mano invisibile
Espressione frequentemente utilizzata dagli economisti e ricondotta ad A. Smith (➔) che ne fece uso (mutuandola, probabilmente, dal Macbeth di Shakespeare) sia nella Teoria dei sentimenti morali (1759) sia nell’opera considerata l’origine della moderna scienza economica, La ricchezza delle nazioni (1776).
L’espressione m. i. è utilizzata da Smith nell’ambito dell’analisi del problema del protezionismo e del libero commercio. Più precisamente, a essa Smith fa riferimento quando spiega che, seguendo le loro preferenze egoistiche, i possessori di capitale preferiscono investire in attività localizzate nel proprio Paese, creando in tal modo benefici a esso e alla società, anche se non era questa la loro intenzione. Secondo Smith, gli individui sarebbero spinti da una ‘mano invisibile’ a operare in modo da assicurare tali benefici, pur perseguendo null’altro che vantaggi individuali. Dunque, la metafora della m. i. rimanda ai meccanismi per i quali il corpo sociale si trova a godere di benefici che nessuno ha posto come fine delle proprie azioni.
Nell’ambito della teoria economica, il risultato prodotto dalla teoria della m. i. ha suscitato interesse soprattutto riguardo alla sua applicazione al mercato e più precisamente all’eventualità che individui mossi soltanto dall’obiettivo di massimizzare i propri benefici materiali (in particolare, per i produttori, i profitti) possano essere condotti dalle regole del mercato a contribuire al benessere dell’intera società. In questa prospettiva, il passo della Ricchezza delle nazioni più rilevante e più citato è quello in cui Smith afferma – senza però menzionare la m. i. – che non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci attendiamo il nostro pasto, ma, appunto, dalla loro predisposizione a realizzare i propri interessi. L’idea è che la concorrenza spingerà a offrire i prodotti migliori ai prezzi più bassi, allo scopo di attrarre la domanda dei consumatori, che è essenziale per assicurare profitti, e tutto ciò contribuirà a elevare il benessere sociale, malgrado né il birraio né il fornaio o il macellaio intendessero raggiungere questo risultato.
Nella teoria neoclassica la m. i., ha un significato ancora più circoscritto. Infatti, da un lato, si fa riferimento al mercato (piuttosto che alla concorrenza in senso ampio) come a un sistema di decisioni decentralizzate in cui ciascun agente persegue i propri egoistici interessi tenendo conto in modo esclusivo dei prezzi e, dall’altro, si identificano i benefici sociali con l’efficienza corrispondente all’ottimo di Pareto (➔ Pareto, ottimo di p). Pertanto la m. i. svolge il suo compito se riesce a far sì che un sistema decentralizzato basato sui prezzi conduca all’ottimo di Pareto. Il primo teorema dell’economia del benessere individua le condizioni alle quali questo risultato può verificarsi e, dunque, permette di affermare che nel mercato, nel senso sopra specificato, opera (se quelle condizioni sono soddisfatte) una m. invisibile.
La mancata realizzazione, nella realtà, delle condizioni richieste dal primo teorema dell’economia del benessere (in particolare quelle che escludono la possibilità di fallimenti del mercato) impedisce di considerare effettivamente all’opera la m. i. così intesa. D’altro canto, alcuni economisti sostengono che la m. i. di Smith ha ben poco in comune con l’interpretazione che di essa hanno dato, con il primo teorema, gli economisti neoclassici. In particolare, l’attenzione di Smith era rivolta alla concorrenza intesa come processo dinamico e non come un vettore di prezzi dati ai quali adeguare i propri comportamenti. In ogni caso il tema degli effetti non intenzionali delle azioni individuali, e più in particolare la possibilità che si producano effetti socialmente benefici non inclusi tra i propri obiettivi, è molto rilevante e ha applicazioni che vanno ben al di là della sfera economica.