BROSIO, Manlio
Nacque a Torino il 10 luglio 1897 da Edoardo e Fortunata Curadelli. Iscritto alla facoltà di giurisprudenza, nel 1916 fu chiamato alle anni. Frequentò la scuola allievi ufficiali di Caserta e divenne ufficiale nel corpo degli alpini, combattendo dal 1917 alla fine del conflitto e guadagnandosi una medaglia d'argento al valor militare e una croce di guerra.
Nel dopoguerra riprese gli studi e, nel 1920, si laureò in giurisprudenza. Nello stesso anno iniziò l'attività politica aderendo al gruppo di Rivoluzione liberale, capeggiato da Piero Gobetti. Soprattutto dopo il delitto Matteotti intensificò la propria attività antifascista, scrivendo articoli su Rivoluzione liberale e partecipando in rappresentanza del gruppo gobettiano al Comitato delle opposizioni.
In un saggio dal significativo titolo Il fascismo annacquato (Rivoluzione Liberale, 30 sett. 1924) prendeva di mira il combattentismo e si scagliava contro coloro che alimentavano strumentalmente il culto del reduce. Per questa sua attività il B. fu oggetto di attenzione da parte delle autorità di polizia; ma dopo una diffida nel 1927 non diede più alcun motivo di segnalazione per attività antifascista.
Ritiratosi dalla politica si dedicò all'attività professionale e nel 1932 venne depennato dall'elenco degli oppositori del regime. Una nota dei prefetto di Torino del 1° dic. 1936 rilevava anzi l'atteggiamento favorevole del B. nei confronti del fascismo e ne segnalava l'iscrizione al sindacato fascista di categoria.
Nel 1943, dopo la caduta dei fascismo, si trasferì a Roma, dove si unì al movimento di resistenza e divenne membro della giunta militare del Comitato di liberazione nazionale. Dopo la liberazione di Roma, fu per un breve periodo segretario generale del Partito liberale italiano e il 12 dic. 1944 fu chiamato a far parte del governo Bonomi come ministro senza portafoglio, rimanendo in carica per tutta la durata di questo governo. Nel successivo governo Parri, dal 21 giugno al 10 dic. 1945, fu ministro incaricato per la Consulta nazionale con funzioni di vicepresidente del Consiglio. In questa fase politica svolse un ruolo importante sia all'interno del suo partito sia in seno alla compagine governativa, essendo l'esponente più rappresentativo della corrente di sinistra, forte soprattutto tra i liberati del Nord che avevano alle spalle la partecipazione alla lotta di resistenza e ai Comitati di liberazione nazionale.
Tale corrente era tuttavia minoritaria nel partito liberale; e al B. toccava spesso farsi interprete in seno al governo delle posizioni moderate e conservatrici prevalenti nel Partito liberale italiano. Nel Consiglio dei ministri del 30 ott. 1944 il B. sollevò per la prima volta il problema della limitazione dei poteri della futura Assemblea costituente. La stessa decisione dei liberali di mettere in crisi il governo Parri fu più subita che approvata dal B.I il quale avrebbe preferito reclamare per il PLI un maggior peso in seno all'esecutivo e ottenere anche il ministero dell'Interno (retto ad interim da Parri). Egli stesso testimoniò anni dopo, di essere stato oggetto di pressioni affinché si facesse promotore di una scissione della sinistra del PLI.
Allorché, il 22 nov. 1945, i liberali si risolsero a porre in crisi il governo, il B. rimase su posizioni di minoranza in un partito sempre più orientato in senso moderato. Ministro della Guerra nel primo governo De Gasperi, dal 10 dic. 1945 al 13 luglio 1946, si trovò a gestire la delicata fase del referendum istituzionale avendo la responsabilità politica delle forze armate, sul cui comportamento sussistevano diffusi timori in caso di vittoria repubblicana. Nei primi mesi del 1946 elaborò un progetto per una reggenza, che esautorasse l'ormai compromesso Umberto di Savoia ed indicasse nel minore Vittorio Emanuele l'erede al trono, ma questa ipotesi non si rivelò praticabile per l'opposizione della Corona. Nella discussione in Consiglio dei ministri a metà febbraio 1946 tornò sulla questione dei poteri dell'Assemblea costituente, avanzando la richiesta di un referendum che, oltre alla scelta della forma istituzionale, decidesse anche sulle attribuzioni della futura assemblea elettiva. Questa richiesta, che non passò per la netta opposizione dei partiti di sinistra, fu comunque superata dall'approvazione, il 9 marzo, del decreto che fissava per il 2 giugno il referendum e le elezioni per l'Assemblea costituente. In vista di tale scadenza il partito liberale fu chiamato a definire il proprio atteggiamento sulla scelta istituzionale. Al congresso del partito, svoltosi in aprile, si confrontarono tre posizioni: una agnostica, sostenuta da Benedetto Croce, una filomonarchica, perorata da Edgardo Sogno, ed una repubblicana, che trovò espressione in un ordine dei giorno presentato proprio dal Brosio.
Intervenendo nel dibattito congressuale il B. aveva mostrato di nutrire ancora fiducia nel, fatto che le tendenze conservatrici interne sarebbero state "soverchiate dalla tendenza riformista", che avrebbe dovuto essere "nel contempo moderata ed energica". Le attese dei B. non trovarono rispondenza nell'esito finale del congresso, che, sancendo la scelta in favore della monarchia, chiuse i residui spazi alle posizioni più avanzate.
Insieme con altri esponenti della sinistra interna, il B. si risolse allora ad abbandonare il partito confluendo con gli ex azionisti F. Parri e U. La Malfa nel gruppo di Concentrazione democratica repubblicana.
Dopo l'esito del referendum si diffuse il timore che il contrasto tra la Corona ed il governo potesse portare alle soglie di una guerra civile. Nel Consiglio dei ministri, convocato nella notte tra il 10 e l'11 giugno, il B. manifestò i suoi dubbi sull'atteggiamento che avrebbero potuto tenere le forze armate e propose che i poteri fossero assunti temporaneamente da De Gasperi con la formula della luogotenenza.
Esaurito il suo mandato ministeriale con le dimissioni del governo De Gasperi, il B. si ritirò dalla politica attiva per intraprendere la carriera diplomatica. Nell'autunno 1946 fu nominato ambasciatore d'Italia in Unione Sovietica.
Risiedette a Mosca dal gennaio 1947 al dicembre 1951, partecipando tra l'altro ai negoziati che portarono al primo accordo commerciale nel dopoguerra tra l'Italia e l'URSS. Quando, tra il 1948 ed il 1949, furono sondati gli ambienti diplomatici italiani sull'opportunità dell'adesione dell'Italia al trattato del Nord-Atlantico (NATO), il B. si pronunciò contro questa ipotesi, sostenendo invece una politica di neutralità disarmata, sia pure nel quadro di una collocazione dell'Italia nel sistema occidentale.
Relativi a questo periodo sono i Diari di Mosca 1947-1951 (Bologna 1986), che rivelano l'orientamento del B. in una fase di crescente tensione tra Unione Sovietica e Stati Uniti. Il B. non appare convinto da chi denunciava una volontà bellicista dell'URSS, così come, pur essendogli presente la natura autoritaria del regime, mostra benevola comprensione per alcuni aspetti della società sovietica.
Dopo Mosca il B. si trovò a reggere altre importanti rappresentanze italiane all'estero. Dal gennaio 1952 al dicembre 1954 fu ambasciatore presso il Regno Unito ed in tale veste partecipò ai negoziati che riportarono la città di Trieste e gran parte del territorio dell'ex zona A sotto l'amministrazione italiana (memorandum di Londra del 5 ott. 1954). Nel gennaio 1955 venne quindi nominato ambasciatore negli Stati Uniti, dove rimase per sei anni. Dal giugno 1961 al luglio 1964 fu ambasciatore italiano in Francia, finché venne designato dai governi dei paesi aderenti all'alleanza atlantica, segretario generale della NATO e, come tale, presidente del Consiglio atlantico.
Assunse questo incarico il 10 ag. 1964 e lo mantenne fino al 1° ott. 1971, allorché si dimise di propria iniziativa. Negli anni di permanenza ai vertici dell'organizzazione atlantica il B. si trovò ad affrontare una serie di importanti questioni al centro della politica internazionale: la sistemazione dei rapporti tra la NATO e la Francia dopo il ritiro di questo paese dal sistema di difesa integrato; la complessa fase dei rapporti tra i due blocchi militari occidentale ed orientale, caratterizzata da momenti di tensione acuta e da significativi passi in avanti nel processo di distensione.
Per la parte avuta nella gestione di questo travagliato processo di riavvicinamento Estovest, il B. fu scelto come rappresentante dei paesi della NATO in una missione esplorativa per la riduzione bilanciata delle forze militari in Europa, che terminò i suoi lavori preparatori nel giugno 1972.
Dopo oltre venticinque anni il B. tornò quindi alla politica attiva nelle file del partito liberale. Il 7 maggio 1972 venne eletto senatore nel collegio di Torino centro. Al Senato fece parte della commissione Affari Esteri, fu membro della giunta per il regolamento e presidente del gruppo parlamentare liberale. Quando, nella seconda metà degli anni Settanta, la sinistra interna assunse con la segreteria di Valerio Zanone la guida del partito, il B. manifestò avversione al nuovo indirizzo politico e al congresso liberale dell'aprile 1976 si trovò a fianco di E. Sogno a capo di una corrente su posizioni di destra. Non rieletto in Parlamento nel 1976, il B. visse gli ultimi anni ai margini della vicenda politica nazionale.
Il B. morì a Torino il 14 marzo 1980.
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