LANCIA (Lanza), Manfredi (Manfredo)
Primo di questo nome, marchese di Busca, nacque presumibilmente prima della metà del secolo XII, secondogenito di Guglielmo, figlio di Bonifacio, della stirpe marchionale aleramica dei del Vasto. Ereditò dagli zii Bonifacio di Cortemiglia e Ottone Boverio le loro parti del comitato di Loreto, territorio posto fra Tanaro e Belbo, condividendole con il fratello maggiore Berengario e altri discendenti di Bonifacio del Vasto. Lasciata Busca al fratello stabilì la sua sede nel castello di Dogliani.
Il L. è il primo della famiglia a portare, almeno dal 1187, il soprannome Lancia, spiegato in modo leggendario dai tardi cronisti Iacopo d'Acqui e Antonio Astesano, i quali alludono entrambi a un periodo, non meglio determinato, in cui egli sarebbe stato al seguito di un imperatore, identificabile con Federico I, servizio di cui non esiste però traccia nelle fonti. Quali che siano le ragioni dell'epiteto, esso si affermò nell'uso sino ad assumere funzione cognominale, probabilmente per la necessità di distinguere il L. dal suo omonimo e contemporaneo cugino Manfredi marchese di Saluzzo.
Doveva già essere adulto nel 1160 allorché, insieme con Berengario, vendette beni posti in Moretta; di nuovo nel 1168 lo vediamo alienare terra presso Dogliani, e in vendite e in pignoramenti consistono per lo più anche gli altri documenti che abbiamo di lui: nel 1180 impegnò a Manfredi (II) di Saluzzo i suoi diritti sul castello di Busca e nel 1187, per 1150 lire genovesi, su quello di Dogliani; sappiamo inoltre di mutui da lui contratti nello stesso anno con cittadini di Alba impegnando i suoi diritti sul comitato di Loreto per altre 1033 lire genovesi; di nuovo nel 1191 vendette boschi nel territorio di Cortemiglia.
Nel 1192 compare fra gli alleati del Comune di Asti in lotta contro il marchese di Monferrato Bonifacio I; due anni dopo il medesimo Comune lo diffidava dal vendere a Bonifacio la sua parte del comitato di Loreto sul quale era da tempo interessato a estendere il proprio dominio. Del 1195 sono due documenti che per il L. assumono un valore insolitamente positivo: il 20 settembre da Dogliani egli donò al monastero di S. Maria di Pogliola la decima parte dei pedaggi stabiliti sulle sue terre e il 30 ottobre due vassalli del gruppo familiare di Cortazzone rimisero nelle sue mani i loro diritti sui castelli e sui villaggi di Neive e di Barbaresco.
Fra i testi presenti a quest'ultimo atto figura un "Brunus de Aglano", che attesta quindi, sin da allora, legami fra la casata degli Agliano e i Lancia. Negli anni successivi si nota con una certa frequenza, specialmente nei rapporti con i Monferrato e con altri marchesi aleramici, la contemporanea presenza del L. e di signori di Agliano, di Laerio e di Canelli, tanto da far pensare che tutti costoro (ma in particolare gli Agliano) fossero legati al L. da rapporti vassallatici benché essi non siano mai dichiarati in modo esplicito. Va ancora notato che "Iordaninus de Lança", uno dei probabili figli del L. documentato nel 1218, porta un nome che risulta frequente fra gli Agliano.
Il 3 nov. 1196 a Dogliani il L. vendette a Bonifacio I di Monferrato per 3000 once d'oro tutte le terre che possedeva in "Lombardia", compresa la metà del comitato di Loreto, ma esclusi Bossolasco, Niella, Recisio e Boves, con il patto di riavere tutto in feudo: non è chiaro se Bonifacio abbia davvero sborsato il denaro pattuito o se si trattava di un contratto fittizio; è probabile infatti che il L. fosse già indebitato con lui che diveniva così padrone dell'intero comitato di Loreto contro le aspirazioni del Comune di Asti. L'anno seguente il L. figura come testimone nei patti con i quali il marchese Bonifacio giurava il cittadinatico di Alba e, pochi giorni dopo, nella concessione di un ottavo del comitato di Loreto a un cittadino albese garantendo per l'acquirente. Il 19 marzo 1197 prometteva di pagare al medesimo cittadino un suo debito di 1033 lire genovesi mediante 700 once d'oro che doveva avere in dono da Enrico VI; tale dichiarazione attesta sue relazioni con l'imperatore (morto a Messina il 28 settembre di quell'anno) che però rimangono oscure.
Come alternativa il L. avrebbe dato in pegno metà del castello di Castagnole (oggi Castagnole delle Lanze) e la parte rimanente del comitato di Loreto; egli aveva però già impegnato i proventi di quel comitato ad altri tre creditori che dovevano essere saldati con la consegna dei castelli e con la garanzia del marchese di Monferrato: i debiti del L. venivano così abilmente sfruttati da Bonifacio per impadronirsi del comitato di Loreto. Bisognoso di altro denaro il L. trattò il 30 sett. 1197 con i propri dipendenti assicurandosi il versamento immediato di 300 lire savonesi e contributi annui di 50 lire riservandosi però i diritti principali: già il 4 novembre la somma da versare era passata da 300 a 250 lire.
Il 7 novembre di quello stesso anno, mentre era ospite a Pontestura di Bonifacio di Monferrato, il L. stabilì condizioni per le popolazioni del comitato che promettevano di pagare i censi dovuti e di non spostare le abitazioni senza il suo consenso, anche questa volta con la garanzia del marchese di Monferrato. Nel 1198 però il Comune di Asti, alleato con Alessandria e con Vercelli, risolse la questione del comitato di Loreto con le armi: conquistato il castello di Castagnole, lo stesso L. venne imprigionato con i suoi vassalli e i vincitori si divisero fra loro la preda. Pochi mesi dopo il L., liberato dietro il pagamento di un riscatto, cedette al Comune di Asti il castello e il territorio di Costigliole dove il Comune fondò un nuovo villaggio mettendo così fuori causa i partigiani del L. mentre Loreto per il momento rimaneva ancora nelle sue mani.
Nel 1201 gli Albesi, costretti a patteggiare con Asti, si schierarono contro i marchesi aleramici di Monferrato, Saluzzo e Busca, fra i quali il L., pur impegnandosi a soddisfare nel contempo i creditori di questo in Alba. Nel 1206, con la sconfitta subita, il L. e Guglielmo VI di Monferrato - che agiva in nome del padre, il marchese Bonifacio partito per l'Oriente alla guida della crociata - furono costretti a cedere ad Asti Castagnole, Loreto e tutto il suo comitato per 4000 lire astigiane. Il 4 giugno Guglielmo accompagnò in Asti il L. per redigere l'atto di rinuncia definitivo e il denaro passò direttamente ai creditori albesi. I due marchesi convocarono in seguito a Castagnole vassalli e rustici rinunciando ai loro poteri in favore di Asti.
Il 2 luglio 1210 il L. risulta presente accanto all'imperatore Ottone IV di passaggio a Torino: nella sua sottoscrizione il soprannome Lancia appare ormai accettato come cognome, fatto che viene confermato l'anno dopo da altre sottoscrizioni in documenti locali.
Il 21 ott. 1212 il L. concesse Boves al vescovo di Asti riottenendolo in feudo a nome suo e in nome "eiusque filii et filie, quos et quas tunc habebat, sui aliique legiptimi heredes futuri" (Il Libro verde, doc. 231, p. 102), si tratta dell'unico accenno alla presenza di una prole plurima. Tutti i figli erano evidentemente ancora minori poiché essi non vengono citati per nome, né in questo atto né nei seguenti degli anni 1213 e 1214 sempre riguardanti il possesso di Boves. Dal momento che il figlio primogenito Manfredi (II), doveva essere nato nel decennio 1185-95, si può pensare che appunto intorno al quel periodo il L. avesse preso moglie, il cui nome e famiglia di provenienza rimangono tuttavia ignoti, come ignoto rimane il nome dei figli maschi e femmine, con la sola eccezione di Manfredi (II) e del già ricordato "Iordaninus de Lança" (Rigestum Comunis Albe, doc. 205).
Al L. è attribuibile anche la paternità di Bianca moglie, forse, di Bonifacio d'Agliano e madre di quella Bianca Lancia, ricordata come la madre di Manfredi di Svevia.
Il 5 maggio 1214 il L. restituì al vescovo di Asti quanto da lui teneva in Beinette e nello stesso mese diede investitura del luogo di Rossana. Ormai all'incirca settantenne, egli dovette venire a morte in quello stesso anno o nel seguente essendo provato che il Manfredi Lancia attestato nei documenti degli anni successivi è da identificare con il figlio Manfredi (II).
Nella documentazione relativa al L. non è possibile scorgere alcun tentativo di costituire un potere di qualche solidità, ma soltanto un continuo e quasi affannoso bisogno di denaro. Ciò potrebbe spiegarsi con la necessità di sostenere spese di guerra e di fortificazione, della quale non esiste però nessun riscontro nelle fonti, così come mancano prove che abbia partecipato a spedizioni al seguito dell'imperatore. Le ragioni del suo indebitamento sono più probabilmente da vedere nelle spese per il mantenimento di un stile di vita aristocratico (Provero, Clientele, p. 202) e, nel caso specifico, per partecipare alla vita brillante che, almeno dagli ultimi decenni del secolo XII, si svolgeva presso la corte dei marchesi di Monferrato.
La sua partecipazione in prima persona a uno dei centri più vivaci della cultura trobadorica in Italia è del resto attestata dalla "tenzone ingiuriosa" ingaggiata intorno agli anni 1195-96 con il trovatore Peire Vidal mediante composizioni che si risolvono in sfoghi colmi di livore: il L. dileggia il suo antagonista che si fa soprannominare "imperatore" e questi risponde rinfacciandogli la sua povertà e il continuo bisogno di alienare terre e castelli come una vecchia vende galline e capponi ("plus sovens vens castels e domejos / No fai velha gallinas ni capos", cfr. ed. De Bartholomaeis, p. 67) brutali accuse che, come si è visto, trovano riscontro nella documentazione. Quando poi, dopo il 1206, il L. fu costretto a cedere il comitato di Loreto, venne giudicato dal Vidal alla stregua di un traditore degno di essere fustigato per il mercato di Asti.
Fonti e Bibl.: A. Astesano, De eius vita et fortunae varietate carmen, a cura di A. Tallone, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XIV, 1, pp. 68 s.; G.B. Moriondo, Monumenta Aquensia, I, Taurini 1789, col. 112; Iacobus Aquensis, Chronicon imaginis mundi, in Monumenta historiae patriae, Scriptores, III, Augustae Taurinorum 1848, col. 1574; G. Della Chiesa, Cronaca di Saluzzo, ibid., coll. 879, 881 s., 884 s.; Codex Astensis qui de Malabayla communiter nuncupatur, a cura di Q. Sella, Romae 1880, docc. 31-35, 43, 45-46, 48-50, 53, 57, 59, 63, 75, 79-82, 84-91, 93, 95, 100, 104, 248, 715, 734, 913, 918-920, 925, 959-960, 996, 1000; Il "Rigestum Comunis Albe", a cura di E. Milano - F. Gabotto - F. Eusebio, Pinerolo 1903, docc. 11, 13, 149, 155, 205; Il Libro verde della Chiesa d'Asti, a cura di G. Assandria, Pinerolo 1904, docc. 231-235; Poesie provenzali storiche, a cura di V. De Bartholomaeis, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], LXXII, Roma 1931, nn. 16 pp. 65-67, 38 p. 164; C. Merkel, M. I e Manfredi II Lancia. Contributo alla storia politica e letteraria italiana nell'epoca sveva, Torino 1886, pp. 1-52; F. Cognasso, Il Piemonte nell'età sveva, Torino 1968, pp. 306 s., 325 s., 332, 339-342, 372 s., 380, 410, 432, 447 s., 484, 486, 490, 513 s., 516, 537; L. Provero, Dai marchesi del Vasto ai primi marchesi di Saluzzo. Sviluppisignorili entro quadri pubblici (secoli XI-XII), Torino 1992, pp. 94, 100, 105, 120, 133, 141, 149, 161, 201; Id., Clientele e consortili intorno ai Lancia, in Bianca Lancia di Agliano. Fra il Piemonte e il Regno di Sicilia. Atti del Convegno, Asti-Agliano… 1990, a cura di R. Bordone, Alessandria 1992, pp. 199-217; G. Fiori, I "parenti" piacentini di Federico II di Svevia, in Boll. stor. piacentino, XCII (1997), pp. 51, 57.