CIACCHERI, Manetto
Nato a Firenze da Ciando, visse tra la seconda metà del sec. XIV e i primi decenni del successivo; ne sono ignoti sia l'anno della nascita sia quello della morte.
Le pochissime notizie biografiche relative al C. si tramandano con la tradizione delle sue rime. Così, dal congedo della canzone "Dando riposo agli occhi miei dolenti", composta per la congiura di Iacopo d'Appiano contro il signore di Pisa Piero Gambacorta (1392), si apprendono i quindici anni del soggiorno pisano dell'autore ("I' voglio ubbidire / colei [Pisa] che nutricata quindici anni / m'ha con dolcezza de' miei propi affanni"), durato verosimilmente fino al 1392; a sua volta, la didascalia introduttiva del poemetto in terza rima "Aiuti iI mio intelletto e l'alto ingegrio" in un manoscritto della collezione Ginori Conti (Ifioretti..., pp. 8-9) informa sull'attività esercitata dal C. al suo ritorno a Firenze, che fu quella di messo alla Mercanzia, anche se poi non sono specificati i compiti particolari a cui egli era addetto. Si sa ancora di un figlio di nome Antonio nato al C. nel 1404 o 1405, noto architetto attivo a Firenze, e che il rimatore era in vita nel 1410, quando, presentandosi a Firenze un tale che-si spacciava per Iacopo da Carrara (in realtà morto nella strage dei Carraresi del 1406), il C. fu tra coloro che ne sostennero le ragioni contro chi, fondatamente, ne disconosceva l'identità.
Nella seconda metà del sec. XIX si generò una certa confusione intorno al nome e alle opere del Ciaccheri. Poiché nel cod. Palatino 348 della Biblioteca nazionale di Firenze (un altro dei manoscritti su cui è esemplato il ternario avanti citato) il nome di Manetto è corrotto in Matteo, essendo trascritta in questo codice, di seguito al ternarlo e senza -altra indicazione, una Cronachetta di San Gimigmno (anch'essa in terzine), il Sarteschi, editore di quest'ultima (Bologna 1865), ipotizzò l'esistenza di un Matteo Ciaccheri autore di entrambi i componimenti. All'equivoco avrebbe posto più tardi rimedio il Gentile, riconoscendo in Matteo una cattiva lettura di Manetto e attribuendo la Cronachetta a ser Agnolo di Vanni Coppi.
La vena del C. rimatore, che pare legata esclusivamente a fatti o accadimenti pubblici, vive nella scia di quella poesia, molto diffusa a Firenze nel secondo Trecento, che compenetrava la cronaca con l'animaestramento morale, traendo i suoi umori più vivi, spesso polemici, da una persistente e risentita passione municipalistica. L'evento pubblico centrale nella vita e quindi nelle rime del C. è la congiura pisana di Iacopo d'Appiano, uno dei tanti episodi delle trame antifiorentine di Giangaleazzo Visconti, che mirava con la sostituzione di Piero Gambacorta a cambiare il segno dell'atteggiamento di Pisa nei confronti di Milano. Al C., che durante la sua permanenza pisana aveva forse sperimentato la protezione e i favori del Gambacorta, la sollevazione contro di lui e l'assassinio, che ne seguì, da parte di un personaggio che era stato ampiamente beneficato dall'ucciso, si configurarono nei termini di un tradimento supremo. Il rimatore popolano che alla morte del Gambacorta aveva immediatamente posto in versi il suo sdegno, poco più tardi, forse alla morte dell'Appiano (1398), immaginò nel ternario ricordato "Aiuti..." (il più noto dei suoi componimenti) che si dispiegasse dinanzi ai suoi occhi la visione di una schiera festante di anime dannate con alla testa Giuda, ai lati del quale erano Caino, Bruto e Cassio. Istruito da un certo Michele, facente qui le funzioni del Virgilio dantesco, l'autore apprende che quel corteo aduna tutti i traditori antichi e moderni e che la turba è in gran festa perché, dopo 1361 anni di signoria di Giuda, la corona di re dei traditori sta per passare sul capo ancora più degno di Iacopo d'Appiano. Da qui l'occasione per una serratissima invettiva contro l'uccisore del Gambacorta. Il ternario, che già nell'invenzione si dimostra palesemente tributario della Commedia, risulta nella stesura un vero e proprio centone di versi danteschi. Ciò nonostante, non si può non riconoscere una qualche originalità alle soluzioni del Ciaccheri. La sua visione, infatti, si caratterizza per un certo gusto del grottesco, conseguito mediante un capovolgimento, forse neanche consapevole, del modello espressivo-situazionale di Dante. La sua schiera di dannati è colta in un atteggiamento di tripudio, ed è rappresentata mentre agisce nei modi (quindi anche nella chiave espressiva) che nella Commedia erano tipici delle anime dei beati. Si suggerisce per questa via una immagine ribaltata dell'inferno come luogo di felicità e non di pena, situazione non sconosciuta a talune forme della tradizione rappresentativa popolare, soprattutto giullaresca, ma che per essere attuata con mezzi espressivi danteschi pare caricarsi di inedite valenze parodistiche.
La produzione attestata del C. consiste in un gruppetto di canzoni (è da ricordare quella in cui l'autore lamenta la decadenza dell'arte della lana) e due ternari. Il trionfo dei traditori è in quattro manoscritti (edito da P. Ginori Conti, Ifioretti dei traditori);l'altro ternario e le canzoni, di cui risultano edite soltanto quelle per la morte del Gambacorta e per il presunto Iacopo da Carrara (da Medin, in Unfalso Iacopo da Carrara ... ) sono tradite dal cod. Marticelliano C. 152.
Bibl.: L. Gentile, L'autore della cronachetta di San Gimignano in terza rima, in Il Propugnatore, n.s., I (1888), pp. 127ss.; A. Medin, Un falso Iacopo da Carrara a Firenze, Padova 1893, passim;P. L. Rambaldi, Una canzone di M. C., Padova 1894; P. Ginori Conti, Novelle ined. intorno a Bernabò Visconti, Firenze 1939, p. 18; I fioretti dei traditori di M. C., a cura di P. Ginori Conti, Firenze 1940; V. Cian, La satira, Milano 1945, pp. 276 s.