BALBANI, Manfredi
Nacque a Lucca l'8 ott. 1544, terzogenito di Giovanni di Francesco, mercante-banchiere, e di Zabetta Calandrini. Nel 1556 il padre si separò dai fratelli Tommaso, Matteo e Filippo fondando a Lucca una casa bancaria. Il B., con il fratellastro Ippolito, fu inviato nel 1559 a dirigere la nuova filiale di Anversa. L'azienda ebbe vita breve. Il banco di Lione, affidato al fratello del B., Arrigo, non resistette ad una crisi di pagamenti di fiera nel 1562, e il suo fallimento trascinò il banco di Lucca e la filiale di Anversa.
Il B. "nel 1563 andò a stare con li Michaeli et Arnolfini" a Lione, probabilmente in qualità di dipendente salariato.
Attorno al 1568 egli risiedeva ad Anversa: nel Certificatie Boek di quella municipalità si trova scritto che "aveva bisogno di compiere lunghi viaggi in Francia e altrove per ricuperare crediti e trattare i suoi affari commerciali". Svolgeva egli questa attività al servizio dei Michaeli Arnolfini? È ben probabile, e comunque un fatto viene a provare la continuità dei rapporti del B. con questo gruppo: il suo matrimonio, il 21 maggio 1572, con una figlia del defunto Francesco Michaeli di Ginevra. Nel mondo degli uomini d'affari lucchesi il matrimonio veniva quasi sempre a consacrare un'associazione mercantile tra due famiglie e la dote portata dalla sposa, e investita nella società comune, servì in vari casi a promuovere un collaboratore sprovvisto di fortuna dal rango di dipendente a quello di socio. Nel caso del B., la dote che gli portò Domitilla Michaeli, sorella del mercante-banchiere Orazio Michaeli di Ginevra, era cospicua: 12.500 scudi accreditati a nome del B. presso la banca lionese degli "Eredi di Bonaventura Michaeli, Gerolamo Arnolfini e C.".
Il matrimonio con una Michaeli, suddita della repubblica di Ginevra e seguace della dottrina di Calvino, rappresenta la prima prova sicura dell'adesione del B. alla Riforma. La sua conversione risaliva assai probabilmente ad almeno un decennio addietro. Turco Balbani, ardente apostolo della Riforma, continuando nel 1563-64 la Cronaca della famiglia..., dedicò al giovane parente un breve cenno biografico, da cui traspare una particolare simpatia. Dopo aver accennato alla sua grande "dottrina", egli aggiungeva: "... et è buon giovane, di poca spesa, et virtuoso...". Nel linguaggio di Turco Balbani quest'ultimo vocabolo ci sembra assumere un significato pregnante: virtuosi erano solo i seguaci dei "veri" precetti evangelici assunti a base del credo riformato.
Nell'estate del 1572 il B. fece ritorno con la sposa a Parigi, dove egli aveva da qualche tempo posto la propria residenza. In quegli anni, la capitale francese andava assumendo una crescente importanza come centro bancario; tra gli altri, alcuni banchieri "lucchesi eretici" vi avevano di recente trasferito la sede dei loro affari da Lione. Pare certo che il B. fungesse da corrispondente dei Michaeli-Arnolfini di Lione e della ditta "Paolo Arnolfini" di Ginevra, di cui era socio principale Orazio Michaeli.
Non sappiamo invece se egli avesse già cominciato a collaborare con il fratello Arrigo Balbani (socio dei Balbani di Lione) per quelle operazioni di prestito e di trasferimento di fondi a favore della Corona francese, nelle quali essi furono impegnati qualche anno dopo. Così, è difficile comprendere il significato della confisca, posta nel settembre-ottobre 1572, dal conte Palatino su una somma di 5.000 lire appartenenti al B., nel territorio del Palatinato. Si intendeva forse colpire un finanziere francese per rappresaglia contro la recente strage della notte di S. Bartolomeo? Certo è che, quando il B. si rivolse alla signoria di Ginevra, sollecitando il suo intervento presso il conte Palatino per far sospendere il decreto di confisca, anche lì incontrò un atteggiamento nettamente ostile. Ginevra motivò il suo rifiuto ad intervenire con la ragione che il B. non era cittadino della repubblica, che non vi risiedeva e che non aveva mai manifestato il desiderio di ottenere la cittadinanza, pur avendone diritto in quanto congiunto di una ginevrina. Come ci sfuggono le ragioni del conflitto tra il B. e le due potenze protestanti, così ignoriamo quali conseguenze immediate abbia avuto per lui la situazione creatasi dopo la notte di S. Bartolomeo in Francia: se cioè anch'egli, - come altri banchieri lucchesi "eretici" (pensiamo a Michele Burlamacchi e ai Calandrini) salvatisi per l'intervento dei loro parenti "papisti" - sia stato costretto ad allontanarsi da Parigi e ad agire per qualche tempo nella clandestinità.
Il fatto che il B. nel 1574 abbia trasferito la propria residenza a Ginevra, sembra provare che ánch'egli subì la sorte degli altri lucchesi di Parigi suoi correligionari. Egli prese allora a partecipare alla vita della comunità italiana riformata dove, in seguito, esercitò le funzioni di anziano, di diacono e di ministro. Nello stesso 1574 il padovano G. B. Rota, pastore della chiesa italiana di Ginevra, lo metteva al corrente delle discussioni che si accendevano attorno alle tesi di Fausto Sozzini, allora studente di teologia a Basilea, il quale si accingeva ad una rielaborazione del concetto della grazia, decisamente contrastante con lo spirito della dottrina calvinista. Non si conosce l'atteggiamento del B. verso queste dottrine ereticali e verso il dibattito su di esse accesosi in campo riformato. Certamente, a differenza di altri suoi concittadini, fra cui Niccolò Balbani, egli mantenne sempre una certa indipendenza e un distaccato atteggiamento e, dopo un ventennio di collaborazione alla vita politica e religiosa di Ginevra, finì per trasferirsi nel più tollerante clima della Francia di Enrico IV.
L'ultimo soggiorno del B. a Lucca risale al 1577. Allora egli era già fortemente indiziato come eretico, e la condanna ufficiale non doveva tardare. La sistemazione delle questioni patrimoniali e la liquidazione a suo favore dell'eredità paterna dovevano essere già avvenute: infatti nel testamento che il padre Giovanni Balbani dettò due anni dopo, il B. non fu nominato tra gli eredi universali accanto ai due fratelli Girolamo e Bonaccorso, cattolici e residenti a Lucca. Contro di lui il 28 giugno 1580 fu pubblicato a Lucca il bando di condanna per "eresia".
Verso il 1579 il B. cominciò ad assumere importanti incarichi di ordine finanziario e diplomatico al servizio di Ginevra. Nel verbale della seduta del Consiglio della città del 5 maggio 1580 vennero menzionate le missioni già svolte da lui: saldo di debiti all'estero, stipulazione di accordi in materia monetaria e commerciale. Le somme maneggiate dal B. al servizio della Repubblica avevano superato, in questa occasione, i 10.000 scudi. Alla fine del 1580 ricevette gratuitamente la cittadinanza ginevrina.
Nel 1580 il B. sposò in seconde nozze la contessa Diamante Pepoli, bolognese, vedova del conte Gaetano da Thiene, vicentino rifugiato a Ginevra.
Per contrarre il matrimonio fu necessario chiedere l'autorizzazione della Signoria, perché una legge ginevrina vietava le nozze tra una donna di oltre quarant'anni ed un uomo di cinque anni più giovane. Il consenso, concesso eccezionalmente dalla Signoria, fu impugnato dal Consistoro, e il B. si trovò al centro di una controversia politico-religiosa, che si risolse con un ammonimento del Consistoro alla Signoria. Il considerevole patrimonio della contessa Pepoli venne a consolidare la posizione finanziaria del B. il quale poté procedere ad una serie di investimenti nel Ginevrino. Nel 1592 egli si riconobbe debitore verso di lei per un totale complessivo di 15.000 lire tornesi.
A Ginevra il B. fu interessato alla manifattura e al commercio della seta, nell'ambito della "Grande Boutique", cui collaboravano tutti i principali nomi dell'aristocrazia mercantile lucchese emigrata in Svizzera. Egli tentò inoltre di sviluppare sul posto la produzione della stessa materia prima. Nelle sue tenute del Ginevrino introdusse delle piantagioni di gelsi e tentò l'allevamento del baco da seta. Nel corso della sua multiforme attività, fu anche appaltatore delle tasse ginevrine, e concesse prestiti al tesoro della città. La sua attività di uomo d'affari non si limitò tuttavia all'orizzonte ginevrino. A partire dal 1580 circa, egli fu infatti in primo luogo un finanziere al servizio della corona di Francia. Il centro di attrazione dei suoi affari rimase quindi ancora Parigi.
Non conosciamo gli inizi di questa attività del Balbani. Una sua lettera autografa del 1582 ci conduce in medias res. Per questo tipo di operazioni egli si valse allora, e anche in seguito, della collaborazione del fratello Arrigo. Fino al 1585 costui risiedette a Parigi, dove aveva la funzione di rappresentare presso la corte e il governo gli interessi dei Balbani di Lione, da tempo impegnati nei prestiti alla corona di Francia.
La lettera che il B. scrisse da Ginevra, il 25 giugno 1582, è indirizzata a Soleure, sede dell'ambasciata di Francia in Svizzera, ai tre ambasciatori straordinari - Jean de Bellièvre-Hautefort, Henri Clausse de Fleury e Franiçois de Mandelot - allora incaricati di negoziare il rinnovo dell'alleanza tra la Francia e le Leghe degli Svizzeri. Gli ambasciatori ebbero a disposizione 600.000 scudi, con i quali provvedere al saldo di vecchi debiti della corona con le città svizzere. I due fratelli Arrigo e Manfredi si incaricarono del trasferimento di una parte di questi fondi: la lettera del B. parla di una somma di circa 50.000 scudi, che doveva essere messa a disposizione degli ambasciatori, a Soleure, in contanti, il 15 luglio seguente. Ma, per effettuare il pagamento, il B. doveva attendere l'ordine e la lettera di cambio di suo fratello, "car sans icelles, je ne pourrois faire le dit payement...".
Se questa rimane la sola operazione che possiamo conoscere nei particolari, molti elementi stanno a indicare che i due fratelli Balbani continuarono su questa via durante tutto il regno di Enrico III, ed anche in seguito, nel periodo più difficile della guerra della Lega contro Enrico IV, dopo il 1589. Le leve di mercenari svizzeri effettuate dalla corona di Francia con il consenso delle Leghe degli Svizzeri, durante le guerre di religione, determinarono un flusso continuo di capitali in direzione della Svizzera. Fino al 1585 i due fratelli collaborarono quasi certamente con i Balbani di Lione. Dopo questa data, con l'inizio della guerra della Lega, la casa di Lione si compromise interamente con il partito dei Liguerrs e con la corona di Spagna. I fratelli Balbani se ne distaccarono allora: Arrigo raggiunse a Ginevra Manfredi; entrambi appoggiarono il partito di Enrico di Navarra.
Nell'estate-autunno 1590, nel periodo più difficile della guerra della Lega, mentre il duca di Savoia Carlo Emanuele I minacciava con le armi Ginevra e Berna, il B. ed il fratello misero i loro servizi finanziari a disposizione del fronte ugonotto-riformato. Nell'ottobre di quell'anno essi erano in corrispondenza con l'ambasciatore straordinario di Francia in Svizzera, Nicolas Brulart de Sillery, incaricato di organizzare la difesa di Ginevra e l'offensiva contro il duca di Savoia. I due fratelli avevano abbandonato l'assediata Ginevra e si erano rifugiati a Basilea. Di là essi concessero un prestito al Sillery, trasferendo a suo ordine i fondi a Montbéliard. Il B. rimase rifugiato con la famiglia a Basilea anche l'anno seguente. Allora fu colpito da un grave lutto: la morte dell'unico figlio Paolo, avvenuta il 2 apr. 1591. Abbiamo notizia di alcune missioni effettuate dal B. in questo periodo, senza peraltro conoscerne i particolari. Enrico IV lo incaricò ad un certo punto di prendere contatti con la Lega. Nello stesso momento il B. intraprese trattative con gli Stati generali di Olanda per sollecitare aiuti finanziari.
I legami del B. con la grande finanza francese spiegano come a Ginevra egli abbia conquistato presto una posizione politica di una certa importanza. Il 28 giugno 1581 era stato nominato luogotenente nella compagnia del capitano Sarrazin. Nel 1582 fece parte del Consiglio dei Duecento. Più tardi, nel 1592, fu eletto nel Consiglio dei Sessanta. Tra il 1580 e il 1602 svolse parecchie missioni diplomatiche per conto della Repubblica, presso gli Stati generali d'Olanda e presso i principi tedeschi. Continuò inoltre ad assicurare alla Repubblica servizi di ordine finanziario e bancario, come la rimessa delle collette effettuate dalle Chiese riformate di Francia e d'Olanda a favore dell'erario ginevrino.
Nell'agosto 1598 venne inviato presso Enrico IV per protestare contro l'inadempienza delle clausole del trattato di Vervins da parte del duca di Savoia e per ottenere l'appoggio della corona francese contro le minacce sabaude. Pare che a partire da quegli anni egli abbia esercitato la funzione di agente permanente della Repubblica di Ginevra presso la corte di Francia. Nel 1602 fu incaricato di render conto ad Enrico IV dell'attacco di cui Ginevra era stata oggetto da parte del duca di Savoia.
Il 4 genn. 1603 scrisse per rassicurare la Repubblica delle buone intenzioni verso di essa di cui gli avevano dato garanzia il re di Francia e l'agente degli Stati generali d'Olanda presso quella corte. Il 7 gennaio e il 23 febbraio seguenti informò la Signoria dei maneggi segreti che i suoi nemici ponevano in atto presso Enrico IV per metterla in cattiva luce ed addossarle tutta la responsabilità della guerra col duca di Savoia. Egli diede conto contemporaneamente della linea di condotta adottata in tale frangente, e delle pressioni esercitate sugli inviati inglese e olandese, per sventare le trame sabaude. Il 2 marzo seguente comunicò al governo ginevrino la promessa formale di fornirgli aiuti concreti, ottenuta da Enrico IV.
Dopo questo periodo, i suoi rapporti con Ginevra sembrano essersi allentati. Nel 1608, dopo la morte della seconda moglie, il B. pose per la seconda volta la sua residenza a Parigi dove ottenne la carica di gentiluomo di camera del re e fu intimo dei suoi ministri Villeroy, Sillery e Sully.
A Parigi, fu incaricato di dirigere i lavori della Place Royale. Ottenne inoltre l'appalto del sale, cui già era stato interessato suo fratello Arrigo, assieme ai Cenami. Nel 1599 chiese ad Enrico IV in enfiteusi il castello di Madry, appartenente alla corona. Lo scopo dichiarato per giustificare tale richiesta collimava in pieno con il programma di restaurazione dell'economia francese di cui si faceva in quegli anni promotore il Sully. Si trattava cioè dell'introduzione della coltivazione del gelso bianco al fine di sperimentare un nuovo sistema di bachicoltura. Sollecitato dal B., Enrico IV scrisse di proprio pugno alla Signoria di Ginevra chiedendo di mettere a disposizione del B. un gruppo di esperti nella cultura del gelso. La Repubblica, benché a malincuore, rispose positivamente alla richiesta ed inviò poi a più riprese a questo fine, presso il B., un certo capitano Condello. Nel 1607 il B. era appaltatore di lavori pubblici ("entrepreneur pour le Roi"): nell'autunno eseguì, con una propria impresa, la ricostruzione della strada di Channevannes per Saint-Germain-en-Laye, sulle rive della Senna.
In questo periodo il B. si espose pericolosamente nel concedere prestiti alla corona. Se, come probabile, era lui quel B. di cui parlano le memorie di Sully, egli fu imprigionato a Fort-l'Evèque per debiti, finché non intervenne il re, dando ordine al ministro Villeroy di far saldare un credito che il B. aveva con la corona.
Nel 1610, alla morte di Enrico IV, gli impegni assunti dalla corona verso il B. non furono mantenuti. Pare che il B. dilapidasse il patrimonio che gli restava in processi intentati per ricuperare i suoi crediti, ma, caduto in disgrazia presso la corte, e oberato di debiti, finì per parecchio tempo in carcere. Poté essere liberato quando i suoi creditori si accertarono dell'impossibilità di ottenere mai qualcosa da lui, e forse grazie all'intervento dei parenti. Ridotto alla più assoluta miseria, morì a Parigi il 20 febbr. 1624.
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