Portinari, Manetto
Figlio di Folco di Ricovero e di Cilia di Gherardo de' Caponsacchi; fu fratello di Beatrice. Nel testamento di Folco, rogato il 15 gennaio 1288, è ricordato al primo posto tra i figli, e come maggiorenne, insieme col fratello Ricovero.
In tale qualità, unitamente a quest'ultimo, il padre lo nominava in quell'atto tutore delle quattro sorelle ancora minorenni, Vanna, Fia, Margherita e Castoria. La sua biografia è documentata scarsamente; tuttavia, la conoscenza delle vicende familiari e le notizie circa l'attività economica dei P. permettono di attribuire anche a Manetto, come al padre, ai fratelli e ai loro discendenti, l'adesione alla Parte nera che rese possibile alla casata di restare indisturbata a Firenze, continuando a esercitare i traffici e consolidando la sua posizione sociale. Neppure Manetto, come gli altri della famiglia, ricoprì incarichi politici di rilievo, il che autorizza a pensare che anch'egli abbia preferito astenersi dal partecipare alla lotta politica, pur aderendo all'ideologia guelfa del comune fiorentino.
Da Manetto nacque Giovanni, i cui figli, Sandro e Adovardo, furono capostipiti di due fiorenti rami della casata continuatisi fino al termine del Quattrocento e impegnati nell'attività mercantile e bancaria, per molta parte in collaborazione con i Medici.
Si suole riconoscere in lui l'amico di Guido Cavalcanti e il destinatario del sonetto di quest'ultimo detto della " scrignutuzza " (Guata, Manetto), e individuare in Manetto colui del quale D. (Vn XXXII-XXXIII) si professa amico quasi in misura uguale al Cavalcanti, e che, essendo tanto distretto di sanguinitade con questa gloriosa [Beatrice da poco morta] che nullo più presso era, avrebbe rivolto al poeta la preghiera di dire alcuna cosa per una donna che s'era morta, simulando poeticamente di accennare d'un'altra la quale morta era certamente ma intendendo riferirsi alla sorella amata dal poeta. Aderendo all'invito, D. compose il sonetto Venite a intender li sospiri miei e le due stanze della canzone Quantunque volte, lasso!, mi rimembra, nella prima delle quali esprime i pensieri attribuiti al fratello di Beatrice, e nella seconda il dolore che gli deriva dalla morte della sua donna.
L'attribuzione della particolare richiesta immaginata da D. a Manetto piuttosto che al fratello Ricovero - ambedue i P. erano in età prossima a quella del poeta - è fondata anche sulla considerazione che egli, come dimostrerebbe la sua amicizia per il Cavalcanti, fu, tra i due figli di Folco, quello che più coltivò interessi letterari e che, perciò, dovette avere maggiore affinità e amicizia con Dante.
Bibl. - Per la posizione di Manetto nella genealogia della famiglia, si vedano le opere citate alle voci PORTINARI e PORTINARI, Folco. Per il problema sollevato dall'interpretazione del passo della Vita Nova, si vedano le chiose di A. D'Ancona e di T. Casini nei loro commenti al libello dantesco, e si cfr. inoltre: P. Ercole, Guido Cavalcanti e le sue rime, Livorno 1885, 355; Zingarelli, Dante (1904) 81-82, 103, 123; ID., Dante 293, 299; Barbi-Maggini, Rime 123.