MANSONE
Membro della dinastia capuana in quanto consobrinus, cioè cugino per parte materna, del principe di Capua Pandolfo (I), alla morte dell'abate Aligerno, avvenuta secondo la tradizione il 23 nov. 986 ma, più probabilmente, nell'anno precedente (Hoffmann, 1967, pp. 295 s.), fu imposto da Aloara, vedova di Pandolfo e reggente per il giovane figlio Landenolfo (II), alla guida della comunità monastica di Montecassino. L'inizio del suo abbaziato è da porsi fra il novembre del 985 e il maggio del 986 e si protrasse fino al 996. Per il periodo anteriore al 985, l'unica notizia relativa a M. è che quella di Montecassino non fu la sua prima nomina ad abate, avendo già rivestito in precedenza tale carica a S. Magno, monastero nel territorio di Fondi che all'epoca non rientrava fra i possedimenti cassinesi.
L'elezione di M. a ventottesimo abate di Montecassino non ebbe l'unanime consenso dei monaci, al punto che una parte di essi preferì allontanarsi dal monastero. Durante il suo abbaziato, il dominio temporale di Montecassino conobbe un sostanziale accrescimento, soprattutto a scapito dei territori limitrofi di Aquino, Arpino, Atina e Sora. Grazie alle doti di eccellente amministratore e al legame di parentela con la dinastia capuana, M. riuscì a ottenere importanti concessioni territoriali: così per esempio Aloara e il figlio Landenolfo nel 991 non solo confermarono i possedimenti dell'abbazia, ma donarono anche nuove terre al di là del Liri, ai confini con il Ducato di Gaeta. Il pontefice Giovanni XV confermò nel novembre del 989 i possedimenti cassinesi in area beneventana, in Puglia, nella terra dei Marsi e nella Marca di Spoleto, e a ciò aggiunse la concessione dell'esenzione dal controllo vescovile. Il ruolo di primo piano raggiunto da M. è anche testimoniato dal giuramento di fedeltà a lui prestato nel 993 da Laidolfo conte di Teano, succeduto in quell'anno al fratello Landenolfo al principato di Capua. Nel dicembre del 994 Laidolfo confermò i possedimenti dell'abbazia così come elencati nei diplomi emessi da sua madre e da suo fratello Landenolfo; aggiunse in dono anche il castello di Castrocielo e il monte Asprano, alle cui falde M. fece costruire la fortezza di Roccasecca, di fondamentale importanza per la salvaguardia degli interessi territoriali di Montecassino nei confronti dei turbolenti conti di Aquino, e per il controllo della valle del Liri e dell'asse viario, di strategica importanza, della via Latina.
Le fonti rivelano con chiarezza le qualità amministrative di M., ma al contempo ne sottolineano le carenti doti spirituali e monastiche.
Tra queste la testimonianza di Adalberto da Praga, che condanna aspramente il degrado della condotta monastica all'epoca di Mansone. Il futuro santo, in viaggio dalla sua diocesi di Praga verso Gerusalemme, fece tappa agli inizi del 990 all'abbazia di Montecassino, dove trovò ospitalità. Dopo alcuni giorni, desideroso di rimettersi in cammino, fu convinto da un monaco - che le fonti descrivono come uno fra i più importanti del monastero - a rinunciare al viaggio e a restare presso il cenobio per farsi lui stesso monaco. La decisione ebbe breve durata e Adalberto riprese sdegnato il suo viaggio dopo aver saputo che il reale interesse dei monaci non era di tipo spirituale bensì materiale: il desiderio di disporre di un vescovo che potesse consacrare le loro nuove chiese.
Anche Leone Ostiense stigmatizza la condotta di M., che descrive come amante della vita di corte e del lusso principesco. Significativo in tal senso fu il viaggio presso la corte germanica dell'ottobre del 992 in occasione della solenne cerimonia di consacrazione della chiesa di Alberstadt, cui M. partecipò accompagnato da una fitta scorta di servitori vestiti con ricchi abiti di seta. Ancora più critica è la descrizione che di M. si ricava dalla Vita di s. Nilo. Secondo il biografo, s. Bartolomeo, l'asceta - che dai tempi dell'abate Aligerno era ospite del monastero cassinese presso l'antica cella di S. Angelo in Valleluce - fuggì inorridito dalle terre di proprietà del cenobio in seguito a un episodio avvenuto presumibilmente verso la fine del 995.
Desideroso di far visita a M., Nilo si recò a S. Germano, cenobio ai piedi del monte, e qui apprese che l'abate non poteva riceverlo perché impegnato in un banchetto. Decise allora di attenderlo in chiesa ma, mentre pregava, udì che dal refettorio giungeva della musica. Inorridito, chiamò a raccolta i confratelli e abbandonò Valleluce, prima che il pessimo esempio contagiasse anche i monaci della sua comunità.
La condotta spregiudicata di M. e l'invidia per il potere di cui godeva gli attirarono nel volgere di pochi anni numerosi e potenti nemici. Nel 996 il vescovo dei Marsi Alberico - secondo alcune fonti istigato da Laidolfo - corruppe alcuni monaci cassinesi affinché lo aiutassero a prendere il posto di Mansone, il quale fu attirato con l'inganno a S. Benedetto di Capua e accecato dai confratelli dietro la promessa di 100 libbre pavesi. I monaci traditori non riuscirono però a incassare per intero la somma pattuita, dal momento che Alberico morì prima di aver ricevuto in consegna, come da accordi, gli occhi del nemico. M. morì l'8 marzo del 996, a causa delle ferite riportate nell'agguato di Capua.
La notizia della morte di M. fu seguita da un rapido dissolversi delle acquisizioni territoriali realizzate durante gli anni del suo abbaziato, in quanto legate al suo personale potere e al legame con la corte capuana. Il conte di Aquino Atenolfo (III), detto Summucula, riconquistò Castrocielo con il monte S. Angelo in Asprano e distrusse dalle fondamenta il castello di Roccasecca. Si salvarono invece le opere realizzate da M. a completamento dell'operato del suo predecessore Aligerno: la conclusione dell'edificazione delle fortificazioni di Rocca Janula e il ripopolamento e la messa a coltura di alcune terre di proprietà del monastero.
Un esame senza retorica delle fonti documentarie permette di alleggerire il giudizio negativo su Mansone. La sua condotta va riletta alla luce delle circostanze del tempo, senza che criteri individuali e moralistici derivanti dalle condanne di riformatori del X e XI secolo ne influenzino il giudizio. La stessa politica patrimoniale e signorile di M., da cui secondo le apparenze dipesero la cattura, l'accecamento e la morte, non sembra infatti differire da quella del suo predecessore e riformatore cluniacense Aligerno. Se vi è motivo di stupore quindi non è tanto per l'offuscamento dell'antica purezza monastica, ma per il fatto che in condizioni avverse si sia sempre lavorato infaticabilmente a difendere, ricostruire e accrescere il patrimonio di Montecassino.
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