MANIERISMO
Si intende con tale termine, coniato in epoca moderna dal vasariano "maniera" (secondo il significato attribuito al termine dal Bellori) per designare gli epigoni di Michelangelo e Raffaello e applicato in seguito per analogia a espressioni consimili della storia dell'arte antica, un particolare fenomeno di ricreazione e rielaborazione di immagini figurative già formulate. Frutto di una preparazione erudita il m. nasce in periodi di ripensamenti intellettuali ma di scarsa creatività e si ripropone ogni volta dopo fasi di intensa attività creatrice; è esso uno degli aspetti della penetrazione della grande opera d'arte nella cultura del periodo che succede alla nascita di questa e uno dei segni della sua graduale saturazione. Il m. segna, in sostanza, il trapasso dell'arte dalla sfera creativa nell'habitus culturale ed in tal senso può avere il duplice aspetto di fenomeno culturale e di moda.
Proprio per codesto suo ciclico ripresentarsi non gli si può assegnare una data di nascita: fenomeni manieristici si verificarono in ogni tempo nell'alone delle grandi personalità artistiche; si presentano con maggior ambiguità in periodi ove nel fenomeno artistico prevale una deviazione verso l'ornamentale (come ad esempio nel periodo geometrico ed in quello orientalizzante), mentre appaiono più manifesti nell'arte greca del VI sec. a. C. (ad esempio nella grazia aulica di talune kòrai o in rilievi e vasi attici dell'ultimo venticinquennio del secolo). È consuetudine però di legare più concretamente il nome di m. al verificarsi di un fenomeno che appare ben presto nella cultura figurativa greca e consiste nella consapevole reintegrazione di moduli artistici già trascorsi (arte arcaizzante).
Il primo o almeno il più noto esponente di tale gusto è l'Hermes Propölaios di Alkamenes, scultore della cerchia fidiaca: i riccioli chioccioliformi e la barba trapezoidale di quest'erma, di cui sono note numerose repliche, riproducono forme di sessant'anni più antiche. Allo stesso Alkamenes era ascritta dalle fonti un'Ecate triforme, riconosciuta dubitosamente in frammenti di probabili repliche che sembrano rivelare anch'esse tracce di voluti arcaismi.
L'arcaizzare può spesso avere una sua immediata determinante nella liturgia o nella volontà di adeguarsi ad immagini tradizionali: narrano gli antichi di Onatas, scultore egineta del VI sec. a. C. che avrebbe fatto per Figalia una Demetra a testa di cavallo a somiglianza di un distrutto antichissimo simulacro (Paus., viii, 42, 1-13); ricorderemo ancora rappresentati i palladi su vasi o su rilievi (ad esempio Aiace e Cassandra della Galleria Borghese) e la lunga serie delle anfore panatenaiche che, attraverso un itinerario di tre secoli (VI, V, e IV a. C.), ripropongono con lievissime varianti, la medesima immagine di Atena Pròmachos.
Ma l'arcaizzare, da cui rampollerà un vero e proprio stile, quello arcaistico e che con le sue propaggini neoattiche si inoltrerà nei primi secoli dell'Impero romano, non esaurisce che uno degli aspetti del manierismo. Altro è quello cui più propriamente si addice il termine di m. che affonda le sue radici nel repertorio fidiaco interpretandone graficamente i ritmi delle chiome e dei panneggi fino a ridurli al gioco di un mero virtuosismo ornamentale. Agli esordi gloriosi di questo m. suonano i nomi di Kallimachos, noto come il κατατηξίτεχνος (= raffinato) e al quale sono stati ricondotti la cosiddetta Afrodite dei Giardini e il Thiasos delle menadi, noti attraverso numerosissime repliche; Timotheos lo scultore di Epidauro e di Alicarnasso; i maestri monetali siracusani, Eukleidas, Euainetos, Kimon; il ceramografo di Meidias e gli anonimi artefici, che su vasi e suppellettili, volgarizzarono, nel mondo ellenizzato e in un corsivo pur sempre nobile ed aulico, i moduli della grande arte fidiaca. Con ancora maggior pertinenza e consentaneità il m. si annida nell'ellenismo e più particolarmente nel classicismo (dopo la metà del II sec. a. C.) manifestandosi e nella rielaborazione delle forme classiche e nel purismo accademico dell'atticismo (che è il linguaggio classicheggiante dell'ellenismo attico) e negli stessi propositi fabulistici ed aneddotici della scultura di genere rodia ed alessandrina. Solo a partire da tale epoca il m. può divenire la sigla caratteristica di talune scuole (come ad esempio quella rodio-insulare). Con l'adorazione feticistica del passato e il vagheggiamento di alcune epoche trascorse come "epoche d'oro" dell'arte, l'erudizione e la dottrina divengono infatti sempre di più, nel gusto di certi ambienti dotti e raffinati, i presupposti necessari per la creazione dell'opera d'arte. Nasce così a Roma, nel clima ellenizzato dell'età cesariana, l'eclettismo di Pasiteles padre di una scuola cui appartennero Stephanos, Kolotes e Meneìaos ove venivano variamente combinati con gusto accademico i moduli dei grandi artisti del V secolo. Nihit fecit antequam finxit riferisce Plinio di Pasiteles e questa necessità del bozzetto, che era propria anche di Arkesilaos (proplàsmata) altro scultore classicista contemporaneo, autore della statua di Venere nel tempio cesariano, è uno dei segui indicativi della nascita delle loro opere per elaborazioni successive più che per immediatezza creativa. Nell'ambiente aulico del I secolo dell'Impero allignò tenacemente il neo-atticismo, nato anch'esso ad Atene da un nostalgico ritorno all'arte arcaica e a quella classica che ha il merito storico di aver tramandato i moduli di molti capolavori perduti ed a cui appartengono opere di raffinata cultura e di prezioso decorativismo.
Fenomeni manieristici si accompagnano ancora alle reviviscenze classiciste delle età adrianea, severiana e gallienica.
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