 1474 avevano maturato un credito di 1600 lire, che i certosini si impegnavano a ripianare cedendo loro una proprietà immobiliare (Morscheck, 1978, pp. 277 s. docc. 43 s.).
Il contratto per la decorazione della facciata venne però annullato nell'agosto 1474, a seguito delle pressioni di Amadeo. Costui riuscì a ottenere la stipula di un nuovo contratto, che sanciva la suddivisione dei lavori in due metà, una affidata ad Amadeo e l'altra ai fratelli Mantegazza. Nel novembre 1476 venivano incaricati nella certosa quattro maestri per la stima di "quamplura laboreria per ipsos fratres de Mantegaciis facta et laborata in dicto Monasterio, videlizet tam de marmore quam de aliis diversis lapidibus" (Morscheck, 1978, pp. 281 s. doc. 68). L'anno seguente, in aprile, la duchessa di Milano Bona di Savoia, inviava una lettera al priore e ai monaci della certosa "in recommendatione de magistro Cristoforo, et magistro Antonio de Mantegazii scultori de marmori subtili quali sono in li vostri servitii ad lavorare ad la giexa del vostro monasterio" (ibid., p. 282 doc. 74). Non è chiaro il motivo di tale raccomandazione, con i lavori in corso. Nell'ottobre 1478 vennero nominati due periti per stimare le opere eseguite in certosa dai due M. e da Amadeo, sia per la facciata, sia per gli interni. Fu molto probabilmente la morte di Cristofor, avvenuta il 27 luglio 1479 (Morscheck, Antonio M.), a indurre il fratello Antonio a stipulare con Amadeo agli inizi di ottobre un nuovo contratto, purtroppo perduto e testimoniato solo dall'annotazione nella rubrica del notaio, ma quasi certamente relativo alla facciata della certosa (Schofield - Shell - Sironi, p. 116 doc. 54).
Cristoforo lasciò la moglie Bianchina Armani e la figlia Costanza, nata all'incirca due o tre anni prima (Shell, 1993, pp. 197 s.). Al fine di costituire un fondo in denaro per la piccola Costanza, nel giugno 1481 venne rogato un atto notarile. Esso riferisce che, dopo aver ricevuto nel 1474 l'appalto di metà dei lavori della facciata, Cristoforo e Antonio avevano rispettivamente suddiviso in quattro quarti i diritti su quell'impresa con gli altri due fratelli, gli orafi Giorgio e Giovanni. In seguito alla morte di Cristoforo, veniva ora stabilito che due quarti (quello spettante a Giovanni e quello ereditato da Costanza alla morte del padre) fossero dati in concessione ai fratelli Gabriele e Giovanni Pietro da Rho, per un canone annuo di 100 lire (ibid., pp. 209-211 doc. 2). Nel febbraio dell'anno seguente Giovanni e Costanza ricevettero un compenso per parte dei lavori a suo tempo eseguiti da Cristoforo nella certosa (Morscheck, 1978, pp. 286 s. doc. 123).
Lungo gli anni Ottanta del Quattrocento si fanno assai labili le tracce documentarie di Antonio, di cui è unicamente registrata la presenza come testimone in un paio di atti pavesi nel 1487 (ibid., p. 289 docc. 151, 153). Nel 1489 venne concessa allo scultore Alberto da Carrara (Alberto Maffioli), appena reclutato in certosa, una casa nella vicina località di Villanova, "in qua solitus est laborare Magister Antonius de Mantegaciis" (ibid., pp. 290 s. doc. 169).
Antonio ricompare, citato in un documento del 16 nov. 1491, non come parte in causa ma come autore dell'ancona marmorea donata, in virtù di quell'atto notarile, alla chiesa conventuale di S. Maria Assunta in Campomorto, presso Pavia.
Il successivo 3 dicembre Antonio stipulò con Giovanni Cristoforo Ganti (Gian Cristoforo Romano) un contratto di collaborazione decennale per il completamento della facciata della certosa di Pavia e per altre eventuali opere destinate all'interno della chiesa; ma tali accordi non ebbero effetto (Morscheck, Antonio M.). La nuova campagna di lavori per la facciata venne diretta da Amadeo, come risulta dal noto e complesso contratto del 12 maggio 1492, ove è dichiarato che, in quanto titolare della commissione per volere del duca Gian Galeazzo Maria Sforza, egli si associava ad Antonio M. e ad Antonio Della Porta detto Tamagnino, incaricati dell'esecuzione materiale delle opere, anche con l'eventuale ausilio di collaboratori la cui assunzione doveva essere approvata congiuntamente dai tre maestri (Schofield - Shell - Sironi, 1989, pp. 201 s. doc. 282). Antonio è così citato nei due atti che nel novembre 1493 formalizzavano l'associazione di Pace Gaggini e Gerolamo Viscardi a questa impresa (Morscheck, 1978, pp. 298 s. docc. 235, 237; Schofield - Shell - Sironi, pp. 219 s. docc. 336, 338). Un anno dopo, Antonio e il Tamagnino nominavano a Pavia alcuni procuratori, tra cui "Dominum Ioh. Georgium de Mantegaciis legum scolarum et R. Rectorem venerabilis collegii" e il pittore Bernardino de' Conti (Morscheck, 1978, pp. 300 s. doc. 253).
Al dicembre 1494 e al marzo 1495 risalgono le ultime attestazioni di Antonio, registrato come testimone in due atti notarili pavesi. Una lettera ducale dell'ottobre 1495 riferisce della sua morte, avvenuta evidentemente poco tempo prima, raccomandando ai certosini di sostituirlo con Cristoforo Solari nell'incarico di "fabrice architectus" (Morscheck, 1978, pp. 302 s. doc. 274). Cinque giorni dopo, la cognata del duca, Beatrice d'Este, inoltrò anch'essa una missiva per raccomandare come sostituto Paolo da Saronno (Schofield - Shell - Sironi, p. 239 doc. 416), la cui sorella Mattea aveva sposato Antonio nel 1479 (Morscheck, Antonio M.).
Fin dalla loro riscoperta (Calvi), i fratelli Cristoforo e Antonio rappresentarono per gli studi un particolare caso critico, legato al problema delle origini dello stile "cartaceo" o espressionistico nella scultura lombarda di tardo Quattrocento, da allora tradizionalmente detto "mantegazzesco". Ravvisando nella certosa diverse opere estranee allo stile di Amadeo e tentando di individuare quelle citate nella stima del 1478, Calvi riferì ai M. due pale marmoree con l'Adorazione dei magi e il Compianto sul Cristo deposto, rispettivamente nei capitoli dei padri e dei fratelli, la lunetta con la Pietà nel transetto destro, sopra il portale di accesso al chiostro piccolo, i rilievi della porta del lavatoio, sempre nel transetto destro, e quelli di una porta nel chiostro grande. Reputò dei M. anche i rilievi superstiti della facciata di S. Maria presso S. Satiro a Milano, ora nei Musei d'arte antica del Castello Sforzesco. In seguito, vennero attribuite ai due fratelli la Pietà del Victoria and Albert Museum di Londra (Perkins), i rilievi neotestamentari sulla parte destra della facciata della certosa e due dei quattro busti clipeati sotto la cupola con i Dottori della Chiesa, questi ultimi riferiti alla stima del 1478. Inoltre fu documentariamente accertato il coinvolgimento di Cristoforo nei capitelli pensili dei chiostri (Magenta).
Questa serie di opere è stata variamente accolta dalla critica nel catalogo dei M., sia pure non unanimemente e con numerose divergenze in merito alla cronologia e alla distinzione del rispettivo stile dei due fratelli. Il loro marcato influsso, nel quadro della larga diffusione della maniera "mantegazzesca" in Lombardia, venne riconosciuto da Malaguzzi Valeri (1904) come caratteristico di una seconda fase dell'attività di Amadeo, iniziata nel 1480 con i rilievi dell'arca dei martiri persiani per la chiesa di S. Lorenzo a Cremona e durata quasi un ventennio. Lo studioso riferì ai M. diverse altre opere, tra cui la statuetta denominata Madonna Foulc, allora nell'eponima collezione parigina e ora al Philadelphia Museum of art; mentre ricondusse ad Amadeo tutti i rilievi dell'Antico Testamento, collocati in parte sulla sommità della facciata della certosa, in parte nell'annesso museo e in parte in altre sedi. Diversi esemplari di questo cospicuo ciclo, verosimilmente realizzato tra il 1473 e il 1480 circa per il basamento della stessa facciata, furono poi attribuiti da Dell'Acqua (1948) ai M., con una proposta di datazione estesa fino al 1490 circa. Nel rinnovato tentativo di distinguere le mani dei due fratelli, ravvisate anche in alcune statue e rilievi con singole figure di Profeti e Santi nel basamento della facciata, lo studioso ricondusse a Cristoforo una maniera tendenzialmente più composta e ad Antonio la più aspra accentuazione espressionistica del linguaggio tradizionalmente detto mantegazzesco, culminante nella pala col Compianto sul Cristo deposto, nel capitolo dei fratelli.
La prima (e finora unica) opera sicuramente documentabile di Cristoforo venne poi individuata da Morscheck (1978) nella chiave di volta dell'ultima cappella destra della certosa, compresa nel capitolato di consegne del 1478. Tale opera, raffigurante in rilievo una Madonna col Bambino di forte matrice tardogotica, ha permesso di riferire allo stesso artista anche la pala marmorea con l'Adorazione dei magi, nel capitolo dei padri, e diverse altre sculture nella certosa, intonate al medesimo stile. A queste vanno aggiunte le due statue dei Ss. Pietro e Paolo sulla facciata della parrocchiale di Carpiano, ritenute provenienti dalla facciata della certosa.
Successive acquisizioni hanno posto in questione la ricostruzione della figura di Antonio e la sua responsabilità nell'elaborazione del linguaggio espressionistico. Si è scoperto che la Madonna Foulc apparteneva in origine all'arca cremonese dei martiri persiani; ed è pertanto stata attribuita a G.A. Piatti, che nel 1479, qualche mese prima di morire, aveva ricevuto la commissione di quel complesso scultoreo, passata subito dopo ad Amadeo (Tanzi, 1991). È inoltre emerso l'atto notarile del 16 nov. 1491 con cui Francesco Mantegazza, figlio del fu Simone, ufficializzava la donazione dell'altare marmoreo per il presbiterio della chiesa conventuale di S. Maria Assunta in Campomorto, che indicava l'opera come eseguita da Antonio (Shell, 1993). Questa è composta di riquadri narrativi dedicati alla Vita di Maria, non particolarmente rispondenti allo stile espressionistico riferito ad Antonio, ma molto simili nella composizione a quelli del Nuovo Testamento, istallati sulla parte sinistra della facciata della certosa. Poiché l'artista risiedeva a Campomorto (come risulta dal contratto del maggio 1492 per la facciata della certosa), è improbabile che l'attribuzione riferita nell'atto di donazione non avesse il suo benestare. Il livello qualitativo disomogeneo e prevalentemente mediocre dei rilievi dell'altare lascia supporre un largo intervento di collaboratori; mentre la responsabilità di Antonio si può ravvisare nella statua apicale e nel tabernacolo a fianco. Prospettando così un addolcimento linguistico intrapreso da Antonio entro il 1491, andrebbero retrodatate alcune sue opere, quali l'emblematico Compianto del capitolo dei fratelli o alcune statue nel basamento della facciata della certosa, prevalentemente ricondotte alla campagna decorativa iniziata nel maggio 1492, con Amadeo e il Tamagnino, che per Antonio si chiuse con la sua morte. Alla medesima campagna vengono per lo più ricondotti anche i grandi rilievi del Nuovo Testamento sulla facciata, che nella parte sinistra presentano somiglianze con quelli dell'altare di Campomorto, oltre a mostrare alcuni caratteri riconducibili a Cristoforo o al suo lascito.
Diversi lapicidi con questo cognome compaiono nel duomo di Milano dalla metà del Quattrocento: Giovanni, morto nel 1450 (Shell, 1992, p. 59 n. 30); Ambrogio, suo figlio, registrato in cantiere nel 1460 e nel 1464 (Biscaro, 1913); un altro Giovanni, registrato nel 1467 (Annali…, Appendice, 1885); e un Martino, attestato nel 1464 e 1470 (Biscaro, 1913; Annali…, 1877).
Nel settembre 1464 Ambrogio è documentato anche a Reggio Emilia con i due colleghi lombardi Martino Benzoni e Antonio da Lecco, tutti e tre "incisores lapidum de marmore", che si impegnavano nei confronti del vescovo Filippo Zoboli a realizzare delle sculture per il portale della cattedrale reggiana di S. Prospero, smantellate nel tardo Cinquecento e non più rintracciate (Malaguzzi Valeri, 1902).
Altri M. segnalati nei registri del duomo di Milano sono il pittore Ambrogio (1453, 1457), i lapicidi Filippo (1523, 1534 e 1541), Giuseppe (1548) e Giovanni Francesco (1593).
Nella matricola degli orafi milanesi sono registrati "Baptista e Bernardino frateli di Mantegatii" nel 1497 (Romagnoli).
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