MANFREDI, Manfredo (Manfredo Emanuele)
Nacque a Piacenza il 16 apr. 1859 da Giuseppe e da Paolina Giuditta Bertani. Il padre, avvocato e docente di diritto civile presso la locale università, era stato membro della Società nazionale italiana e capo del comitato insurrezionale piacentino; intrapresa la carriera di magistrato, ricoprì incarichi presso le corti d'appello di numerose città italiane.
Nel 1877 il M. frequentò a Roma il corso di pittura del R. Istituto di belle arti; l'anno successivo, forse su consiglio dell'amico G. Sacconi, passò al corso di architettura tenuto da L. Rosso. Con Sacconi il M. intraprese la pratica professionale presso L. Carimini; e per questo entrambi lavorarono (1880) alla stesura degli elaborati di concorso per il palazzo di Giustizia in Roma (Borsi - Buscioni).
Diplomatosi nel 1880, ottenne la nomina di professore di disegno presso l'istituto tecnico di Palermo. Gli esordi sulla scena artistica nazionale furono subito brillanti: nel 1881 fu vincitore nel primo grado del concorso a premio di incoraggiamento bandito nel 1880 dal ministero della Istruzione pubblica. Nello stesso anno fu premiato al concorso Stanzani indetto dalla Congregazione dei Virtuosi al Pantheon e si aggiudicò il terzo premio straordinario di 250 lire al concorso Poletti di architettura: l'Accademia romana di S. Luca, promotrice del premio, aveva voluto destinare una somma al concorrente contrassegnato dal motto "Fede", ovvero al M., il progetto del quale era stato giudicato "lodevole per la sua semplicità" (Catini).
Gli anni Ottanta videro il M. particolarmente impegnato nella partecipazione ai concorsi per la realizzazione di monumenti e grandi opere pubbliche che caratterizzarono quel decennio: nel 1882, appena ventitreenne, prese parte al concorso internazionale indetto per la realizzazione del monumento a Vittorio Emanuele II in Roma.
La seconda tornata concorsuale per il Vittoriano era stata bandita il 12 dic. 1882; il programma di concorso, molto articolato, prescriveva che il monumento, da erigersi sul colle capitolino in posizione assiale rispetto al Corso, dovesse essere costituito da una statua equestre del sovrano, cui avrebbe fatto da fondale una struttura architettonica, una loggia "o altro partito [(], di qualunque forma piaccia al concorrente" (Borsi - Buscioni, p. 55). Novantotto i progetti presentati: la commissione presieduta da A. Depretis annoverò tra i più meritevoli i lavori di Sacconi, del M. e di B. Schmitz, assegnando a ciascuno di loro un premio in denaro e disponendo che presentassero entro il termine di quattro mesi un modello in scala del progetto, al fine di verificarne compiutamente la validità. Pur attingendo entrambi dal repertorio classicista, i progetti di Sacconi e del M. denotano significativi elementi di novità nel linguaggio. Il M. conferì al monumento una connotazione molto suggestiva: rispetto a Sacconi, suo amico e grande rivale in questa circostanza, "concepisce il progetto con una più articolata spazialità delle scalee, diminuendo di molto l'importanza del fondale architettonico e, per così dire, trasformando in promenade architecturale il concetto di quinta insito nel bando, tanto da avvolgere in una sorta di spazialità circolare la statua, non posta al centro di uno sfondo, di un prospetto, come prescritto, ma al centro di una struttura paesistico-monumentale a pianta centrale" (ibid., p. 15). Il giudizio finale premiò, con un solo astenuto, Sacconi, nonostante le valutazioni molto positive incontrate dal progetto del M. in specie presso C. Boito, il quale pare ne fosse stato particolarmente colpito: la commissione stabilì pertanto di assegnare al M. un ulteriore premio in denaro a titolo di incoraggiamento.
Giudizi lusinghieri il M. ottenne anche nei concorsi per il nuovo palazzo del Parlamento da erigersi nella zona tra i fori e la via Nazionale (1888), emblematica direttrice di espansione della nuova città capitale, e per il palazzo di Giustizia (1884).
Il progetto del primo, concepito, sulla base del bando, nella zona di Magnanapoli, si proponeva di coniugare la grandiosità dell'architettura romana alle moderne esigenze. A tal fine, avvalendosi della ormai fertilissima pubblicistica dell'epoca, il M. studiò e prese spunto dalle architetture realizzate nell'Europa di quegli anni dalla connotazione analogamente "ufficiale": ne risultò un linguaggio architettonico più compiuto e maturo nella sua originalità, "oscillante grosso modo tra una riproposizione corrente, professionistica delle forme più monumentali e più ovvie del neocinquecentismo e l'esperienza del recupero degli elementi linguistici propri del manierismo e del barocco da riproporre in chiave di ottimistico eclettismo storicistico" (ibid., p. 89).
Analogamente al precedente, il progetto per il nuovo palazzo di Giustizia, caratterizzato da un "impeccabile impiego dell'ordine architettonico" e da un apparato decorativo che attinge al più sontuoso repertorio della tradizione classica (ibid.), appare scrupolosamente organizzato anche sotto il profilo della distribuzione interna: il grande salone centrale dà accesso alle varie sezioni - ciascuna dotata, peraltro, di un ulteriore ingresso autonomo esterno - attraverso un sistema di percorsi differenziati. Il M., che immaginava come fronte principale dell'edificio quello prospiciente il Tevere, aveva ritenuto di concentrare al primo piano tutto l'effetto architettonico (ibid., p. 91): tale scelta lo penalizzò nell'ultima sessione del giudizio (1887), laddove venne rilevata una minore attenzione dal punto di vista progettuale agli ambienti circostanti il nucleo centrale. Nel mese di settembre 1887 il M. presentò una differente versione del progetto, elaborata sulla base delle osservazioni della commissione giudicatrice, ma al suo lavoro venne preferito quello di G. Calderini.
Ancora negli anni Ottanta redasse in forme neogotiche i progetti di concorso per la facciata del duomo di Milano (1886) e per le nuove porte bronzee da collocarsi in S. Maria del Fiore a Firenze (1887).
Il concorso per il Vittoriano era valso più di tutti a sancire una sostanziale svolta nell'attività del M., a seguito della quale si consacrò artista affermato: il primo, importante incarico giunse di lì a poco, nel 1885, allorché - questa volta superando Sacconi - venne prescelto il suo bozzetto per la realizzazione del monumento funebre a Vittorio Emanuele II nel Pantheon.
La realizzazione dell'opera, avvenuta negli anni immediatamente successivi, non corrispose fedelmente al progetto del M., il quale aveva previsto la collocazione di un'ara di porfido, non eseguita, e una più ricca decorazione della cornice della grande lapide bronzea; l'intervento, che si avvale efficacemente degli elementi più essenziali del linguaggio classico, appare ben ponderato in funzione della monumentalità e del prestigio del contesto architettonico.
Dal 1884 al 1890 il M. si accinse al progetto per il Monumento ossario alla memoria dei caduti nella battaglia del Volturno a Santa Maria Capua Vetere, con partiti scultorei di E. Ximènes e di E. Mossuti: le fasi di ideazione e di realizzazione conobbero numerose vicissitudini dettate sia da ragioni economiche sia da reiterate incertezze riguardo al sito, tanto che si poté dare mano all'opera soltanto nel 1901.
Inaugurato il 1 ott. 1905, il monumento, che risente stilisticamente del "clima artistico del progetto manfrediano per il Vittoriano" (ibid., pp. 104 s.), fu per due volte seriamente danneggiato a seguito della caduta di un fulmine. La sua ricostruzione, ancora caratterizzata da notevoli difficoltà, venne portata a termine dal M. nel 1927: sulla colonna ionica poggia una nuova statua della Nike eseguita da G. Tonnini, succeduto al defunto Ximènes.
Nel corso della seconda metà degli anni Ottanta il M. venne incaricato della stesura del progetto per l'allestimento e la decorazione del padiglione italiano alla Esposizione internazionale di Parigi che si sarebbe tenuta nel 1889, a cento anni dalla Rivoluzione francese.
Nel 1887 era stato costituito un comitato per promuovere la partecipazione dell'Italia all'Esposizione parigina; il governo presieduto da F. Crispi non si manifestò propenso a che l'Italia, paese retto da una monarchia, vi prendesse parte: il comitato ebbe perciò un carattere "privato" e ufficioso (ibid.). La realizzazione del padiglione, ispirato all'architettura italiana del Medioevo e del Rinascimento, procurò al M. un grande successo di pubblico e di critica.
Negli anni seguenti il M. si cimentò con analoghe realizzazioni per le sezioni italiane delle Esposizioni internazionali di Chicago (1893) e di Anversa (1894): in quest'ultima occasione gli vennero conferiti un diploma d'onore e la medaglia d'oro.
Nel 1890 partecipò alla I Esposizione italiana di architettura di Torino: la sua relazione, già apparsa sul quotidiano Il Popolo romano, venne pubblicata alcuni anni dopo (Prima Esposizione italiana di architettura, Torino 1890, Roma 1893). Nel medesimo anno il M. fu tra i membri fondatori, con G.B. Giovenale, E. Basile, G. Koch, G. Magni, P. Piacentini e altri, dell'Associazione artistica tra i cultori di architettura.
Nel 1891 condivideva lo studio professionale con A. Basevi e O. Santarelli; ma nel 1893, anno del matrimonio con Margherita Lucca, da cui avrebbe avuto l'unico figlio, Giuseppe Salvatore, futuro storico e uomo di legge, si trasferì solo con Basevi al n. 9 di via San Martino della Battaglia.
Ancora nei primi anni Novanta il M. diede mano, in collaborazione con alcuni tra i più affermati architetti romani tra i quali Koch, F. Podesti e Piacentini, al progetto per l'Esposizione nazionale di Roma del 1895, non realizzato in quanto l'iniziativa stessa decadde.
In questo periodo il M., ormai professionista affermato, iniziò a dedicarsi anche alla didattica. Nel 1896 fu nominato libero docente di architettura e ornato presso l'ateneo romano. L'anno successivo ebbe la cattedra di architettura all'Istituto di belle arti di Venezia, incarico che mantenne fino al 1908 unitamente a quello di direttore dello stesso Istituto, dal 1902 al 1907. Nel 1898 trasferì la libera docenza dall'Università di Roma alla facoltà di scienze matematiche dell'Università di Padova. Ciò indusse il M. a progettare una residenza per sé e per la moglie a Moronasco di Alzeno presso Piacenza: il villino Margherita, ultimato nel 1904, diverrà effettiva dimora del M. solo nell'ultima fase dell'esistenza.
Nel "periodo veneziano" il M., pur se impegnato dalla docenza, non trascurò l'attività professionale. Tra il 1897 e il 1898 realizzò, in occasione della ricorrenza del cinquantenario dell'evento, la colonna commemorativa della liberazione di Venezia nel marzo 1848, collocata nel campo S. Bartolomeo, nella quale l'adozione del capitello "corinzio ottagonale", sovrastato da un pulvino avente la medesima forma, denota un avvicinamento a un linguaggio più proprio del Quattrocento veneto che non dell'epoca classica a lui cara (ibid.). Nello stesso anno realizzò la lapide in memoria dell'operaio A. Stefani nella chiesa degli Scalzi.
Tra il 1898 e il 1899 il M., con F. Lavezzari, E. Mattei Triomi ed E. Trevisanato, fu tra i membri della commissione istituita per verificare le condizioni del palazzo ducale.
Nel luglio 1902, a pochi giorni dal crollo del campanile di S. Marco, al M. fu dato incarico provvisorio di sostituire l'ingegnere P. Saccardo, immediatamente sospeso dalle proprie mansioni a seguito del fatto, nel ruolo di direttore dei lavori di restauro della basilica.
La nomina ufficiale porta la data del marzo 1903: proseguiti fino al 1914 con la collaborazione dell'ingegnere L. Marangoni, il quale seguì il cantiere informando regolarmente il M., impegnato altrove, i lavori contemplarono una accurata analisi preliminare volta al monitoraggio delle condizioni statiche delle strutture di fondazione, delle murature in elevazione, delle volte e dei solai. La verifica evidenziò una situazione particolarmente critica dovuta al degrado delle masse murarie, in specie nei "voltini colleganti le pile murarie delle quattro tribune" (M. Manfredi - L. Marangoni, Le condizioni statiche della basilica. Venezia. Maggio MCMIV, Venezia 1904, p. 27) e nel cosiddetto angolo di S. Alipio. Numerosi elementi strutturali vennero quindi smontati, consolidati e rimontati così come le decorazioni musive; le integrazioni delle lacune furono eseguite con materiali moderni trattati a imitazione dell'antico. L'operazione appare, alla luce degli attuali approcci metodologici alle problematiche del restauro, essere stata condotta in modo forse eccessivamente drastico; va tuttavia dato atto al M. di aver saputo attuare e gestire, per la prima volta nella storia della basilica, un intervento progettuale di carattere unitario e organico in tal senso veramente moderno.
La questione della ricostruzione del campanile di S. Marco aveva generato un acceso dibattito in merito alla opportunità e, in secondo luogo, alle modalità di un simile intervento.
Dopo le dimissioni rassegnate da L. Beltrami era stata costituita (1903) una commissione presieduta da G. Moretti della quale facevano parte, oltre al M., E. Fumiani (sostituito alla sua morte da D. Donghi), Lavezzari, A. Orio e F. Setti. Fu il M. stesso a redigere una dettagliata relazione sulle vicende storiche del campanile e sulle condizioni delle fondazioni. I lavori della commissione furono costellati di polemiche. A parere di Donghi il basamento del nuovo campanile avrebbe dovuto avere cinque gradoni in luogo dei tre preesistenti, al fine di riportarlo alla quota originaria rispetto alla piazza; diversamente, il M. avrebbe optato per una ricostruzione il più possibile puntuale. La proposta di Donghi incontrò maggiori consensi: il M., ormai lontano da Venezia, annotava nel Diario la propria insoddisfazione (Borsi - Buscioni).
Nel 1905 prese parte al I congresso artistico internazionale di Venezia con una relazione dal titolo L'insegnamento dell'architettura. Ciò che fanno gli stranieri, ciò che dobbiamo fare noi. Nel 1906, con Koch e Piacentini, venne nominato direttore dei lavori di completamento del monumento a Vittorio Emanuele II.
La carenza degli elaborati progettuali lasciati da Sacconi rendeva estremamente difficoltoso il lavoro del "triumvirato"; il M. per giunta, impegnato a Venezia, non avrebbe potuto curarne assiduamente gli sviluppi. Dal 1908, ottenuto il trasferimento della docenza a Roma, il M. più degli altri poté dedicarsi pienamente ai lavori del Vittoriano che seguì fino alla morte, "sensibile interprete della volontà artistica del grande amico-rivale" (ibid., p. 73).
Ancora nel 1908 fu nominato accademico residente di S. Luca: presiederà l'Istituto romano nel biennio 1922-23. Nel 1909 venne eletto deputato per il partito liberale; nello stesso anno si trasferì con la famiglia da Piacenza a Roma.
Tra il 1910 e il 1911 portò a compimento il faro sul Gianicolo, eretto per volontà degli italiani d'Argentina in occasione del cinquantenario della proclamazione della capitale.
Negli anni successivi realizzò nella natia Piacenza il palazzo per gli uffici provinciali e per le Poste e telegrafi (1912-13), ove in un impianto di matrice neocinquecentesca inserì elementi tratti dai più moderni repertori del liberty e dell'art nouveau.
Nel 1911 ricevette l'incarico del progetto e della realizzazione della nuova sede del ministero dell'Interno al Viminale, ultimato nel 1926.
Il complesso, articolato in più corpi di fabbrica collegati da cortili e variamente connotati dal punto di vista volumetrico, denota l'esistenza di "una dialettica segreta tra la severità dell'impianto generale e la volontà di qualificare "artisticamente" quanto più fosse possibile questa architettura a tutti gli effetti manfrediana" (ibid., p. 196).
Nel corso della sua lunga e prestigiosa attività professionale il M. non mancò di cimentarsi nella realizzazione di numerosi monumenti funebri.
Nel cimitero romano del Verano si ricordano, la tomba Santarelli (progetto del 1881); il sepolcro Lovatelli (1885, con G. Tadolini) e la cappella Vannoni (1922) al Pincetto; la tomba Cecchini (1923) nel viale d'ingresso al quadriportico, con ritratti eseguiti da F. Severati; la decorazione interna della cappella Ximènes (1927); il progetto della tomba Maury (1924-25). Fuori Roma, le tombe Maramotti a Perugia (1891-92, con G. Tadolini); Perinetti a Fiorenzuola d'Arda (1925); il monumento al padre Giuseppe, morto nel 1918, nella chiesa di S. Francesco a Piacenza (1922-26, con G. Tonnini).
Nel 1914 il M. venne nominato presidente della commissione parlamentare incaricata di redigere la proposta di legge sull'istituzione delle scuole superiori di architettura.
Membro del Consiglio superiore per le antichità e le belle arti nel 1916, rassegnò nell'anno seguente le proprie dimissioni, con tutta probabilità in seguito a dissidi interni.
Nel 1920 fu nominato direttore della Scuola superiore di architettura di Roma, incarico che il M. ricoprirà per i sei anni successivi; nel 1921 ebbe la cattedra di composizione architettonica.
Ancora nel 1920 il M. risultò vincitore, con Ximènes, al concorso per il Monumento all'Indipendenza del Brasile da erigersi a San Paolo; realizzata negli anni seguenti sulla collina di Ypiranga, la composizione consta di un grande basamento con decorazioni in altorilievo sul quale poggia un secondo volume che costituisce la base del gruppo scultoreo raffigurante il Trionfo dell'Indipendenza.
Nel 1923 successe a E. Ferrari nella presidenza dell'Istituto di belle arti di Roma.
Ancora nel 1923, a pochi mesi dall'insediamento al governo di B. Mussolini, il M. fu chiamato a presiedere una commissione incaricata di elaborare una revisione del piano regolatore di Roma del 1909. Nel luglio 1924 l'operato di questa fu trasmesso all'ufficio tecnico capitolino, il quale redasse a sua volta la nota Variante generale 1925-26 che, pur non essendo mai stata oggetto di ratifica, di fatto sancì le modalità di sviluppo della città fino all'approvazione del nuovo piano del 1931 (Rossi).
Tra il 1923 e il 1926 il M. portò a termine il Monumento ai caduti della Grande Guerra a San Leucio, costituito da una colonna di marmo antico poggiante su una base ottagona, coronata da un'ara bronzea.
Nel 1924 fu nominato professore emerito dell'Accademia di belle arti e liceo artistico di Roma.
Nel 1925 il M. realizzò con Ximènes il Monumento a Finocchiaro Aprile a Palermo; nello stesso anno lasciò l'attività professionale per dedicarsi interamente all'insegnamento e agli incarichi di consulente e commissario in concorsi ed esami.
Il M. morì a Piacenza, ove si era nuovamente trasferito l'anno precedente, il 13 ott. 1927.
Fonti e Bibl.: Piacenza, Arch. della famiglia Manfredi; Roma, Arch. stor. della Accademia nazionale di S. Luca, Disegni di architettura, nn. 1262-1267; vol. 188, nn. 111, 119, 126, 139; Ibid., Arch. stor. Capitolino, Ispettorato edilizio, protocollo 1322 (23/7/1892); F. Borsi - M.C. Buscioni, M. M. e il classicismo della nuova Italia, Milano 1983 (con ulteriore bibliografia); L. Gigli, M. M., in Il Vittoriano. Materiali per una storia, II, Roma 1988, pp. 151 s.; A.M. Racheli, Restauro a Roma 1870-1990. Architettura e città, Venezia 1995, pp. 87, 294, 337, 355; R. Catini, I concorsi Poletti 1859-1938, Roma 1999, pp. 69, 107; P.O. Rossi, Roma. Guida all'architettura moderna 1909-2000, Bari 2000, p. 39; Storia dell'architettura italiana. Il primo Novecento, a cura di G. Ciucci - G. Muratore, Milano 2004, pp. 19, 27, 34, 37, 59 s., 64, 67 s., 74, 98, 398 s.; Diz. biografico piacentino, Piacenza 2000, pp. 209 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 10; Diz. encicl. di architettura e urbanistica, III, p. 473.