MANFREDI
. Signori di Faenza e di altre città di Romagna. Le prime notizie della famiglia sono del sec. XI; ben presto troviamo membri di essa mescolati alla vita pubblica del comune faentino, come quell'Alberico di Guido di Manfredo ricordato tra i nobili nel 1103, e più tardi alcuni consoli e podestà. Nel secolo XIII è addirittura la famiglia Manfredi che impersona, di fronte agli Accarisi ghibellini, la parte cosiddetta guelfa. Nel quadro dantesco della Romagna allo scorcio del secolo anche i M. sono rappresentati, col frate godente Alberico, il "peggiore spirto di Romagna" (Inf., XXXIII, 118-120 e 154) e col figlio di lui Ugolino detto Buzzola, il rimatore ricordato nel De vulgari eloquentia (I, xiv, 2). Il primato cittadino si trasforma a poco a poco in signoria, già abbastanza chiara nel 1313 quando Francesco diviene difensore e capitano di Faenza, ma di fatto signore, giungendo fino ad esercitare diritto di zecca. La signoria è discontinua ancora per un lungo periodo, alternandosi al reggimento libero e al dominio ecclesiastico con i legati papali; ma dopo Francesco (morto nel 1343) troviamo a capo della città anche il figlio Alberghettino e il nipote Giovanni (di Ricciardo). Di lui è figlio Astorgio, che nel 1378 toglie Faenza a Niccolò d'Este cui era stata venduta dalla Chiesa, e l'anno seguente riceve la conferma ufficiale della signoria, sotto forma di vicariato ecclesiastico, dapprima in apparenza soggetto agli Estensi. Astorgio I, uomo d'arme (è da ricordare la sua compagnia detta "della stella") e signore non incolto (fu amico di Franco Sacchetti, che ebbe in Faenza come podestà, e rimatore egli stesso), ebbe nel 1390 una conferma decennale del vicariato, ma la sua non breve signoria finì tragicamente: nel novembre 1405 il legato Baldassarre Cossa lo fa decapitare sulla piazza di Faenza come traditore. Nel 1410 il figlio Gian Galeazzo rientra in Faenza, nel 1412 o 1413 è fatto conte di Valdilamone (territorio che resterà distaccato dalla città fino al 1501), nel 1414 conferma la nuova ampia redazione degli statuti. Muore nel 1417, e fino al 1448 tengono il governo i figli Guidantonio, Astorgio II e Gian Galeazzo II, reggente, dapprima, la loro madre Gentile di Galeotto Malatesta. Guidantonio, detto Guidaccio, fu anche signore di Imola (1439-48) e ivi gli succedette fino al 1471 il figlio Taddeo. Dal 1448 in poi governa, solo, Astorgio II (m. 1468). Dei figli di lui resta signore Carlo II, ma arbitro di fatto Federico, vescovo della città dal 1471. Le sorelle, Elisabetta e Barbara, erano andate spose a Cecco e Pino Ordelaffi. Gli altri fratelli, Galeotto e Lancillotto, esiliati, avranno la rivincita nel 1477, quando il primo, col favore popolare, caccia il fratello signore e il fratello vescovo. Galeotto (nato nel 1440) è la figura meglio nota e forse di maggiore rilievo della famiglia. Non privo di vizî e leggerezze, egli è tuttavia un principe valoroso nell'ereditaria professione delle armi, dignitoso nel giuoco della politica, pur legato com'è da una parte a Ercole d'Este e dall'altra a Lorenzo de' Medici, di animo gentile e di spirito aperto alle arti e agli studî. Sotto di lui si continuò la cattedrale iniziata da Federico con l'opera di Giuliano da Maiano, fu mecenate di chiese e conventi, confermò a Sperandio artista di corte la condotta di Carlo, favorì l'arte ceramica, fu amico di umanisti, raccolse una preziosa biblioteca. Dal suo matrimonio con Francesca di Giovanni II Bentivoglio (1482) nacque Astorgio III, ma nacque anche la sua rovina. Da un lato la sua relazione con la ferrarese Cassandra Pavoni, non interrotta neppure dopo che essa si ritirò (1480) nel monastero camaldolese di S. Maglorio (dove morì, col nome di suor Benedetta, nel 1514), la politica insidiosa e avida del suocero dall'altro, gli crearono una situazione di sospetto e di disagio che gli rese difficili i brevi anni di governo e sboccò nella tragedia, non meno passionale che politica, del suo assassinio (31 maggio 1488) per trama e anche, sembra, per mano della moglie ventenne, strumento delle mire del signore di Bologna. È il tramonto della famiglia, perché il figlioletto erede, principe di tre anni sotto la reggenza degli anziani e la protezione di Firenze, non giunse all'adolescenza che per vedere l'estrema fine della signoria per opera di Cesare Borgia (1501) e l'anno seguente fu fatto uccidere in Roma, si disse dal Valentino stesso. Non è che un fuggevole bagliore il tentativo di restaurazione del bastardo Francesco (Astorgio IV) nel 1503.
Bibl.: G. Ballardini, Di una impresa manfrediana, in Felix Ravenna, fasc. 7° (1912), pp. 272-77; id., La costituzione della contea di Brisighella e di Val d'Amone, in Valdilamone, VII (1927), pp. 23-40; id., Coppe d'amore nel sec. XV, Faenza 1928, pp. 5-120; id., introduzione agli Statuta Faventiae, I (Rerum Ital. Script., XXVIII, 5); G. Bertoni, Nuove notizie su Ugolino Buzzola, in Studi danteschi, IV; A. Castiglioni, Il volto di Ippocrate, Milano 1925, pp. 101-129; A. Messeri, Galeotto M. signore di Faenza, Faenza 1904; id. e A. Calzi, Faenza nella storia e nell'arte, Faenza 1909; Missiroli, Faenza e il pretendente Ottaviano M. nell'anno 1488, in La Romagna, V (1908); id., Astorgio III Manfredi signore di Faenza, 1488-1501, Bologna 1912; L. Passerini, M. di Faenza (1861), in Litta, Famiglie celebri d'Italia; F. Torraca, Studi danteschi, Napoli 1912, pp. 187-211; G. M. Valgimigli, Memorie storiche di Faenza, ms. nella Bibl. com. di Faenza; P. Zama, Romagna romantica, Milano 1929.