MANFREDI da Vercelli
Originario di Vercelli, nacque nei primi decenni della seconda metà del XIV secolo; Creytens riteneva infatti M. già "très avancé en âge" (p. 173) negli anni 1420-25. Non sono noti i nomi del padre e della madre.
La biografia di M. è costretta spesso a immalinconirsi in un minuzioso e perfino pignolo confronto tra le testimonianze, le quali, anche per il solo periodo veramente conosciuto, che comincia nel 1418 e si distende su meno di un decennio, sono raramente documentarie e più spesso polemiche: testimonianza preziosa, ma infida, del successo della predicazione di M. e delle reazioni suscitate non solo in Curia, ma fra gli stessi domenicani e più ancora tra i francescani e gli agostiniani. Le tracce di un simile atteggiamento sono abbondanti. In particolare, ne trabocca il capitolo X della Legenda sancti Bernardini, dedicata al predicatore francescano Bernardino da Siena, di Cristoforo Gabrielli (Siena, Biblioteca comunale, Mss., U.IV.3; Roma, Biblioteca Casanatense, Mss., 1551) significativamente intitolato De equanimi tolerabilitate iniuriarum (ed. in Rusconi, 1977, pp. 98-107) in cui a proposito di M. e dei suoi seguaci, i cosiddetti manfredini, si possono leggere frasi come questa: "contra ipsum [Bernardino da Siena] oblatrabant et murmurabant, in eum dicacule probra dicebant, virtutibus eius atque doctrine detrahebant" (p. 102).
Stando sempre a Gabrielli, M. ebbe un fratello, ma la notizia si ricava da un contesto accesamente polemico che non dà affidamento, l'agiografo infatti scrive che "pecunias etiam ipse Manfredus suo germano ad divitias ampliandas opime tradiderat" (ibid.), ma l'accusa sembra fondarsi su un passo della predica di Bernardino del 16 febbr. 1425, che è ben più generico sui gradi di parentela ("ò trovato che bene fiorini ottocento una aveva dato a uno suo parente per fare mercatanzia", cfr. ed. Cannarozzi, p. 237).
Sulla carriera di M. nell'Ordine dei frati predicatori ci sono stati a lungo equivoci: in particolare, lo si è detto inquisitore, ma la qualifica, che risale alla cronaca di Alberto da Castello, è solo il frutto di una confusione con Manfredi da Parma, vissuto un secolo prima (cfr. Creytens, pp. 194 s. e soprattutto Rusconi, 1977, p. 52). Anche sulla sua cultura sono nati equivoci, causati da errata lettura di un passo del suo Tractatus contro i fraticelli in cui afferma "Et habui de libris eorum in greca et in vulgari et eos perlegi" (ed. Creytens, p. 191), dove "greca" deve essere corretto in "grammatica", cioè in latino.
Non sappiamo quando abbia vestito l'abito domenicano, né in quale convento; per avere le prime notizie, occorre arrivare all'ottobre del 1418, quando lo troviamo, tra Vercelli e Alessandria, a capo di un migliaio di persone soggiogate dalla sua predicazione, fondata su un'interpretazione strettamente letterale dell'Apocalisse e incentrata sull'annuncio che l'Anticristo era già nato e che stava per manifestarsi. Gli allarmi suscitati erano di due tipi: religioso e sociale. Al primo cercò di porre rimedio perfino papa Martino V, il quale, nel suo viaggio di ritorno a Roma dopo il concilio di Costanza, convocò M. a Pavia il 6 ott. 1418, ma senza successo; il secondo consisteva essenzialmente nell'abbandono della propria casa da parte di un numero notevole di donne che entravano nel Terz'Ordine domenicano e il fenomeno era destinato a lasciare tracce vistose.
Il 12 ottobre Martino V entrò in Milano; il 14 ricevette l'ambasceria fiorentina, capeggiata da Leonardo Dati, generale dei domenicani, e l'episodio ha qualche importanza anche per la vicenda di M., dal momento che Dati dovette venire a conoscenza del movimento penitenziale capeggiato dal confratello, sul quale più tardi sarebbe stato sollecitato a intervenire addirittura da Bernardino da Siena, che proprio nel 1418 cominciava la sua lotta contro Manfredi. Pochi giorni dopo, il 19 ottobre, Jordi d'Ornos, arcidiacono di Elna e procuratore di Alfonso V d'Aragona, scriveva al sovrano fornendo il numero dei seguaci di M.: seicento uomini e quattrocento donne (Finke, p. 198), e la fonte si rivela importante anche perché per la prima volta è accennato il paragone con Vincenzo Ferrer ed è inoltre espressa la dottrina dei cinque anni che mancavano alla fine del mondo (Finke; cfr. anche Creytens, pp. 177 s.).
Poco dopo M. iniziò il viaggio verso Roma, come tappa di un itinerario che, nelle sue intenzioni pare dovesse concludersi a Gerusalemme. Il gruppo arrivò a Bologna all'inizio del 1419: secondo la Cronaca di Pietro di Mattiolo, confermata dal Memoriale di Matteo Griffoni, M. vi era già il 19 marzo. Cherubino Ghirardacci, che normalmente dipende da Pietro di Mattiolo, qui se ne stacca indicando il 10 genn. 1419. È probabile che abbia ragione Ghirardacci, perché sia il domenicano bolognese Gerolamo Borselli sia lo stesso Griffoni riferiscono che M. rimase a Bologna quattro mesi, e sappiamo dallo stesso M. che egli si trasferì a Firenze, per ordine dei superiori, nel maggio del 1419 (cfr. ed. Creytens, p. 191).
Durante la sosta bolognese, anche se relativamente breve, "magnos peccatores convertit ad penitentiam", secondo la testimonianza di Borselli (p. 74); le donne che lo seguivano erano ancora quattrocento, ma Griffoni, che ci informa anch'egli sulla presenza femminile, tace su quella maschile (p. 104).
Nel maggio del 1419, come si è detto, i penitenti abbandonarono Bologna per Firenze. Cominciava il quadriennio meglio noto della vita di M., segnato dalle polemiche con l'agostiniano Andrea Biglia e con Bernardino da Siena. Biglia, milanese, era arrivato a Firenze nel settembre del 1418 e vi sarebbe rimasto fino al novembre del 1423: dunque per tutto il periodo del soggiorno di M.; anzi, secondo la ragionevole ipotesi avanzata da Rusconi (1977, p. 61), la partenza di Biglia fu, se non determinata, almeno favorita proprio dai contrasti con i manfredini.
A lui e alla sua Admonitio ad fratrem Manfredum Vercellensem Ordinis fratrum praedicatorum (Milano, Biblioteca Ambrosiana, H.117 inf., edita da Rusconi, 1977, pp. 72-97) dobbiamo una gran quantità di notizie importanti, benché non sempre accompagnate dai nomi delle persone citate e ancor meno da una cronologia. L'opera fu composta non molto dopo la partenza di M. da Firenze, probabilmente tra la fine del 1423 e l'inizio del 1424, e ha in sostanza forma epistolare. Le accuse sono pesanti, ma con ogni verosimiglianza ben fondate, anche perché Biglia fa chiaro riferimento non solo a episodi riferiti, ma anche a colloqui diretti con Manfredi. Secondo Biglia M. si faceva portare in giro per la città istallato su una specie di cattedra poggiante su sostegni retti da due cavalli, nell'atteggiamento di chi sfoglia un volume "quasi oracula daturus" (Rusconi, 1977, p. 73), e che indulgeva volentieri a comportamenti che sconfinavano nel culto della personalità. Viene narrato inoltre che M. fu trascinato dall'ammirazione dei suoi seguaci fino al punto da non potersi più sottrarre a un vero e proprio fanatismo. M si proclamava incolto, e che quindi ciò di cui era protagonista non derivava dalla sua dottrina ma avveniva per volontà di Dio e che si era scontrato con chi voleva fermarlo, a cominciare da papa Martino V e dal vescovo Amerigo Corsini per proseguire con Agostino Favaroni, generale degli agostiniani, e con lo stesso Biglia. Ci sono anche accuse più precise, come aver permesso che si dicesse che gli erano state affidate le chiavi del Paradiso; ma i rilievi forse più puntuali, accompagnati da allusioni a fatti precisi, riguardavano la condotta dei suoi seguaci, che vivevano in una promiscuità ritenuta moralmente molto pericolosa, che non coinvolgeva M., data anche l'età, e soprattutto l'esortazione, rivolta in particolare alle donne, ad abbandonare la famiglia per unirsi al gruppo dei penitenti.
Degli episodi ricordati da Biglia, uno è particolarmente interessante, perché suffragato da riscontri documentari. L'agostiniano in due punti della sua Admonitio accusa M. di avere, fra le altre donne, irretito una vedova fiorentina, di cui per rispetto tace il nome, inducendola a lasciare la casa con i suoi tre figli e con la dote, e restituendo, ma a fatica, solo metà del denaro ai fratelli della donna che l'avevano inseguita fino a Viterbo e a Roma, ma non accettando di riconsegnarla alle loro cure (Rusconi, 1977, pp. 75, 90 s.). L'episodio doveva aver suscitato grande clamore a Firenze, tanto che la Signoria il 1 nov. 1423 scrisse ai Signori di Siena una lettera da cui veniamo a sapere che la donna era Ginevra di Guido Mannelli, vedova di Giovanni de' Pigli, e che si era aggregata a M. portandosi dietro "tres natos suos et Johannis quondam prefati", nonché una dote di "floreni circiter septingenti auri" (ibid., p. 70). Sull'episodio fa luce un altro documento, verosimilmente autografo di M., che consiste in una "fede" da lui rilasciata al banco dei Medici. Si tratta di due testi distinti: con il primo, in data 18 apr. 1423, M. dichiarava che Ginevra di Guido Mannelli depositava presso il banco di Cosimo e Lorenzo de' Medici e di Ilarione di Lippaccio de' Bardi la somma di fiorini 696 e mezzo, disponendo che in caso di sua morte il denaro venisse dato ai figli Roberto, Jacopo, Costanza, Alessandra e Nanna ed escludendo una sesta figlia, Pippa, monaca; con il secondo, aggiunto il 16 ottobre, ancora M. dichiarava che la somma era stata interamente riconsegnata a Ginevra (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, filza XI, doc. 613). Si ricava dunque che Ginevra, assistita da M., ritirò il denaro alla vigilia della partenza e in vista di essa, proprio come sostenuto da Biglia e che, al contrario di quanto affermato dall'agostiniano, dei sei figli della donna solo tre la seguirono nel viaggio verso Roma.
Il soggiorno fiorentino fu caratterizzato anche dall'aspra lotta a distanza con Bernardino da Siena e da quella con i fraticelli.
Non sono note le prediche di M. contro il francescano, criticato violentemente per il culto nel Nome di Gesù e per il famoso monogramma; sono note invece quelle di Bernardino, pronunciate a Firenze soprattutto nel corso della quaresima del 1425, un anno e mezzo dopo la partenza di M. e dei suoi seguaci: documento importante, dunque, che mostra gli effetti non del tutto effimeri del soggiorno dei penitenti, se ancora a distanza di tempo Bernardino, che tuttavia aveva anche motivi di risentimento personale, avvertiva l'opportunità di combatterli; è da notare che il francescano aveva già criticato il movimento manfredino in Piemonte nel 1418 e che avrebbe rinnovato i suoi attacchi nel 1427 a Siena, certo allo scopo di estirpare ogni traccia di influenza di M. in tutti i luoghi dove aveva operato. I principali temi su cui Bernardino batteva erano tre: la difesa del culto verso il Nome di Gesù, acerbamente avversato da M. e da altri domenicani che lo accusavano di idolatria; il rifiuto delle profezie sull'Anticristo; la condanna di una predicazione che dissolveva tutti i vincoli familiari.
Lo scontro con i fraticelli, o "fratres de opinione", si colloca negli anni fiorentini ma si prolunga anche in seguito, tanto che il Tractatus contra fratres de opinione, pur essendo stato forse cominciato a Firenze, reca la data di Roma, 28 sett. 1425.
I fraticelli, secondo M., avevano cercato di conquistarlo alla loro causa, ottenendo non solo il rifiuto, ma la conversione di alcuni di loro; da qui la lotta aperta, caratterizzata dalla confutazione da parte di M. dei principali argomenti dei fraticelli, primo fra tutti la legittimità canonica dell'elezione di Martino V e la validità delle consacrazioni episcopali. L'ortodossia mostrata da M. dovette valergli, a Firenze, l'addolcimento della gerarchia: perché, se è vero che, secondo Biglia, l'arcivescovo Amerigo Corsini era giunto a scomunicarlo (Rusconi, 1977, pp. 83 s.), il medesimo prelato gli aveva poi mandato il sacerdote Lorenzo da Prato per avere informazioni sui fraticelli, e dunque la scomunica, che pare non avesse avuto alcun effetto, doveva essere stata ritirata (Creytens, pp. 184 s.).
Fra i non molti estimatori di M. va contato forse anche il confratello Antonino Pierozzi, futuro arcivescovo di Firenze. È probabile che Antonino, quando era priore del convento di S. Domenico di Fiesole, a partire dal 1421, abbia conosciuto personalmente M., che si trovava a Firenze; di sicuro c'è che nella sua cronaca, frammiste a giudizi positivi sulla sua pietà e il suo timor di Dio, egli ci fornisce alcune notizie che non sono note da altra fonte: Martino V, a Firenze tra il febbraio del 1419 e il settembre del 1420, avrebbe cercato di sciogliere il gruppo dei manfredini, ma senza successo; avrebbe allora proibito di soccorrere con elemosine i penitenti, sperando in tal modo di indurli a tornare alle proprie case: ma non fu obbedito e ottenne solo, con la sua blanda persecuzione, di accrescerne l'entusiasmo (cfr. ed. Morçay, p. 38). La testimonianza del Pierozzi è preziosa, anche perché è confermata dal favore che la Signoria di Firenze manifestò a M. e al suo movimento, scrivendo il 19 ott. 1423 a Lorenzo Ridolfi, oratore a Roma, una lettera piena di lodi nei confronti di M. (Rusconi, 1977, p. 70).
Giunti a Roma alla fine del 1423, M. e i suoi furono sottoposti a indagine canonica da parte di Martino V, ma non fu trovato nulla degno di biasimo, secondo la testimonianza di Antonino; lo stesso cronista, tuttavia, aggiungeva che molte fra le donne più giovani erano tormentate da apparizioni demoniache e che lo stesso M. si mostrava "nimis credulus" alle loro visioni, tra le quali si ricorda la convinzione che egli sarebbe diventato papa (ed. Morçay, pp. 38 s.). Ma accanto a questi aspetti ne emergono altri: da un documento relativamente tardo, la conferma di Pio II in data 28 sett. 1458, sappiamo che Niccolò de' Conti, patrono di S. Maria di Monte Magnanapoli, aveva nominato M. rettore della chiesa, donata ai seguaci insieme con le sue pertinenze (Rusconi, 1978, pp. 134 s.): segno, questo, di un favore anche della popolazione di Roma, dopo quello incontrato a Bologna e a Firenze. L'assottigliamento del gruppo viene attribuito da Antonino alle morti succedutesi a Roma (ed. Morçay, p. 38); in un caso, tuttavia, si trattò di abbandono: il 31 ag. 1431, infatti, il milanese Antonio da Villa, che nel 1420, pur coniugato, aveva ricevuto dal manfredino Galvano da Candia l'abito del Terzo Ordine domenicano, si vide esaudire dal papa la supplica con cui chiedeva di poter tornare alla sua famiglia (cfr. Kaeppeli, p. 101).
Le ultime notizie in nostro possesso riguardano la separazione di M. dai seguaci; sappiamo che questi ultimi diedero vita a collegi, ma non è chiaro se gli uomini fossero separati dalle donne o se avessero istituito una sorta di monastero doppio (Rusconi, 1978, pp. 116-118).
Ignoriamo quando M. sia morto: Antonino si limita a indicare il pontificato di Eugenio IV, ciò che obbliga ad arrivare almeno al 1431; l'espressione "transactis pluribus annis tempore Eugenii [(] quievit in domino" consiglia di scendere verso la metà del quarto decennio del secolo; l'aggiunta "in conventu Minerve sepultus" (ed. Morçay, p. 39) suggerisce una ritrovata armonia con l'Ordine.
Opere. L'Admonitio di A. Biglia cita alcune opere di M. perdute, fra le quali una epistola contro Agostino Favaroni, generale degli agostiniani, alcuni scritti rivolti a Giovanni, prete di S. Lorenzo a Firenze, delle lettere in volgare a una nobile donna della parrocchia fiorentina di S. Lorenzo e una relazione ai magistrati di Firenze (cfr. Rusconi, 1978, pp. 91-93). La Legenda sancti Bernardini di Cristoforo Gabrielli accenna ad alcune Cedule della disputa con Bernardino (ibid., p. 104).
L'unica opera conservata di M., il Tractatus contra fratres de opinione, trasmesso dal ms. VIII.AA.18 della Biblioteca nazionale di Napoli e dal ms. Ottob. 32, cc. 163r-174r, della Biblioteca apostolica Vaticana, è stato edito da R. Creytens, Manfred de Verceil O.P. et son traité contre les fraticelles, in Archivum fratrum praedicatorum, XI (1941), pp. 191-208. Proprio il Tractatus ricorda un precedente scritto di M. contro i fraticelli (ed. Creytens, p. 193).
Fonti e Bibl.: M. Griffoni, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XVIII, 2, p. 104; Cronica gestorum ac factorum memorabilium civitatis Bononiae edita a fratre Hyeronimo de Bursellis, a cura di A. Sorbelli, ibid., XXIII, 2, p. 74; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna parte seconda, a cura di A.A. Solimani, Bologna 1655, p. 621; Pietro di Mattiolo, Cronaca bolognese, a cura di C. Ricci, Bologna 1885, pp. 296 s.; Chronica fratris Nicolai Glassberger Ordinis minorum observantium, Ad Claras Aquas 1887, pp. 278 s.; Marianus de Florentia, Compendium chronicarum fratrum minorum, in Archivum Franciscanum historicum, III (1910), pp. 709, 712; Chroniques de st Antonin. Fragments originaux du titre XXII (1378-1459), a cura di R. Morçay, Paris 1913; Acta Concilii Constanciensis, a cura di H. Finke, IV, Münster 1928, pp. 198 s.; L. Wadding, Annales minorum, X, Ad Claras Aquas 1932, pp. 38-40; Bernardino da Siena, Le prediche volgari, a cura di C. Cannarozzi, III, Firenze 1958, pp. 327 s.; Id., Prediche volgari sul campo di Siena, 1427, a cura di C. Delcorno, II, Milano 1989, pp. 810 s.; F. Miltenberger, Das Itinerarium Martins V. von Constanz bis Rom (16. Mai 1418 - 28. Sept. 1420), in Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung, XV (1894), pp. 661-664; E. Longpré, S. Bernardin de Sienne et le Nom de Jésus, in Archivum Franciscanum historicum, XXVIII (1935), pp. 443-476; XXIX (1936), pp. 142-168, 443-477; R. Creytens, Manfred de Verceil O. P., in Archivum fratrum praedicatorum, XI (1941), pp. 173-190; R. Arbesmann, Andrea Biglia, Augustinian friar and humanist (1435), in Analecta Augustiniana, XXVIII (1965), pp. 154-218; R. Rusconi, Fonti e documenti su M. da V. O. P. ed il suo movimento penitenziale, in Archivum fratrum praedicatorum, XLVII (1977), pp. 51-107; Id., Note sulla predicazione di M. da V. O. P. e il movimento dei terziari manfredini, ibid., XLVIII (1978), pp. 93-135; Id., Gerusalemme nella predicazione popolare quattrocentesca tra millennio, ricordo di viaggio e luogo sacro, in Toscana e Terrasanta nel Medioevo, a cura di F. Cardini, Firenze 1978, pp. 285-289; Id., L'attesa della fine. Crisi della società, profezia ed Apocalisse in Italia al tempo del grande scisma d'Occidente (1378-1417), Roma 1979, pp. 236-246; T. Kaeppeli, Scriptores Ordinis praedicatorum Medii Aevi, III, Romae 1980, pp. 101 s.; IV, a cura di E. Panella, ibid. 1993, p. 195; D. Solvi, Il dialogo mancato. Il trattato di M. da V. contro i "fratres de opinione", in Franciscana, II (2000), pp. 229-257; Id., Dialogare "contro" i fraticelli. M. da V. e Giacomo della Marca, in Picenum seraphicum, XXI (2002), pp. 49-74; G. Ferraù, Storia e politica in Andrea Biglia, in Margarita amicorum. Studi di cultura europea per Agostino Sottili, a cura di F. Forner - C.M. Monti - P.G. Schmidt, I, Milano 2005, pp. 303-340; Diz. biogr. degli Italiani, XXXIII, p. 41; Repertorium fontium historiae Medii Aevii, VII, pp. 432 s.