DAZZI, Manlio
Nacque a Parma il 17 apr. 1881 da Edoardo e da Laurina Maurighi. La sua infanzia e la sua giovinezza furono contrassegnate dai continui spostamenti della famiglia per il lavoro del padre. A Piacenza e a San Pietro compì i primi studi, che inizialmente avevano preso un indirizzo tecnico e solo in seguito ad una bocciatura si decisero per un orientamento classico. Frequentò, come esterno, il liceo nella scuola del seminario, a Padova e, dopo una parentesi a Sassari, la facoltà di lettere nella stessa città. A Padova aveva iniziato una raccolta antiquaria di iscrizioni e trascrizioni di lapidi, avviando insieme un intenso studio che culminò nel '14 con la pubblicazione del suo primo lavoro, la traduzione in versi italiani dell'Ecerinide di Albertino Mussato (Città di Castello). L'anno successivo vinceva il premio "Andrea Gloria" dell'università per la nota Intornoallanascita di A. Mussato (Padova 1930). Di questi anni universitari furono decisivi per la sua formazione gli insegnamenti dei "maestri" della scuola storica, V. Lazzarini, V. Rossi, E. Romagnoli: insegnamenti che si unirono alla sua passione per l'erudizione locale e l'interesse ai patrimoni locali di cultura, che furono alla base dei suoi lavori futuri.
Conseguita la laurea, insegnò dapprima a Foligno; successivamente diresse a Rovigo la Biblioteca e la Pinacoteca Concordiana, dando vita ad un'intensa attività culturale, come animatore e cronista della vita teatrale e musicale, come propugnatore della conservazione e del restauro delle opere d'arte. Allo scoppio del primo conflitto mondiale partì volontario; fu ferito e, dopo Caporetto, fatto prigioniero. Da l'esperienza drammatica maturarono le due raccolte poetiche: Prigioniere, Milano 1926, e I Caduti, Milano 1935, ben diverse nel tono dalla raccolta I Pensieri, Roma 1916.
Se in questa dominavano tonilirico-elegiaci con attenzione prevalente ai valori musicali e pittorici della parola, in quelle del '26 e del '35 la durezza e il dolore dell'esperienza bellica hanno profondamente inciso nel tessuto espressivo. Antideclamatorio, come lo definisce A. Polvara (in Convivium, pp. 366-70), in queste due raccolte il D. richiama certi modi del Pascoli "quando nel contemplare sentenziava conciso e mesto" e certe'inodellature di Saba "quando arieggia figure", come puntualizzò S. Benco (in L. Lazzarini, pp. 174-78), che definì I Caduti "uno dei più belli e profondi libri di poesia ispirati alla guerra".
Dopo le vicende belliche, si trasferì nel '20 a Cesena, riprendendo la sua attività di bibliotecario alla Malatestiana, dov'era stato preceduto da R. Serra. Occupò questo posto con una certa reverenza, come suona nelle sue stesse parole: "Avevo pudore di sedermi nella sua sedia" tanto che "lasciato lo studiolo al suo spirito, andai a fare il bibliotecaio in una stanza anonima" (Itinerario, in Il Gazzettino, 16 maggio 1962). Sensibile, oltreché allo studio e alla ricerca, agli stimoli della contemporaneità, anche qui cercò, come sempre nel suo lavoro di bibliotecario, di unire la "cultura" alla "vita", per un rapporto proficuo fra la società e la vita intellettuale, spinto "ad amare il linguaggio del mio tempo più di quello imparato sui libri ... a scoprire, ad allargare ai giovani del mio tempo l'amore d'una biblioteca vivente" (ibid.).
Da Cesena, dove aveva anche tenuto l'insegnamento di storia dell'arte al liceo, venne chiamato a Venezia, a dirigere la Querini Stampalia. Anche a Venezia era stato preceduto da un illustre bibliotecario, Arnaldo Segarizzi, che aveva fatto della "biblioteca familiare dei Querini uno strumento vivo per la cultura cittadina" (ibid.).Il D. non aveva che da continuare l'opera, trovando già introdotti tutti i principi bibliografici che aveva adottato alla Malatestiana, per favorire il lavoro dei lettori. "Se ho una soddisfazione", dirà di questo suo lavoro, "è di aver allargato la strada che il Segarizzi aveva esemplarmente aperto" (ibid.).A Venezia il D. restò per un trentennio; trent'anni che rappresentano il periodo più fecondo e maturo dei suoi studi, stimolati da una ricchissima e antichissima tradizione letteraria quale quella veneta.
Dal Leonardo Giustinian poeta popolare di amore, Bari 1934, che, nonostante sia limitato da un certo impressionismo, ancora oggi interessa per le analisi condotte sull'incontro fra temi e modi aulici con quelli popolareschi, al suo intenso lavoro su Goldoni (C. Goldoni, Commedie e scene, Milano 1929; I tempi di Goldoni, in Minerva, VIII [1929], pp. 837 ss.) il D. darà, dopo circa trent'anni, il Goldoni e la sua poetica sociale, Torino 1957. Libro, quest'ultimo, complesso e condotto in diverse direzioni- da una storia recente di Venezia (nella premessa), ad una analisi della composizione sociale della città, del panorama vastissimo della sua cultura agli inizi del 1700, con le sue biblioteche e le sue tipografie (secolo glorioso, per quest'ultime, come il '500), gli influssi francesi ed inglesi, per passare ai rapporti dei Goldoni con quest'ambiente e questa cultura, alla cultura dei Goldoni stesso, vastissima nel campo teatrale, "approssimativa e orecchiata" in tutti gli altri; per arrivare al centro del libro, la grande riforma goldoniana in un panorama teatrale congelato dalla commedia dell'arte, ad una fissa ripetizione dfmodi e temi. La "commedia di carattere", come Goldoni stesso definì la sua nuova concezione di fare teatro, è passata in rassegna in tutti i quattordici anni di permanenza del commediografo a Venezia, dal '47 al '62, con le note, aspre polemiche col Chiari e con il Gozzi. Il D. individua nella novità linguistica il grande spirito innovativo del Goldoni, nell'avere intuito la necessità d'una lingua "parlata", vicina al "naturale" e al "sociale", come Goldoni stesso programmaticamente teorizzava: con una posizione critica nei confronti della società che rappresenta sulla scena, contro la guerra e le corti, contro la distinzione delle classi, contro. la nobiltà di cui non fache caricaturare le magagne. Un'arte, perciò, tutt'altro che evasiva, inserita nella vita e tesa a diffondere, con il divertimento, "qualche buon seme di verità" (p. 208).
A Venezia inizia anche la sua sterminata opera di ricerca di manoscritti e stampe di testi di poesia dialettale letteraria e popolare, che confluiranno nell'immensa antologia storico-critica Ilfiore della lirica veneziana, Venezia 1956-1959. Un lavoro che ripercorre tutta una tradizione regionale, la sua cultura attraverso la sua lingua, dal Lamento della sposa padana del '200 fino a Giotti, a Marin, a Meneghetti, a Noventa, con il ricchissimo patrimonio dei canti popolari e dei proverbi. Portò a termine, nel frattempo, le sue ricerche sulla storia dell'editoria veneziana nel volume Aldo Manuzio e il dialogo veneziano di Eranno, Vicenza 1969.
A questa attività di ricercatore e critico, il D. affiancò una ricca produzione giornalistica e poetico-narrativa. Dal '30 al '39 scrisse quattro romanzi, dove domina lo stesso intimismo delle poesie; di questi romanzi il più interessante resta Città, pubblicato nella Nuova Antologia del 16 febbraio e del 16 marzo 1932, col titolo Giorni di contumacia: è la storia tutta interiore di un uomo che, dopo aver commesso un omicidio e dopo un lungo periodo di latitanza, si riavvicina alla sua città attratto dalla vita e dagli affetti che vi aveva lasciato. Anche Chiara, Milano 1939,ebbe un giudizio positivo di S. Benco che lo trovò un romanzo "assai buono" (Il Piccolo della sera, 20 luglio 1939). Tuttavia tutti e quattro i romanzi sono lavori che, sebbene abbiano avuto un qualche successo al momento della loro pubblicazione, non vanno oltre un puro valore di documento personale.
Del romanzo il D. si interessò continuamente in studi su contemporanei (particolarmente Bontempelli) e soprattutto nel saggio Leopardi e il romanzo, Milano 1939, che, quando uscì, fece molto sc.alpore, suscitando discussioni e recensioni (G. De Robertis nel Corriere della sera del 28 ott. 1939; F. Bernardelli nella Stampa del 4 nov. 1939). P, l'analisi di un romanzo appena abbozzato dal Leopardi, gli Appunti e ricordi degli Scritti vari, che il D. definisce psicologico-intimista, riscontrandovi influssi wertheriani e foscoliani, intessuti su ricordi autobiografici. Al D. stava a cuore appoggiare ad un'autorità quale quella del Leopardi una definizione del romanzo in senso lirico-intimista perché era la sua stessa concezione, quale particolarmente s'era espressa in Città.
A Venezia svolse anche un'importante attività di docente alla facoltà di architettura, nella cattedra di estetica, e diresse dal '31 al '35 la rivista di scienze, lettere ed arti Ateneo veneto, dandole un'impronta rinnovatrice; lui stesso vi tenne ininterrottamente una rassegna di poesia, attenta a tutte le voci poetiche contemporanee.
La sua intensa attività di ricercatore e pubblicista venne interrotta dal secondo conflitto mondiale, durante il quale si rifugiò inSvizzera. Solo dopo la Liberazione riprese con la stessa intensità, spingendosi anche nell'attività politica come aderente al partito comunista.
Ammalatosi d'artrite, continuò comunque a lavorare fino alla morte, il 31 luglio 1968 nel comune di Padova.
Delle sue opere poetiche ricordiamo: IPensieri, Milano 1916; Prigioniero, ibid. 1926; In grigiorosa, ibid. 1931; I Caduti, ibid. 1935; In riva all'eternità, Firenze 1940; Canto e controcanto, Venezia 1952; Stagioni, ibid. 1955; Erano già voli di colombe, ibid. 1961; Marine di Guidi-Poesie di Dazzi, Milano 1962; Peso della memoria, ibid. 1965; Stagioni, ibid. 1969; delle sue opere in prosa ricordiamo: Giorni di contumacia, in Nuova Antologia, febbr.-marzo 1932, e poi Città, Milano 1936; Conte Labia, Roma 1938; Gelsomino, uscito a puntate sul Giornale di Genova dal 25febbr. al 30maggio 1939 e poi Milano 1946 e 1948; Chiara, Milano 1939; La Dammartina, pubblicato nel Giornale d'Italia dal 6 giugno al 31 luglio 1943; L'ingaggio, Milano 1969.
Delle altre opere ricordiamo infine: Regolamenti per la Biblioteca comunale. Raccolta d'arte e Archivio, Cesena 1926; Sull'ordinamento delle biblioteche in Italia, in Ateneo veneto, CVIII (1931), pp. 237-58; Cronaca cittadina della liberazione di Rovigo, in Rivista d'Italia, XX (1917), I, pp. 397-425; Cesena, in La Romagna alla II Biennale a Monza, Forlì 1925, pp. 77-85; Una carta romagnola con lo statuto della "Giovane Italia", in Scritti storici in onore di C. Manfroni, Padova 1925, pp. 9-32; Il Musatto storico, in Arch. Venieto, VI (1929), pp. 357-471; Leonardo Giustiniano poeta popolare d'amore, Bari 1934; Leopardi e il romanzo, Milano 1939; Il fiore della lirica veneziana, Venezia 1956-1959; Goldoni e la sua poetica sociale, Torino 1957. Una bibliografia completa di tutti gli scritti del D. si trova in Atti e mem. dell'Acc. Patavina, LXXXV (1972-1973), pp. 78-133, a cura di B. T. Mazzarotto.
Bibl.: T. Rovito, Letterati e giornalisti, Napoli 1922, p. 125; A. Polvara, M. D., in Convivium, VI (1934), 3, pp. 366-70; G. Perale, M. D., in Riv. letter., IX (1937), pp. 29-32; L. Lazzarini, M. D., in IlLibro ital., V (1941), pp. 174-83; G. Folena, Umanità di M. D., in Atti e mem. dell'Acc. Patavina, LXXXV (1972-73], pp. 65-77.