MANILIO
. Poeta latino dell'età augustea il cui vero nome sembra essere stato M. Manilius; ché l'indicazione nel codice di Madrid: M. Manilius Boethus, può in realtà reputarsi derivata da un falso scambio con Anicius Manlius Torquatus Severinus Boethius, il ben noto autore del De consolatione philosophiae. Circa la sua vita nulla ci è stato tramandato, però da alcuni dati dell'opera sua, Astronomica, si può congetturare l'età in cui egli visse. Il poeta ricorda la disfatta sanguinosa di Varo (9 d. C.) con accenti i quali rivelano che il fatto d'arme dovette essere avvenuto non molti anni prima. M. nomina Augusto come vivo ancora. Nel libro II, 509, a proposito del Capricorno, dicendo che rifulse nel giorno natalizio di Augusto, certo non lascia adito a pensare che questi fosse morto. Nel libro IV esistono dati che risalgono al tempo in cui Tiberio era già succeduto ad Augusto, e questi da poco era mancato ai vivi (14 d. C.). Se ne deduce dunque che M. visse sotto i regni di Augusto e di Tiberio; l'opera sua fu composta sotto i due principi; il I e il II libro fra il 9 e il 14 d. C.; il IV nel 15. E poiché nel V libro pare che il poeta alluda all'incendio del teatro di Pompeo, che avvenne nel 22, è pure lecito dedurre che gli Astronomica furono composti dal 9 al 22. Il poema restò, come vedremo, interrotto, perché la morte dovette colpire l'autore.
M. da alcuni dotti fu ritenuto straniero; chi lo volle nato in Asia, chi in Africa, chi nella Gallia; però, tenuto conto che lo stile del poeta non è barbaro, che, se ha idiotismi, questi sono giustificati dalla materia speciale presa a trattare; e tenuto conto che il poeta più volte dichiara di essere romano, e contrappone la propria lingua alla greca, si è oggi propensi ad ammettere che se non fu proprio romano, certo fu d'Italia.
Sebbene il poeta abbia dato al suo carme il nome di Astronomica, pure questo titolo non si conviene che al primo libro, il resto è astrologico. Nel proemio dichiara di voler far discendere dal cielo cognizioni veramente divine, di voler parlare degli astri, di cui il potere diretto da una saggezza suprema produce tante vicende nel corso della vita umana, e si gloria di non ricalcare le orme di altri, ma di trattare per primo una materia nuova per i Romani. Il I libro tratta dapprima della forma e dell'origine del mondo, dei quattro elementi empedoclei, della posizione della terra nell'universo; quindi entra nel vero campo astronomico e canta dello zodiaco, dell'asse del mondo, delle stelle artiche, della natura delle costellazioni, della distanza fra cielo (zodiaco) e terra, della grandezza delle dodici parti dell'eclittica, dei circoli paralleli, dei meridiani, dell'orizzonte, dell'eclittica, infine della via lattea. I libri II-IV trattano dell'astrologia zodiacale; il II si occupa dei dodici ζῴδια, secondo la loro natura, della loro posizione reciproca, della loro subordinazione ai dodici dei (Minerva, Venere, Apollo, Mercurio, Giove, Cerere, Vulcano, Marte, Diana, Vesta, Giunone, Nettuno), del loro dominio sulle membra umane, dei rapporti fra loro (vista, udito, amore, odio dei ζῴδια), dell'inimicizia dei trigona e dei singoli segni dello zodiaco, della discordia che regna sulla terra a somiglianza di quella fra le costellazioni, dell'influsso dei sidera cognata su quelli nati sotto di loro, infine dei dodekatemoria e degli "otto luoghi". Il libro III tratta principalmente dei dodici athla o sorti, di cui la Fortuna è la prima e più importante, e determina come e in qual tempo si combinano coi dodici segni; ricerca in qual modo all'istante di una data nascita si possa determinare il punto da considerare come oroscopo, e insiste sul trovamento di questo; parla infine dei segni tropici (Cancro, Capricorno, Ariete, Libra).
Il IV libro espone dapprima il carattere generale delle figure dei segni zodiacali, indi descrive i costumi, il contegno, la professione, il destino degli uomini, a seconda dei segni in cui essi nascono. Poi dà notizia di un sistema di decani, che consiste in una ripartizione ternaria dei segni dello zodiaco in questi stessi segni, cioè, partendo dal segno dell'Ariete, che riceve come decani l'Ariete, il Toro e i Gemelli, ciascun segno, che è di 30°, cede un terzo (10°) alla costellazione zodiacale a cui si associa; di guisa che alla fine di quattro segni o 12/3 la serie, esaurita, ricomincia (quindi anche il Leone ed il Sagittario hanno per decani l'Ariete, il Toro e i Gemelli). Il poeta si occupa poi di quei gradi dei segni che sono irrigiditi dal freddo o abbruciati dal caldo eccessivo o sono resi parimenti sterili da eccesso o difetto di umidità, indi tratta del sorgere dei segni, delle regioni divise sotto il dominio dei 12 segni (geografia astrologica), dell'abbruciamento universale (ἐκπύρωσις), secondo gli stoici, infine del microcosmo.
Il nucleo del libro V è costituito dalla teoria dei παρανατέλλοντα e poiché ci è conservata solo la descrizione del sorgere, mentre il poeta aveva promesso di parlare anche del tramonto, fu supposto, già dallo Scaligero, che dopo il verso 710 ci sia una lacuna. E poiché dopo questo verso si parla delle sei diverse grandezze delle stelle fisse, mentre il poeta aveva promesso di cantare poi anche dei pianeti, è chiaro che l'opera è rimasta interrotta.
La ricerca delle fonti di M. è stata oggetto di molti studî. Si ammette che il poeta si sia valso assai delle opere di Posidonio, cioè del Περὶ μετεώρων per la parte astronomica, del Protreptico per la parte, diciamo, più filosofica, del Περὶ 'Ωκεανοῦ per la parte geografica. Per la dottrina astronomica attinse anche dai Fenomeni di Arato, in un'edizione fornita di scolî. Ma per tutta la dottrina astrologica di chi si servì? Dapprima fu pensato generalmente a un manuale, ma avendo F. Cumont (Cat. codd. astr. Gr., VI, p. 188) trovato in un codice Angelico (gr. 29, sec. XIV, f. 120) un capitolo (pubblicato da F. Boll, Sphaera, p. 53 e da B. A. Müller, De Asclepiade Myrleano, p. 22), in cui si parla delle costellazioni della sfera barbarica e della natura degli uomini nati sotto di esse, secondo la dottrina esposta da Asclepiade Mirleano nella sfera barbarica, e avendo il Boll rilevato la corrispondenza di questo contenuto con M. (V, 262 seg.), egli venne alla conclusione che Asclepiade è da annoverarsi tra le fonti maniliane. Di più, nello stesso libro la dottrina dei παρανατέλλοντα avendo molto di comune con frammenti di Teucro Babilonese e avendo Teucro, che visse nel secolo I d. C., dato ad alcune costellazioni della sfera barbarica gli stessi nomi applicati a esse da Asclepiade Mirleano, si poté anche dedurre che tanto Teucro quanto M. attinsero alla stessa fonte. È poiché Firmico Materno (proemio libro III, parag. 4) rileva negli scritti di Nechepso e Petosiride (pubblicati tra il 170 e il 100 a. C.) alcuni concetti che troviamo ripetuti in M. e poiché ciò che il nostro poeta canta sulla sorte della Fortuna (III, 195-196) trova rispondenza in un frammento dei due astrologi (Riess p. 363), fu ritenuto verosimile che questi scrittori istruissero Manilio sulla disposizione dei segni, sulla dottrina dei dodekatemoria, sulle sorti dei dodici luoghi, ecc. Il poeta non approva la dottrina di Lucrezio, ma è noto che nell'economia generale del suo poema il modello è il De rerum natura, ed è evidente l'imitazione lucreziana nei proemî ai diversi libri.
Frequenti sono le imitazioni virgiliane, ma il poeta a Virgilio e a Lucrezio resta di molto inferiore per non aver saputo, per lo più, padroneggiare poeticamente l'arida materia. Non mancano nella sua opera errori scientifici, ma non mancano nemmeno brani interessanti, ad esempio, quello delle anime beate nella Via Lattea (I, 750 segg.; concetto platonico) e descrizioni efficaci. Una vera gemma è l'episodio di Andromeda (V, 538 segg.).
Ediz.: T. Breiter, Lipsia 1908, e J. van Wageningen, Lipsia 1915.
Bibl.: Per la letteratura copiosissima su M. cfr. l'edizione del v. Wageningen, pp. xx-xxiv. V. anche Schwemmler, De Lucano Manilii imitatore, Giessen 1916; W. S. Teuffel, Geschichte der römischen Literatur, 7ª ed., II, par. 253; M. Schanz, Geschichte der römischen Litteratur, III, ii, 3ª ed., Monaco 1913; van Wageningen, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XIV, col. 1115 segg.; B. Soldati, La poesia astrologica nel Quattrocento, Firenze 1906.