MANELFI, Manelfo
Nacque nel 1587 da Ippolito, a Salisano, in Sabina, all'epoca possesso dell'abbazia di Farfa; non è noto il nome della madre. Il padre morì tra il 1622 e il 1628.
Da ragazzo il M. apprese l'arte della stampa a Roma lavorando come garzone nell'importante tipografia di Guglielmo Facciotto, almeno dal 1598 al 1601 a Monte Giordano e dal 1602 presso piazza Capranica. Divenuto indispensabile a Facciotto, rafforzò il legame quando nel 1619 sposò Giovanna Molinari (nata a Roma nel 1602 circa, da una famiglia di commercianti d'origine piacentina), divenendo cognato di Giacomo Facciotto, nipote di Guglielmo. Nello stesso periodo fu anche proto nella tipografia di B. Zannetti (cognato di Facciotto), all'epoca la maggiore di Roma.
Quando A. Brogiotti, titolare della Stamperia camerale e della Stamperia vaticana, volle materialmente separare le due attività, unite dal 1609, aprì per la Vaticana un'officina in via di Parione (oggi via del Governo vecchio) e ne affidò per tre anni al M. (ottobre 1631) il ricco materiale tipografico e la gestione. Alla fine del 1633 i rapporti tra Brogiotti e il M. si guastarono e quest'ultimo dovette restituire quanto spettava a quella tipografia. Intanto Guglielmo Facciotto era morto (21 ott. 1632), e la vedova Maria Zannetti fu felice di accogliere nuovamente il M. nella ditta. Morta anche la Zannetti, nel luglio 1634, e apertasi una complicata successione tra i nipoti di Facciotto, il M. decise di mettersi in proprio e aprì una nuova officina nell'attuale via del Piè di marmo, zona adatta all'attività libraria e tipografica per la vicinanza del Collegio romano.
Dal 1635 datano le edizioni a suo nome: pubblicò in quell'anno il settimo e ultimo volume delle celebri Quaestiones medico-legales di P. Zacchia, dopo che i sei precedenti erano usciti dalla tipografia Facciotto da lui stesso diretta. Grazie alla serietà che lo aveva fatto apprezzare nelle altre officine, non gli mancarono le commissioni, e ben presto la sua attività editoriale ebbe notevole sviluppo, qualificandolo anche sul piano sociale (nei documenti d'archivio non è più detto magister bensì dominus). Morta la moglie il 1( sett. 1635, il M. non si risposò e alla fine del 1639 si trasferì nell'attuale via Giustiniani, presso il Pantheon. Nella nuova sede l'attività editoriale crebbe, arrivando, a partire dal 1645, a dieci o più edizioni l'anno.
Il M. morì a Roma il 1( maggio 1649, nella fase più intensa per la stamperia. Secondo il testamento, rogato dal notaio C.A. Arrigoni tre giorni prima della morte, fu sepolto nella tomba che si era fatto costruire in S. Maria sopra Minerva, accanto alla moglie.
Lasciò i figli Domenico e Lucia, che proseguirono l'attività paterna. Domenico, nato a Roma nel 1625, da tempo aveva appreso l'arte; Lucia, nata nel 1631, era nubile. Nel corso dei restanti mesi del 1649 le edizioni uscirono con la sottoscrizione "Per gl'heredi del Manelfi" o altre simili; ma alla fine dell'anno le Vindicationes Societatis Iesu di S. Pallavicino ebbero l'indicazione "Typis Dominici Manelphi": era dunque intervenuta una sistemazione della successione del M. in modo da lasciare Domenico unico titolare della stamperia. L'attività proseguì col suo nome: toccò l'acme nell'anno giubilare 1650, ma rimase intensa anche nel 1651-52. Intanto Lucia aveva sposato il giovane libraio d'origine ligure Angelo Bernabò (25 nov. 1651), conosciuto fin da quando la tipografia era in via del Piè di marmo. Domenico, celibe e senza prole, morì il 1( genn. 1653, lasciando per testamento erede universale la sorella.
Il Bernabò, a sua volta capostipite di un'operosa stirpe di stampatori, prese la guida dell'azienda adottando di nuovo la sottoscrizione "Per gli heredi di Manelfo Manelfi", indicativa del prestigio ancora goduto dal nome del fondatore. Morta a soli ventidue anni anche Lucia (12 ag. 1653), proseguì a pubblicare a nome dell'"Herede di Manelfo Manelfi"; nel 1655 si sottoscrisse "Angelo Bernabò herede del Manelfi" e solo negli anni successivi rinunziò a citare il nome del suocero.
La produzione editoriale del M. consiste di 108 titoli noti, cui vanno aggiunte 60 edizioni uscite a nome del figlio o degli eredi. Poco più di un ottavo (22 edizioni) fu stampato per conto di altri librai-editori (più spesso per G.B. Subissati, G. Casoni e soprattutto G. Succetti), per cui si può parlare di una sostanziale autonomia imprenditoriale. Alcune edizioni furono ristampate a Venezia, Napoli e Milano; la Roma vetus ac recens del gesuita A. Donati (1638-39) anche ad Amsterdam. Spiccano edizioni di opere in più volumi, come i trattati filosofici del domenicano lisbonese João de Santo Thomaz (1636-38), la vasta opera di erudizione del rettore del Collegio romano S. Menochio (Le stuore, 1646-54), i cinque libri in folio Della vita e dell'Istituto di s. Ignazio di D. Bartoli (1650-52).
L'ubicazione della stamperia del M., tra il Collegio romano e S. Maria sopra Minerva, giustifica la forte presenza di autori gesuiti e domenicani nelle sue edizioni; ma va notato che durante il pontificato di Urbano VIII (1623-44) l'unico gesuita da lui pubblicato fu A. Donati, caro al cardinale Francesco Barberini. Il mutato orientamento culturale seguito all'elezione di Innocenzo X e la nomina di Vincenzo Carafa a generale della Compagnia di Gesù accentuò nel M. la propensione per l'editoria religiosa e prevalentemente di contenuto spirituale: diverse le edizioni di autori gesuiti di questo indirizzo, tra cui molte dello stesso Carafa. Inoltre: D. Bartoli (anche La povertà contenta, 1650), S. Pallavicino (Vindicationes Societatis Iesu, 1649), F. Sacchini (Historia Societatis Iesu, III-IV, 1649-52) e il citato Menochio. Tra gli autori domenicani figura il generale dell'Ordine N. Ridolfi insieme con i massicci volumi di teologi come G. Cippullo, L. Guzman, G.T. Gastaldi; il M. pubblicò anche gli atti di capitoli generali e provinciali dell'Ordine. L'indirizzo spirituale animò decine di opere di meditazione, di ascesi, di morale e di dottrina a partire dalla ristampa del De imitatione Christi di Tommaso da Kempis (1642).
Altro filone fu quello letterario, rivolto a poesie e prose di autori contemporanei: L. Guidiccioni (Rime, 1637), L. Leporeo (Leporeambi distici trisoni alfabetici nella notte di Natale, 1641), F. Balducci (Le rime, 1646), G.A. Ridolfi (Canzoni, 1646), G. Ciampoli, Prose (1649), D. Bartoli, Dell'huomo di lettere difeso et emendato (1650), T. Stigliani, Lettere (1651). A questi titoli vanno aggiunti i componimenti in versi latini (A. Donati, Constantinus Romae liberator, poema heroicum, 1640; G.F. Maia Materdona, Ad Beatissimam Matrem Virginem canticum rhythmicum, 1644; J.A. Gibbes, Carmen saeculare, 1650; L. Leporeo, Centena distica, 1652) e la ricca serie di orazioni e panegirici in latino e in volgare, annoverante, tra molte opere d'occasione, le prediche del servita A.M. Ciria Panvini (1642, 1652) e del gesuita L. Albrici (1645), recitate nella cappella papale. Del gruppo letterario fanno parte anche alcuni testi drammatici: G. De Lauro, Madalena romita (1645); L. Vittori, La pellegrina costante (1647); G. Zani, Galba (1653); le ristampe di classici: Cicerone, De natura deorum (1646), T. Tasso, Aminta (1648), B. Guarini, Il pastor fido (1649); le opere di storia: G.O. Scoglio, A primordio Ecclesiae historia (1642), F. Strada, De bello Belgico decas II (1650), L. Camarra, De Teate antiquo (1651); mentre di dichiarata destinazione scolastica sono le riedizioni dei Grammatices Italicae praecepta di S. Lentulo (1647) e del Dictionarium Ciceronianum di F. Priscianese (1652).
Più sporadiche le opere d'altro genere, a eccezione di un gruppo di trattati medici. Singole edizioni sono d'interesse artistico (la ristampa delle Vite di G. Baglione, 1649) o musicale (le Regole generali di canto ecclesiastico di P. Fabrizi, 1651); mancano del tutto edizioni di tipo commerciale. Pur stampando con buona correttezza in latino e in italiano, il M. non usò firmare dedicatorie e in ciò si può ravvisare un tratto di riserbo collimante con l'orientamento serio della sua produzione. Notevole la varietà dei formati, dai volumi in folio a minuscoli libricini in 24, e l'austerità delle disposizioni grafiche; non mancano tavole, antiporte figurate, frontespizi a due colori, ma per lo più compaiono nelle edizioni stampate dal M. per conto di altri editori.
Anche i fratelli del M. svolsero attività editoriale. Il primogenito Pietro (circa 1580-1652), oltre a lavorare per Facciotto, Zannetti e Brogiotti, ebbe una sua tipografia, attiva nel 1608-09 con quattro edizioni tra le quali la più notevole è una raccolta di Madrigali a cinque voci del tiorbista Johann Hieronymus Kapsberger. Libraio fu invece Giovanni (1593-1633), che ebbe bottega in piazza Navona e dal 1621 al 1626 svolse, quasi sempre a sue spese, un'interessante attività editoriale, principalmente rivolta a poeti "moderni" (A. Querenghi, G. Preti, G. Stigliani, M. Giovannetti, F. Bracciolini); si tratta di una decina di edizioni, in maggioranza stampate nelle tipografie Zannetti e Facciotto dove era proto il M., che in seguito riprese questo filone letterario.
Fonti e Bibl.: S. Franchi, Le impressioni sceniche. Diz. bio-bibliografico degli editori e stampatori romani e laziali di testi drammatici e libretti per musica dal 1579 al 1800, in collaborazione con O. Sartori, Roma 1994, pp. 491-503 (con riferimenti bibliografici e alle fonti d'archivio, cui si rinvia); II, Integrazioni, aggiunte, tavole, indici, ibid. 2002, pp. 28, 44 s., 47, 109; F. Petrucci Nardelli, Fra stampa e legature, Manziana 2000, pp. 45, 60, 64 s., 75, 83, 171, 173, 179; M. Ceresa, Una stamperia nella Roma del primo Seicento: annali tipografici di Guglielmo Facciotti ed eredi, 1592-1640, Roma 2000, pp. 14, 19 s., 40, 198, 211; Fondazione M. Besso, Le edizioni del Seicento nella Biblioteca della Fondazione, a cura di L. Lalli, Roma 2003, n. 943.